Diario dai festival

Gli spettacoli dell'estate 2005 e il loro pubblico

Pubblicato il 22/08/2005 / di / ateatro n. 087

La riflessione che ha attraversato tanti operatori teatrali nelle settimane di festival estivi si è concentrata, anche con qualche spunto autocritico, sulla “questione del pubblico”. Non che negli anni scorsi questo tema sia stato assente o trascurato (anzi, ha caratterizzato le più incisive pratiche di molti stabili di innovazione e segnato le più feconde esperienze del Progetto Aree Disagiate), ma non è mai stato posto con tanta convinzione (magari dovuta forse ad una evidente costrizione) al centro delle analisi della crisi, né è mai stato indicato con tanta consapevolezza fra le principali possibili soluzioni all’immobilismo del sistema teatrale italiano, che ha scavato nell’ultimo decennio un fossato sempre più largo fra le generazioni ed i generi, con qualche stretto ed isolato ponte levatoio praticabile a pochi.
Se punto focale dei dibattiti diventa così il pubblico (o meglio i pubblici) dello spettacolo dal vivo, si può provare a ri-pensare molte delle analisi finora fatte ed a ri-definire alcuni principi fondamentali nel rapporto artisti/spettatori, progetti artistici/progetti organizzativi, sistema teatrale/sistema politico, a cominciare dalla delicata questione dei finanziamenti pubblici al teatro. Proviamo a ribaltare il pensiero guida della politica culturale delle sovvenzioni dalla difesa della libertà degli artisti (sacrosanta quando non diventa giustificazione per sopravvivere acriticamente) a quello della libertà dei pubblici (non subendone passivamente la domanda quanto piuttosto generandola). E poi a correlare anche ai pubblici le finalità del finanziamento pubblico, ribadendo in funzione dei pubblici il diritto della cultura e del teatro ad attingere alla fiscalità generale per la propria crescita (e non solo per la propria sopravvivenza!). Se lo spettacolo (insieme alla letteratura ed all’arte) è elemento ineliminabile del processo educativo e ciò che spinge il fruitore delle attività culturali è il desiderio/bisogno di accrescere il proprio stock di conoscenze, come possiamo sostenere che quanto oggi la stragrande maggioranza dei teatri propone vada in quella direzione e non, piuttosto, nella più sicura ed improduttiva offerta del “già conosciuto”? Il problema sta nella carenza di stimoli per il pubblico e per i creatori che si sono seduti sulle rendite di posizione con un eccesso di ripiegamento su di sé.

Ho fatto un tour fra alcuni festival estivi. A cominciare da Napoli con Teatri di Napoli 2005 incontri di teatro contemporaneo e teatro per le nuove generazioni, che si è svolto dal 16 al 19 giugno in alcune strutture della periferia: Teatro Aria Nord di Piscinola (affidata in convenzione a dal Comune a Liberascena ensemble), la palestra Scialoja a San Giovanni a Teduccio (affidata a Libera Mente ed a I Teatrini), il Museo di San Martino, il Chiostro di San Gregorio Armeno, il Teatro Le Nuvole Edenlandia oltre alle due sale del Teatro Nuovo. Questa seconda edizione ha confermato la vitalità del teatro napoletano ed il grande interesse ed affetto che circonda l’esperienza dei Teatri di Napoli (di cui si è parlato nelle Buone Pratiche 2004). La formula del festival prevede la presentazione da parte delle compagnie aderenti al progetto (Crasc, La Riggiola, Scena Mobile, Libera Mente, I Teatrini, Rossotiziano, Le Nuvole e Liberascena ensemble) delle loro ultime produzioni unitamente ad uno spettacolo indicato da ciascuna di esse nel pieno rispetto delle autonomie di ognuno. Le scelte di ospitalità quest’anno hanno privilegiato anche, in chiave serenamente polemica, alcuni soggetti che sono stati penalizzati, in alcuni casi arbitrariamente, dalla Commissione Prosa per le sovvenzioni 2004 (vale soltanto la pena di ricordare che le decisioni del Ministero sono state prese a novembre 2004 quando nessuno era più in grado di porre rimedio a tagli o azzeramenti), mentre non erano ancora note le decisioni per il 2005 (che hanno portato un ulteriore taglio medio del 4% spalmato su più o meno tutti).
Nello spettacolo di burattini napoletani dal titolo Se77e, ispirato al Settimo sigillo di Bergman, il sorprendente Gaspare Nasuto affronta con coraggio il tema bergmaniano della morte attraverso un Pulcinella che si interroga con intelligenza, grazia, ironia tutta napoletana sul senso della vita, pronto a dare una rivincita alla morte. E’ una guarattella per certi aspetti inquietante, che restituisce contemporaneità ad una delle più tradizionali forme di teatro popolare. Liberascena Ensemble ha presentato Museum, il progetto di Renato Carpentieri ambientato nelle sale del Museo di San Martino: nove performances affidate agli attori della compagnia su nuove drammaturgie fra cui La sala del pallone aerostatico ispirata a Nadar (uno dei più grandi fotografi dell’Ottocento) interpretato da Lello Serao, il debole omaggio a Heiner Müller de La sala delle macerie e l’intenso La sala dell’ultimo convito, un omaggio a Socrate e Diotima dai Dialoghi di Platone affidato al sempre umanissimo Renato Carpentieri (ideatore dell’intero progetto) e alla brava Patrizia De Martino. Molto bello lo spettacolo del Centro Diaghilev nella Sala Assoli del Teatro Nuovo su un testo di Mariano Dammacco, Assedio con Christian Di Domenico e Saba Salvemini per la regia di Simona Gonella: il pelide Achille è l’Eroe eccellente, metafora contemporanea dell’uomo di fronte alle costrizioni dei ruoli, e grazie ad una regia rigorosa che si mette al servizio dei bravissimi attori lo spettacolo restituisce con forza la poesia ed i paradossi della scrittura di Dammacco.

Christian Di Domenico e Saba Salvemini
ASSEDIO di Mariano Dammacco – regia di Simona Gonella

Tra gli altri spettacoli visti, Clinch con Stefano Jotti, uno sguardo dentro il mondo della boxe attraverso un pugile suonato forse un po’ troppo solo nella drammaturgia di Francesco Pititto e nella regia dello stesso Jotti, e Mac e Beth di e con Alberto Astori e Paola Tintinelli, uno studio forte e a tratti di qualche impatto, liberamente tratto dal Macbeth, dove la storia di un pallido delinquente e di una trapezista imperfetta scorre tra belle invenzioni sceniche e qualche forzatura di ritmo e di toni. Un ultimo accenno a Nessuna omelia, scritto, diretto ed interpretato da Gaetano Colella e Gianfranco Berardi (che due settimane dopo avrebbero vinto il Premio Scenario 2005 con un progetto che abbiamo poi visto a Volterra): questo spettacolo narra di un armistizio che dovrà mettere fine ad una guerra che si protrae da diversi anni e che fintanto non sarà firmato costringerà due capi di stato in una stanza, anche la notte di Natale. Una buona prova dei due attori su un interessante impianto drammaturgico con qualche ingenuità di regia che giustamente segna i primi lavori di questi due attori-drammaturghi pugliesi.

Armunia Festival Costa degli Etruschi rappresenta il luogo in cui è ancora possibile ritrovare quella saggia follia di cui sentiamo tutti la mancanza in un panorama teatrale innocuo, chiuso, incapace di provocare reazioni, positive o negative che siano. Grazie a Massimo Paganelli al Castello Pasquini di Castiglioncello si riesce sempre ad entusiasmarsi per qualche spettacolo o ad incazzarsi per la inutilità di qualcun altro, ma personalmente ricevo sempre la sensazione che il nostro teatro è ancora vivo, nella confusione di proposte che si accavallano dis-organizzativamente tra la Sala del Camino, l’Anfiteatro, la Tensostruttura di sopra e quella di sotto. Peccato, come dice Paganelli e come amaramente condivido, che tutto, il bello ed il brutto, resti poi lì, nelle sere toscane d’estate, e non riesce a vivere come potrebbe, come dovrebbe, negli spazi delle stagioni invernali d’Italia. A che serve allora rischiare continuamente per cercare quanto ancora di intensamente vivo c’è nel teatro italiano, investire danaro pubblico (e in questo caso davvero di investimento si deve parlare) se poi dei tanti spettacoli promossi attraverso residenze o coproduzioni o più semplicemente ospitalità che danno visibilità, quasi nessuno “parte” da Castiglioncello e quasi tutti si limitano ad “arrivare” là, senza speranza di proseguire. L’incredibile situazione del mercato italiano, tra circuiti pubblici timorosi di promuovere il ricambio degli artisti e del pubblico e teatri municipali arroccati sui propri stanchi abbonamenti, non riesce a cogliere le occasioni che la follia responsabile dei Paganelli gli offrono, pagando di persona il rischio dell’insuccesso.
Per fortuna Armunia esiste e consente il debutto di Cesso dentro, novità di Renato Gabrielli con Massimiliamo Speziani e la intensa regia di Sabrina Sinatti, uno spettacolo in cui, come raramente accade ormai, si incontrano in scena la forza del testo, la straordinaria bravura dell’attore, mai troppo “fuori” come pure il personaggio indurrebbe, ed il talento di una giovane regista che costruisce una trama visiva tra l’immaginario e il reale con grande equilibrio, raccordando le due parti in cui si articola il testo in un tutt’uno godibile e credibile. Ho visto per il terzo anno consecutivo lo spettacolo di Roberto Abbiati: dopo Moby Dick e Giraffe, questo artigiano dell’immaginario teatrale ha lavorato stavolta con Leonardo Capuano (un altro degli attori italiani che vengono tenuti inspiegabilmente da parte) su un’idea piccola ottenendo un grande risultato. Pasticceri – Io e mio fratello Roberto potrebbe sembrare uno spettacolo di teatro e cibo, ma non lo è, perché qui è la storia di due fratelli, una sorta di Cyrano e Cristiano che aspettano la loro Rossana, a dettare i ritmi drammaturgici e di regia, mentre soltanto le azioni che compiono ci immergono nei profumi della crema pasticciera o nelle visioni della panna che monta. E’ una storia dolce (in tutti i sensi) e melanconica, ironica e poetica, ma la voglia di far assaggiare le torte preparate in scena non giustifica il buttar via frettolosamente e semplicemente il finale. Vincenzo Pirrotta ha conquistato il pubblico del festival con la forza brutale del suo “cunto” ne Il tesoro della Zisa, mentre stranamente inquietante (a parte la melassa dei video) è stato Haikus della danzatrice portoghese Sonia Baptista, sospesa fra intriganti invenzioni minimaliste. Ho assistito, infine, ad una prova (a tre giorni dal debutto nazionale) de I Costruttori di Imperi di Boris Vian per la regia di Davide Iodice con Alessandro Benvenuti. In tre giorni gli spettacoli maturano, sedimentano poetiche e interpretazioni; quel che si può dire è che Iodice sfrantuma a suo modo il complicato testo di Vian forzandolo nelle solitudini di un perso Cruche e di uno Padre a cui Alessandro Benvenuti dà grande intensità e incantata sospensione dei sentimenti. Le repliche sapranno sciogliere alcuni irrigidimenti della regia, che si rivelano nei tecnicismi di alcuni attori.

PASTICCERI io e mio fratello Roberto
di e con Roberto Abbiati e Leonardo Captano (foto di Furio Detti)

Il Filo d’Arianna è il festival che il TIB da undici anni organizza a Belluno con l’intelligente e tenace direzione artistica di Daniela Nicosia, in una città che, sarà perché contornata dalle cime alpine, sembra una meravigliosa oasi di tranquillità e concretezza. Quest’anno, dal 28 giugno al 3 luglio, si è articolato in due progetti, uno dedicato a Pasolini ed uno a Museum di Renato Carpentieri (che abbiamo già incrociato al festival de I Teatri di Napoli 2005). Italia mia della Compagnia Babbaluck ha un inizio dello spettacolo che coinvolge assai di più dello svolgimento e poi si conclude con una immagine forte della banalizzazione dello spettacolare contemporaneo; da Museum l’ispirata Ismene con Patrizia De Martino in una cornice affascinante per semplicità e poesia resa ancora più emozionante dalla bella interpretazione dell’attrice napoletana. Molto interessante la serie di proiezioni pasoliniane in collaborazione con Riccione TTV precedute dalle riflessioni sempre puntuali di Massimo Marino. Una nota a parte merita lo spettacolo itinerante negli spazi nascosti del Teatro Comunale, Polvere, drammaturgia e regia di Daniela Nicosia: di che strana materia è fatto il teatro, di polvere che si alza e si trascina fra le parole dei tragici greci e del grande bardo fino a posarsi sul palcoscenico, dove in uno dei momenti più emozionanti del percorso gi spettatori sono portati a guardare il teatro dall’altra parte, da quella dove si rinnova la magia del raccontare per finzioni troppo vere per non crederci.

Susanna Cro (Fedra)
POLVERE ovvero La Storia del Teatro drammaturgia e regia di Daniela Nicosia

Sabato 1° luglio il festival ha ospitato un incontro dal titolo L’effimero che permane che è stato un importante momento di riflessione e di confronto tra artisti, critici ed operatori sul “teatro della periferia”. Partendo dall’esperienza del TIB (che gestisce il Teatro Comunale di Belluno e che, giova ricordarlo, non ha inspiegabilmente alcuna sovvenzione ministeriale), Daniela Nicosia ha ribadito come fuori dai grandi centri, il teatro in provincia abbia saputo ridisegnare la geografia di ampie zone del nostro paese puntando sulle professionalità artistiche ed organizzative (capaci di sollecitare un bisogno di teatro) e sulla passione (perché fare teatro è un atto necessario). Quello che va assolutamente modificato è il rapporto fra la critica e la provincia, fra le istituzioni nazionali e le periferie del sistema. Sia i critici che il Ministero devono attrezzarsi per riuscire a “leggere” i territori teatrali, nella loro diversità ma anche nelle loro grandi potenzialità di pubblico e di artisti, i primi ritornando ad essere testimoni indagatori del sistema teatrale ed il secondo adottando normative meno conservatrici e inventando parametri di valutazione più aperti al nuovo, al non misurabile. Si è proposto il riconoscimento degli “enti teatrali territoriali” riferiti appunto a tutti quei soggetti produttivi e di programmazione che svolgono un lavoro di radicamento nel territorio e di promozione del pubblico, valorizzando le esperienze di rete che si sono affermate negli ultimi anni. Lello Serao (Liberascena Ensemble) ha fatto scandalosamente appello alla “onestà” degli operatori, alla moralità dei comportamenti nei confronti delle altre compagnie e delle istituzioni locali, regionali e nazionali: la difesa corporative delle posizioni non paga e sta da anni colpevolmente immobilizzando il sistema. Alla critica anche Serao ha chiesto maggiore apertura e libertà di giudizio, senza necessità di “scrivere bigliettini da visita per il Ministero”. La mancanza di certezze, della certezza del diritto, è stata denunciata da Stefano Pasquini (Teatro delle Ariette) insieme all’arbitrarietà con cui il Ministero utilizza le norme in vigore, decretando o negando riconoscimenti e sovvenzioni indipendentemente dai risultati dell’attività. Paolo Aniello (Presidente Tedarco) ha sostenuto che “il pensiero della politica è il pensiero degli operatori” sollecitando l’assunzione di maggiori responsabilità nei processi innovativi da parte di chi riveste responsabilità artistiche ed organizzative, Cristina Palumbo (Associazione Echidna) ha chiesto agli operatori di “smetterla di fare i committenti della politica di destra o di sinistra” mentre Andrea Porcheddu ha cercato di spostare il punto di vista stimolando con l’esempio delle Olimpiadi di Torino un approccio al sistema teatro come “sistema lavoro”, poiché stiamo attraversando una crisi di modello piuttosto che di sistema, perché il sistema cultura, a differenza di quello industriale (Fiat, Alitalia) e di quello finanziario (Parmalat, Cirio) tira ancora (gli Uffizi non sono in crisi!). Tesi difficile da sostenere se confrontata con i dati (della BorsaTeatro) delle repliche degli spettacoli prodotti nella scorsa stagione 2004/05 per i quali più della metà degli spettacoli non ha raggiunto le 30 repliche.
Non vi è dubbio che bisogna cambiare le regole del finanziamento pubblico allo spettacolo, ma da solo, e soprattutto in mancanza di un pensiero nuovo questo non basterà. L’incontro di Belluno ha segnato con vigore l’urgenza di costruire un nuovo sistema teatrale plurale, fondato sulla diversità dei soggetti (per storia, per dimensioni, per capacità), ma tutti con pari dignità rispetto alla critica ed alle istituzioni e tutti valutati in funzione dei risultati che producono. I dati del decennio 1990-2000 denotano la persistente debolezza strutturale della domanda di spettacolo, come se in un campo da baseball mancasse il ricevitore: è inutile giocare, non si va a punto. Il tema centrale degli anni che stiamo per affrontare sarà la formazione di un pubblico interessato. Poiché mi sembra azzardato e poco conveniente chiedere una nuova classificazione di soggetti nelle normative regionali e statali (dovremmo invece cercare di semplificare), piuttosto che invocare il riconoscimento di nuovi “enti teatrali territoriali” bisognerebbe davvero avere la forza ed il coraggio di ri-pensare le diversità (dei grandi centri e dei territori periferici, dell’innovazione e della tradizione, del teatro pubblico e del teatro privato) e di riordinare la scala delle priorità (in primo piano i risultati nella promozione di nuovo pubblico e nuovi artisti, sullo sfondo i criteri economicistici e quantitativi che oggi impropriamente governano imprese ed istituzioni culturali).

A Brescia da ormai cinque anni si svolge la Festa internazionale del Circo Contemporaneo ideata e diretta da Gigi Cristoforetti e promossa dal Comune. Ciò che più colpisce è la straordinaria partecipazione di pubblico, dei tanti pubblici: dagli operatori che si chiedono ogni volta perché il nuovo circo resti fuori dalle programmazioni dei loro teatri (ma poi continuano a presentare i soliti spettacoli per il solito pubblico), al pubblico del teatro che finalmente ritrova stimoli ed emozioni così scarse nelle loro stagioni tradizionali, al nuovo pubblico che si diverte, si fa coinvolgere, si appassiona allo spettacolo dal vivo. Sarà la magia dello chapiteau, sicuramente spazio comune ed identitario per eccellenza, ovvero la apparente semplicità del linguaggio degli artisti del nuovo circo, ma l’applauso finale di tutti agli spettacoli a cui ho assistito era gioioso, liberatorio, soddisfatto dell’esperienza collettiva vissuta davanti all’acrobata Eric Lecomte con il suo 9.81, ai giovani danzatori-giocolieri de Le Parti Pris de choses o allo straordinario Anatomie Anomalie della compagnia Anomalie presentato al Teatro Sociale per i danni subiti dallo chapiteau grande a causa del nubifragio abbattutosi su Brescia la sera precedente.

Sabato 2 luglio si è svolto un incontro, il secondo, per la definizione di un progetto coraggioso ed ambizioso, Apripista 06, a cui hanno partecipato operatori di tutti Italia, (Roberto Ricco del Kismet di Bari, Alessandro Serena di Pantakin di Venezia, Silvano Sbarbati del Teatro delle Muse di Ancona, Dino Somagrossi del Festival di Dro, Umberto Angelini del Festival L’Uovo di Milano, Franco Ungano di Koreja di Lecce, Beno Mazzone del Teatro Libero di Palermo, Giulia Basel del Florian di Pescara, Antonio Geroni del Centro Documentazione Arti Circensi) insieme allo stesso Cristoforetti ed al direttore dell’ETI Marco Giorgetti, che ha ribadito il “nuovo corso” dell’ente per il coordinamento organico delle diversità dei territori e dei soggetti in un rinnovato (recuperato) spirito di servizio. Il progetto intende realizzare quattro mesi di tournée (autunno/inverno 2006/07) di uno spettacolo di nuovo circo affidato alla regia di un importante regista teatrale europeo, sollecitando Enti Locali, teatri e compagnie presenti sul territorio a sperimentare modelli trasversali di collaborazione. Ogni città ospiterà per minimo una settimana due chapiteau (uno grande – quattro antenne – ed uno più piccolo – due antenne) in cui saranno programmati lo spettacolo in tournée e diverse attività formative o performative di circo, di teatro, di danza, di musica, declinate secondo l’identità di ciascun luogo e dei partner coinvolti. Si cercherà così di rinnovare in altre città il successo “popolare” della Festa bresciana, colmando la distanza, che si sta aggravando, fra proposte di spettacolo e pubblico, recuperando il ritardo delle programmazioni teatrali italiane rispetto alla diffusione del circo contemporaneo e rinforzando o addirittura promuovendo reti di nuova distribuzione (i circuiti regionali resteranno a guardare?). Dalle dichiarazioni d’intenti bisognerà ora passare alla realizzazione concreta di accordi e convenzioni, calendari e budgets, programmi e promozione, cioè la fase in cui più difficile è mettere insieme i teatranti, ma la speranza è che la forza del progetto e l’entusiasmo dei promotori riesca finalmente a rinnovare i processi di distribuzione/programmazione del sistema teatrale italiano.

Compagnie Anomalie ANATOMIE ANOMALIE
Messa in scena e scenografia: Martin Zimmermann


Il Sud dei festival sta proponendo da qualche anno un appuntamento che sta crescendo per importanza e qualità delle proposte: il Festival internazionale di Andria Castel dei Mondi, legato ad uno dei luoghi più affascinanti e meravigliosi del mondo, il federiciano Castel del Monte, a pianta ottagonale con otto torri ottogonali. Questa edizione è stata l’ultima del triennio affidato alla direzione di Pamela Villoresi e Mimma Gallina, sviluppatosi sotto il titolo Geografie immaginarie tra “Europa e vecchi mondi” (2003), “Vie di fuga e mondi nuovi” (2004) fino a “Città ideale, città globale” (2005). Il bilancio non può che essere positivo, vista l’accresciuta visibilità del festival, l’interesse che ha conquistato fra gli operatori ed il crescente rapporto con il mondo della produzione teatrale pugliese. Credo sia questo il punto più delicato dello sviluppo futuro, poiché proprio uno spazio “franco” come quello di un festival – per definizione “concentrato” di tempi, di luoghi, di idee – può sperimentarsi il confronto fra le proposte di largo respiro internazionale e la capacità di un territorio di esprimere le proprie tensioni, le proprie capacità artistiche ed organizzative.
Quest’anno Castel dei Mondi è stato anche ribalta del teatro pugliese, ha promosso un bando per la produzione di un nuovo progetto teatrale presentato da giovani compagnie meridionali (vinto da Roberto Corradino con La commedia al sangue liberamente ispirato a Di questa vita menzognera di Giuseppe Montesano) e per la prima volta ha trovato la collaborazione del circuito regionale del Teatro Pubblico Pugliese. Ma il rischio del futuro per il teatro pugliese sta nella partecipazione al festival fine a sé stessa, se non riuscirà a far partire proprio dalle giornate andriesi un nuovo orgoglio (non localistico, né protezionistico) del lavoro culturale e teatrale. Da anni si richiamano i successi di pubblico e di critica degli spettacoli di alcune compagnie pugliesi e si iniziano a raccogliere i frutti istituzionali (più a livello nazionale che regionale, invero) di questa nuova visibilità; ciò che stenta a radicarsi ed a farsi normalità è il rapporto con la Regione e con gli Enti Locali, ma anche una nuova consapevolezza di sistema (potremmo dire di concorrenza solidale) fra le compagnie ed i teatri pugliesi. Castel dei Mondi potrebbe divenire laboratorio di attenzione per le relazioni fra istituzioni, enti ed operatori teatrali, favorire collaborazioni trasversali produttive e di programmazione. Peccato che non si sia riusciti ad organizzare un incontro delle compagnie pugliesi a conclusione del triennio del duo Villoresi-Gallina, perché ho l’impressione che motivi inconfessati abbiano impedito di cogliere un’importante occasione di confronto interno al sistema teatrale e fra questo e le Pubbliche Amministrazioni, sfruttando l’importante apertura della direzione del festival nei confronti del teatro pugliese. Se, come c’è da augurarsi, il Comune di Andria confermerà la stessa direzione artistica per un altro triennio, speriamo che si crei tra il festival ed il teatro pugliese un rapporto profondo, capace di lasciare il segno anche dopo le settimane estive all’ombra di Federico II.
Koreja ha presentato ad Andria Il pasto della tarantola, ormai quasi un cult, che attraverso postazioni in cuffia promuove la degustazione guidata di prodotti tipici della tradizione salentina accompagnata da interventi multimediali di due attrici. Nello scenario unico di Castel del Monte (peccato che per motivi logistico-ambientali non sia possibile avere il profilo del castello sullo sfondo, sarebbe davvero magico) Giovanni Sollima e l’Orchestra della Provincia di Bari (bell’esempio di collaborazione con le Amministrazioni e di sostegno agli organismi produttivi pugliesi) ha donato ai numerosi spettatori una serata di grandissima intensità musicale proponendo alcune fra le sue più belle composizioni (da Songs from the Divine Comedy al Federico II del Viaggio in Italia, a Spasimo). Ancora teatro pugliese con Accadueò del Teatro Minimo, una delle realtà più interessanti e significative del fermento che in questi ultimi anni ha segnato il panorama regionale: lo spettacolo segna un ulteriore importante passo in avanti nel lavoro d’attore di Michele Sinisi (che dovrebbe misurarsi presto con un grande testo) ed in quello di drammaturgo di Michele Santeramo. Il Kismet ha presentato in anteprima la drammaturgia di Mariano Dammacco (che cura anche la regia) da Alberto Savinio La nostra anima, che rivela le qualità d’attrice di Monica Contini, fuori dagli stereotipi del teatro ragazzi cui è sempre stata più o meno legata. Il lavoro di Dammacco, più nella riduzione drammaturgia che in una regia ancora un po’ ingombra di riferimenti non sempre giustificati, riesce in più momenti a restituire con intelligenza ed ironia il mondo visionario e variegato di Savinio.

Monica Contini
LA NOSTRA ANIMA testo e regia di Mariano Dammacco

L’ultimo festival frequentato è stato VolterraTeatro del Nuovo Mondo 05, dove non sono riuscito a vedere il lavoro di Armando Punzo, direttore artistico del festival, con la Compagnia della Fortezza (Appunti per un film), né la serata conclusiva (P. P. Pasolini ovvero Elogio al disimpegno). Volterra è il luogo “comune” dove operatori e pubblico si incontrano per verificare – i primi – e conoscere – i secondi – le idee nuove che percorrono i territori del teatro e quelli limitrofi, senza quasi soluzione di continuità, ma con attento interesse reciproco. Nelle due sole giornate trascorse a Volterra ho ritrovato quella vivacità di partecipazione e commistione di linguaggi che dovrebbero essere l’elemento irrinunciabile di ogni appuntamento che si proponesse di interrogare il presente e scrutare il futuro del teatro (lungi dalle beghe più o meno politiche, più o meno private che stanno svilendo la capacità di attrazione e la forza innovatrice di Santarcangelo dei Teatri, dove si spera si arrivi presto ad un azzeramento delle cariche e dei ruoli per il rilancio del festival). All’arrivo in città sono stato accolto dalla carica “eversiva” di Alessandro Benvenuti (lasciato qualche settimane prima a Castiglioncello nel ruolo del Padre nei Costruttori di imperi) con la Banda Improvvisa in uno concerto-spettacolo travolgente dal titolo Benvenuti… in banda!, ovvero come si prepara (sotto il cielo d’estate) con un attore che vuol essere cantante uno spettacolo di poesia e musica e una banda musicale che suona il mondo”. E il titolo è tutto vero, perché le stonature di Benvenuti nelle canzoni di Paolo Conte, di Francesco De Gregari, di Rino Gaetano, di Giorgio Gaber lasciano immaginare il mondo di tutti noi, dietro la nostra banda, alle prese con la nostra capacità di trasognare.

LA MANO di Luca Doninelli con Ermanna Montanari
regia di Marco Martinelli (foto di Enrico Fedrigoli)

Il Teatro delle Ariette ha riproposto nel Parco di San Pietro il progetto di Paola Berselli e Stefano Pasquini coprodotto con Santarcangelo 2004 L’estate. Fine, spettacolo che alterna momenti di festa popolare (il ballo e poi la abituale cena stavolta a base di riso, cipolle e salsicce) a grandi emozioni collettive (le domande del poeta friulano, lo straziante liscio solitario sulle note di Romagna mia, il desolante imboccamento del vecchio contadino costretto sulla sedia a rotelle). Al Teatro Persio Flacco il Teatro delle Albe ha presentato l’ultimo lavoro di Marco Martinelli, La mano. De profundis rock su testo di Luca Doninelli e la grandissima interpretazione di Ermanna Montanari. Bellissimo il disegno luci di Vincent Longuemare (gotico, per le sue continue variazioni di colori e di tagli e lo sfondo che muta rimandando ora alle cattedrali del nord ora alle discoteche più hard) sull’impianto scenico di Edoardo Sanchi e la regia del suono di Luigi Ceccarelli (calibratissima anche se un po’ a tratti ridondante). Lo spettacolo ruota intorno al diario di Isis, sorella e suora non accettata da nessun convento di uno dei più grandi chitarristi della storia del rock, quel Jerry Geramia Olsen che si troncò la mano sinistra con una scure per diventare più grande di sé stesso. E’ un lavoro collettivo, di continui sfalsamenti fra regia, suono e luci in cui la Montanari domina con la sua voce, a volte riuscendo ad oscurare tutto intorno a sé, lasciandoci in sua meravigliosa balìa.
La Generazione Scenario 2005 rappresenta il risultato di lunghe selezioni territoriali, di due tappe intermedie e della finale a Santarcargelo. La sensazione ricevuta vedendo a Volterra i due spettacoli segnalati ’O Mare di Taverna Est e DAMM Teatro di Napoli e soprattutto 11/10 in apnea di Teatro Sotterraneo di Firenze è di una edizione di passaggio, dopo le rivelazioni degli ultimi anni, che segna l’incertezza e la confusione nelle nuove generazioni teatrali, alla riconquista della parola ma senza riuscire a fare i conti fino in fondo con la drammaturgia e le tecniche d’attore e di regia da cui non si può prescindere quando si rappresenta un testo. Il lavoro dei giovani attori di Napoli, ma di nazionalità diverse, con una bella storia attraversata dalla vitalità della musica di strada ha sicuramente più forza e più teatralità dell’incerto e confuso lavoro fiorentino.Convince e sorprende per intensità e rigore il vincitore del Premio Scenario Il deficiente di Gianfranco Bernardi e Gaetano Coltella accompagnati in scena da due attori pugliesi fra i più interessanti degli ultimi anni, Angela Iurilli e Pietro Minniti. Lo spettacolo è capace, pur nella versione del frammento di venti minuti (come nel regolamento del premio), di suscitare emozioni e di confermare la necessità di fare teatro del Sud, di affidare al teatro le tensioni e le passioni della società mediterranea, crocevia di ogni tempo nel di

Franco_D’Ippolito

2005-08-22T00:00:00




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