Romeo e Giulietta in pizzeria
Il teatro di Oskaras Korunovas
“Allinizio Eurinome, Dea di Tutte le cose, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo e intreccio, sola, una danza sulle onde. Sempre danzando si diresse verso sud e il vento che turbinava alle sue spalle le parve qualcosa di nuovo e di distinto; pensò dunque di iniziare con lui lopera della creazione… subito essa, volando sul mare, prese la forma di una colomba e, a tempo debito, depose lUovo Universale da cui uscirono tutte le cose esistenti figlie di Eurinome: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra con i suoi alberi e con le erbe e le creature viventi.
Quando ho visto per la prima volta lo spettacolo Įstabioji ir Graudioji Romeo ir Duljetos Istorija, durante il Festival del Teatro Sirenos, Vilnius 1 ottobre 2004, ho intuito la straordinaria capacità del regista di concepire la tecnica registica non come semplice rappresentazione di un testo sulla scena, ma come punto di partenza di qualsiasi creazione teatrale: è il creatore unico, cui spetta la responsabilità dello spettacolo e dellazione. Per questo motivo ho citato il mito pelasgico della creazione, di cui scrive Robert Graves nel libro I miti greci, perché Oskaras Korunovas ogni volta che crea uno spettacolo da un nome alle ombre, le guida, dà loro la vita.
Il suo teatro è essenziale perché è la rivelazione, la spinta verso lesterno della dimensione più profonda dello spirito umano: in Įstabioji ir Graudioji Romeo ir Duljetos Istorija, servendosi di tutti i mezzi espressivi quali i gesti, i suoni, la musica, le parole, la luce, rappresenta lAmore, la Discordia, la Pietà, lAssassinio, lAmicizia, lIra, la Nemesi, la Vendetta, la Collera, il Fato, la Morte, tutti i temi presenti nella tragedia di William Shakespeare, sentimenti di cui si nutre lUmanità e che agiscono sulla scena come simbolo e archetipo: la farina, certezza del pane, metafora della vita e della sopravvivenza acquista una valenza simbolica negativa.
La scena è occupata da due pizzerie, immagine speculare delle famiglie Capuleti e Montecchi, portatrici entrambe di Odio, Vendetta, Potere. Le due strutture metalliche simmetriche compongono una croce, presagio funesto e al centro della scena un recipiente metallico, un impastatore che contiene la farina, un vaso di Pandora “che tutto dona nel quale si trovano tutte le Pene di cui si nutre lUmanità. La farina è la Discordia, è la Passione, è la maschera tragica della morte; è lOdio che si esprimono reciprocamente le due famiglie e che troverà la sua Pena nella morte, prima, di Mercuzio e Tebaldo e poi nei due giovani, innocenti, amanti, Romeo e Giulietta. Sul finale i loro corpi giacciono su quel recipiente che ha generato il Male sacrificando gli unici fiori di tanta stupidità.
Ritrovo negli spettacoli di Oskaras Korunovas un linguaggio che appartiene ai sogni, che sonda gli strati più oscuri della coscienza. Ritrovo sulla scena la proiezione del pensiero, della verità non detta, non esternata: in Oidipas Karalius lo spettatore è intimamente coinvolto nella dimensione mentale infantile di Edipo. Il suo dramma contorto è subito annunciato nelle prime scene: i figli di Cadmo, tanti bambini con la testa smisuratamente grande, presagio inquietante, sono il tema della figliolanza di Edipo, figlio parricida, figlio innaturale, sposo della madre, fratello-padre di figli assurdi, figlio a cui e stata negata la naturale felicita di vivere con i genitori autentici, sacrificato a opera del padre Laio con il consenso della madre Giocasta, autori dellattentato alla sua vita.
La Peste sconvolge Tebe, la peste e il momento del Male, trionfo delle forze oscure: appare Edipo, mitico paradigma di Cadmo, fondatore e capostipite di Tebe e, come scrive (4) Ezio Savino, leroe sagace, sterminatore di mostri, e nel quale Edipo, tebano inconscio, convinto ancora di essere corinzio, decifratore di enigmi e uccisore della Sfinge, superbamente si rispecchia. Vuole salvare la popolazione ma e egli che sara indicato come la perversa radice del male che tortura Tebe in quanto uccisore di Laio.
Sono presenti sulla scena la reggia di Edipo, gli altari, le effigi, il coro e il corifeo ma lo spettatore assiste ad una trasposizione di segno: la reggia è un parco giochi dove tanti topolini agiscono come il coro e il corifeo è un grande orso che nellimmaginario infantile è il fedele amico al quale ogni bambino ha confessato le più intime sensazioni e che via via che il dramma si svolge, porta i segni sul corpo dello sfogo agressivo della coscienza di Edipo.Il ruolo drammatico di profeta delle sue sciagure è Tiresia, qui, un burattino-pinocchio, bugiardo, come Edipo desidererebbe che fosse.
La morte naturale di Polibo, supposto padre, allevia Edipo dallorrore del responso delfico portato dal messaggero il quale, dopo una luminosa schiarita, comunica a Edipo che egli non è il figlio di Polibo e il dramma ripiomba nella situazione più disperata: la mente del protagonista è travolta dalla girandola dei sensi, violata, disturbata, devastata dagli eventi tragici. Il suo corpo gira, gira su quello che sulla scena è un dondolo-altalena. Il coro che, partecipe della catastrofe, compone una danza luttuosa accompagnando in questo vortice il protagonista, non ha più il volto di tanti topolini, ma le mashere di volti umani.
Edipo si acceca e la mutilazione impedirà allo sciagurato di guardare in faccia i suoi quando calerà nellAde e questo avviene nel momento in cui tutto e chiaro, in cui Edipo ha scoperto il suo essere. Anche lenigma della Sfinge serbava, celata, la verità: il bambinosacrificato, luomo guerriero parricida, il vecchio espulso, in quanto parricida, dalla terra nativa.
E ancora sul finale, quando arrivano le figlie Antigone ed Ismene, lo spettatore assiste alla proiezione illusoria e quasi mostruosa delle due giovani, in quanto figlie sorelle, nella mente di Edipo.
Il grande paradosso della tragedia sofoclea si spiega anche con le idee freudiane sulla rimozione: (vedi George Groddeck nel Linguaggio dellEs) non esiste percezione senza rimozione, cio che vediamo con locchio è in parte rimosso. Edipo vedeva e aveva rimosso la verità che si manifestava negli eventi, ora, cieco, vede tutto, non ha più la possibilità di fuggire a se stesso.
Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov è sì un romanzo satirico contro il regime stalinista, è la storia del diavolo celato sotto il nome di Woland che arriva con la sua corte nella Mosca degli anni Venti per affermare i valori del Male autentico e quindi del Bene autentico ed è la storia del Maestro, autore di un libro su Ponzio Pilato, aspramente criticato, e dellamata Margherita la quale si farà strega e presiederà al gran Sabba, condizione necessaria per ottenere la liberazione dellamato Maestro, ma è molto, molto di più.
Il regista Oskaras Korunovas nella direzione del suo spettacolo, narrando con precisione gli eventi, ha colto lessenza del capolavoro di Bulgakov: la fantasia, lironia, la satira sociale, la politica, le inquietudini metafisiche, i conflitti fra ragione e fede, gli spessori della psiche, i fantasmi onirici, la visionarietà: quasi una concezione unitaria delluomo contemporaneo.
Riuscire a rintracciare questa immagine vuol dire aprirsi a una più ampia comprensione dei rapporti simbolici tra uomo e mondo. Magistralmente ha rappresentato il Volo di Margherita e il Gran ballo di Satana. Servendosi di uno schermo ha mostrato questo momento del romanzo come una via nuova, una via che porta a concepire il tutto apparente come simbolo delluniverso: la prima immagine è quella di un secchio, idea di procreazione, nascita, cavità interna, gaster (ventre) e da esso, poi, paesaggi, alberi, fiumi, evasione dal mondo per raggiungere la meta, il superamento del proprio Io, meta di ogni aspirazione umana. Si percepisce lemanazione di certe forze dove si evidenzia più nettamente lelemento femminile ed è presente listinto allunione; si potrebbe usare lespressione greca meignysthai (mescolarsi).
Dopo questa esperienza, Margherita avrà il suo Maestro, il suo amore, il suo simbolo: noi amiamo ciò che è simbolo di noi stessi e ciò che noi stessi siamo.
Sarà presente, nel finale, ancora il nesso Amore-Morte. Ma la morte del Maestro e Margherita, che ha preservato il suo cuore gonfio nellattesa di ricongiungersi con lui, vedrà la luce di Dio. Il loro morire non è la fine, bensì la condizione necessaria al divenire.
Bibliografia
Giuseppe Salvatori, Storia miti e canzoni degli antichi lituani, Roma,
Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Giulio Einaudi Editore s.p.a, 1968.
Robert Graves, I miti Greci, Milano, Longanesi & C., 1985.
Sofocle, Edipo Re, Milano, Garzanti, 1999.
George Groddeck, Il Linguaggio dellEs, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1975.
Stefania_Bevilacqua
2005-03-21T00:00:00
Tag: KorsunovasOskaras (3), William Shakespeare (49)
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