Le macchine teatrali della visione: le fiabe di Robert Lepage
The Andersen Project di Robert Lepage-Ex Machina al Barbican Theatre di Londra
Andersen Project, quinto solo-show diretto e interpretato dall’eclettico artista teatrale e cinematografico canadese Robert Lepage insieme alla sua struttura multimediale Ex Machina, è stato commissionato dalla Fondazione Andersen di Copenhagen per le celebrazioni del bicentenario della nascita dello scrittore danese. Una scena dal gusto antico abitata da video-fondali proiettati su un panorama meccanico pneumatico, con piattaforme mobili e ingranaggi mossi a mano nel sottopalco e a piano palco, conferma l’attenzione di Lepage per un teatro che forzi la tradizione per farla assomigliare alla modernità.
La Trama
Frederic Lapointe, un canadese che scrive testi per canzoni rock è stato scelto dell’organizzatore dell’Opera Garnier di Parigi per scrivere il libretto di un’opera per ragazzi ispirata alla fiaba di Andersen, La Driade, storia di una ninfa abitante dentro la cavità di un albero, che rinuncia all’immortalità per andare a visitare per un giorno Parigi. Il terzo personaggio è un giovane immigrato marocchino Rashid, graffitista che lavora come cassiere in un locale porno.
Frederic arriva a Parigi pieno di speranze ma rimarrà deluso, l’organizzatore è abbandonato dalla moglie mentre Rashid gira libero per i metro a disegnare con lo spray. Entra in scena anche Hans Christian Andersen in persona, con il suo cappello a tuba, la sua passione per i viaggi e il suo turbolento amore non consumato per Jenny Lind. Il manager, frequentatore assiduo di peep show, una sera giocando con la lampada, racconta alla figlia la fiaba dell’Ombra di Andersen, storia inquietante dell’ombra che acquista potere e forza sull’uomo arrivando a distruggerlo. Dietro questa storia si nasconde la vera trama dello spettacolo, che mette in risalto le zone oscure dei personaggi, i loro turbamenti sessuali, i loro desideri, le loro aspirazioni artistiche represse, così come dietro la storia della Driade si nasconde il tema del risveglio alla sessualità e la sua prigionia diventa quella di Andersen rispetto alla rurale e conservatrice Danimarca (e forse anche quella di Lepage dentro l’enclave del protezionismo linguistico e culturale del Québec).
Come in altri solo show di Lepage (Les aguilles et l’opium, La face cachée de la lune) i personaggi vivono il dramma dell’insoddisfazione, dell’inappagamento e della tensione romantica verso un amore o una fama che non si realizza. In sostanza, Human beings who have hope and desires are always punished. I solo show di Lepage sono il luogo per eccellenza per raccontare la solitudine umana, ma anche l’incomunicabilità, la separazione, l’incatenamento a principi morali. Il drammatico percorso autoanalitico dalla rottura alla crisi al ricongiungimento passa per il telefono: i suoi personaggi sono un’umanità che vaga disperata con un telefono sempre in mano. Il contrasto tra i personaggi è quello tra Romanticismo e Modernismo, emblematicamente rappresentato dall’Expo di Parigi che Andersen visita nel 1867 – data questa anche della morte di Baudelaire che aveva dedicato proprio alla modernità il saggio Il pittore della vita moderna-. Come ricorda Lepage stesso: LEsposizione Universale del 1867 è la fine del Romanticismo parigino e linizio del Modernismo. E nel modernismo Andersen vede racconti di fate, macchine incredibili, un mondo maschile di machos, un universo realista, matematico, fondato su cose molto concrete (…). Mi rimproverano il Romanticismo, sia nella mia vita privata sia in quella professionale. Ma questi sono temi che tornano spesso nei miei spettacoli, il fatto che individui romantici si trovino in un mondo molto concreto dove cè poco spazio per la poesia, per leccesso, per le passioni.
Prevale ancora una volta in Andersen Project la figura dell’artista indipendente, libero dagli imperativi del mercato dell’arte. Ovvero, l’altra faccia di Lepage stesso. Ritorna la tematica già presente in altri spettacoli, da Vinci a Busker’s opera: l’artista afferma la propria libertà solo quando ha il coraggio di uscire dalla cornice dello show business.
La scena come un bulbo oculare
Lepage crea una scena avente vari livelli di profondità: un’enorme cornice serve come basamento per nascondere ciò che appare e fuoriesce – libero da coperture – dal sottopalco o dai lati del palco, grazie a trabocchetti e armature mobili. In epoche antiche come è noto, le salite e le discese erano comandate da un argano con montanti e pulegge. Non è escluso che Lepage abbia guardato proprio a questa tradizione della scenotecnica antica e che l’azione di scorrimento in orizzontale delle piattaforme su binari dal sottopalco e al piano possa essere stato effettuata con corde a mano (come già accadeva per La face cachée de la lune). Due binari paralleli infatti servono per il trasporto da un lato all’altro del palco, di oggetti, persone e ambienti (manichino, albero, marionetta, cavallino di legno, cabine telefoniche che diventano cabine per peep show) grazie a servi di scena vestiti di nero e pedane.
A un ulteriore livello di profondità si colloca una scena davvero originale: un raffinato panorama arretrabile concavo, bianco e abbagliante e che si eleva di circa 30° permettendo all’attore un brevissimo percorso in verticale, quanto basta per stare immerso dentro alcuni ambienti visivi proiettati, tra cui uno scalone interamente realizzato in 3D, il paesaggio di un treno in corsa e il muro della fermata del metro Les invalides dove Rashid-Lepage spruzza colore formando disegni e scritte realizzati in realtà, dal tecnico tramite Photoshop.
Questa struttura non è altro che una cavità vagamente somigliante a una chiglia di una nave o a un bulbo oculare e le proiezioni frontali sulla sua superficie, pur colpendo il corpo dell’attore vengono annullate da una luce bianca ancora più potente (generando così una doppia ombra…). Ma come cancellare ogni traccia di giunture e ottenere un efficace effetto di sfondamento prospettico all’orizzonte e soprattutto di interazione tra corpo e immagine? L’unico modo per dare vita a un prototipo di scena del genere senza utilizzare dispositivi invasivi è un sistema di panorama meccanico pneumatico che letteralmente aspira la stoffa in lycra o spandex che riveste la struttura facendola aderire alle pareti. Il sistema pneumatico permette non solo l’aspirazione ma anche la fuoriuscita d’aria, facendo diventare la cavità, da concava a convessa, e mostrandosi di fatto come una sorta di cornea oculare sopra la quale le immagini si deformano variamente o acquistano spessore e corpo. Quando la tela si espande verso l’esterno la struttura genera un effetto molto simile alle installazioni di Tony Oursler. Questa scena ha inoltre, un velario accessorio che permette ulteriori proiezioni e incrostazioni di immagini provenienti da una webcam.
La domanda è: perché Lepage ricorre a un simile marchingegno pneumatico il cui modello è possibile trovare sui manuale di scenotecnica?
La risposta si ha solo conoscendo in generale il suo teatro e la motivazione particolare che sta dietro a questo spettacolo: il suo image-based work come è stato definito si regge su un rapporto delicato e confidenziale e soprattutto artigianale tra corpo dell’attore, macchina e immagine, ogni volta studiato in modo diverso: probabilmente lo spettacolo più vicino a questo Andersen Project è Les aguilles et l’opium, in cui un attore era appeso sopra uno schermo a lavagna in spandex su cui erano proiettate immagini. Ma se la driade è incatenata all’albero, Lepage non è mai stato incatenato alla tecnologia, più semplicemente forza e piega la tecnica teatrale più antica e tradizionale ad arrivare agli stessi risultati, come per il set mobile di Elsinore e per la scena trasformista di La face cachée de la lune. Non sfugge a Lepage il dettaglio che la data del 1867 in cui Andersen arriva a Parigi è anche un anno cruciale per le invenzioni tecniche e per il perfezionamento di quelle già esistenti, dalla stampa alla fotografia al motore a scoppio. E’ l’anno del Canada diventato dominio del Commonwelth britannico, della seconda rivoluzione industriale e soprattutto della Grande Esposizione Universale di Parigi allestita pieno Secondo Impero napoleonico, in cui domina la fotografia anche grazie al successo delle cosiddette macchine ottiche per visioni stereoscopiche adatte alla percezione del rilievo, in sostanza l’antica progenitrice delle immagini 3D. Léon e Lévy sono infatti gli autori di ottantaquattro viste stereoscopiche per l’Expo, informazione sufficiente forse a giustificare in questo spettacolo la presenza quanto mai insolita nel suo teatro di una particolare macchina scenica di visione che simula appunto la profondità delle immagini. Così Lepage per rappresentare un mondo all’inizio della modernità rinuncia deliberatamente ad interagire con sistemi meccanico-protesici o ottici di rilevamento del movimento e del corpo nello spazio, o con dispositivi di visione polarizzata, per affermare che in fondo, non è la sperimentazione tecnologica più spinta a fare nuovo il teatro, ma un perfetto equilibrio tra contemporaneità tecnologica e sapere tecnico antico. Questione di punti di vista.
Anna_Maria_Monteverdi
2006-02-08T00:00:00
Tag: Robert Lepage (26)
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