Libri & altro: la prima monografia italiana su Robert Lepage

Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, pref. di O. Ponte di Pino, Pisa, BFS, 2004, pp. 159, €15.00

Pubblicato il 29/01/2005 / di / ateatro n. 080

Esce in Italia la prima monografia su Robert Lepage, uno dei maestri della regia contemporanea. Canadese (Québec City, 1957), formatosi alla scuola di Lecoq, si è fatto conoscere in Europa con spettacoli di alto rigore stilistico e di innovativa ricerca tecnologica, come La trilogie des dragons, Polygraphe, Les aiguilles et l’opium, La face cachée de la Lune. Anna Maria Monteverdi, che ha potuto accedere ai materiali d’archivio conservati a Québec nella sede di “Ex Machina” e seguire la produzione di spettacoli a Montréal, gli dedica questo volume che ne tratteggia la complessa personalità e ricostruisce il multiforme itinerario della sua ricerca visiva, mettendone in rilievo sensi ed esiti. In tale ritratto puntuale della sua attività, nel quale l’autrice non trascura il milieu del teatro contemporaneo del Quebec né l’ispirazione sostenuta dalla conoscenza delle tradizioni sceniche europee (mimica, scenotecnica, improvvisazione, ecc.), emerge il ruolo fondamentale che Lepage riveste nella ricerca teatrale dopo la seconda avanguardia novecentesca, che ha avuto per protagonisti il Living, Grotowski, Brook, Wilson.
Il teatro di Lepage viene così a diritto inserito nella feconda dialettica del nuovo teatro, per le soluzioni originali e ancor più le prospettive che inaugura riguardo i molteplici piani della invenzione, dalla scrittura scenica alla recitazione, dalla illuminotecnica alla tecnologia di scena. Particolare attenzione dedica lo studio alla macchina scenica per La face cachée de la Lune e alle metamorfosi della scena per Elseneur. Ne risulta indubbiamente un saggio storico sul nostro più recente teatro ma anche una discussione critica riguardo i più incalzanti problemi tecnico-formali della nuova scena.
A ragione rileva Oliviero Ponte di Pino nella Prefazione che “l’argomentazione di Anna Maria Monteverdi fa piazza pulita di alcuni fuorvianti luoghi comuni, riconducendo l’uso della tecnologia alle origini del teatro, alla maschera, e dunque all’essenza profonda del fatto teatrale, alla sua dimensione rituale.” Si leggano i capitoli dedicati all’attore-specchio-macchina, all’arte veicolo, al teatro-immagine, ai legami con il cinema, alla creazione infinita: “La realizzazione – nota l’autrice – è dunque sempre provvisoria per definizione. L’opera è sempre un non finito, lo spettacolo è sempre una questione di spazio e di tempo: quando è stata fatta e dove è stata fatta. Questo significa che anche dopo la prima presentazione pubblica la forma dello spettacolo continua a modificarsi, si evolve con le nuove idee, con motivi e con tematiche con cui l’autore viene in contatto. La forma, come affermava Carlo Ludovico Ragghianti in riferimento a ogni manifestazione del linguaggio visivo, si identifica col suo processo costruttivo”.
Riguardo l’acceso dibattito intorno alla tecnologia a teatro, di particolare interesse il capitolo: “La tecnologia è la reinvenzione del fuoco”, nel quale, facendo propria una immagine dello stesso Lepage, l’autrice affronta il problema dell’uso delle macchine a teatro secondo una originale prospettiva che ampia l’orizzonte della discussione, il più delle volte confinato nella esaltazione o denigrazione delle attuali sperimentazioni. Lo sguardo si rivolge indietro alle origini del teatro e invita a riflettere sulle ‘contaminazioni’ che la ‘poetica’ della macchina scenica produsse nel Nocevento. E, ricordando in particolare E. G. Craig, richiama la funzione che la luce da sempre ha avuto nella storia del teatro, dalla pietra ad arte levigata che proiettava ombre narranti se sapientemente illuminata dal fuoco agli accecanti bagliori dei moderni generatori. Lepage pone la tecnologia in stretta relazione con una comunità di uomini che si ritrova a teatro: “All’inizio del teatro – egli dice – molti secoli fa, l’attore parlava, davanti a lui c’era il fuoco e dietro l’ombra… Il fuoco è stato rimpiazzato dalla tecnologia, ma la gente viene ancora a teatro a sedersi intorno al fuoco… Io devo reinventare l’utilizzo del fuoco ogni volta”. La macchina, a teatro, invece di togliere umanità all’uomo è ciò che gli permette di riconquistare la dimensione perduta nell’uso inconsulto e maniacale delle macchine del vivere quotidiano, che isolano ma non radunano, che distruggono memoria e narcotizzano. Di nuovo, come per Artaud, per Beck, per Craig, il teatro, anche per mezzo della sua tecnologia, si pone come ‘la casa dell’uomo’ dalla quale è stato allontanato e alla quale inevitabilmente sente di dover tornare.
Il libro, oltre a essere corredato di aggiornate biblio-teatrografie, per la prima volta approntate per Robert Lepage, riporta in appendice l’illuminante intervista fatta dall’autrice allo scenografo, Carl Fillon, che illustra il metodo di lavoro del regista e della sua équipe, dalla idea alla realizzazione e, infine, alla produzione dello spettacolo. Dunque il volume è anche uno strumento utile per quanti, docenti e studenti, ma anche teatranti, vogliano accostarsi a un teatro “in cui la terribile e incomprensibile realtà del nostro tempo sia inseparabilmente unita ai dettagli insignificanti delle nostre vite quotidiane”, come ha detto del teatro di Lepage Peter Brook, occhieggiante dalla quarta di copertina.

Anna Maria Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, pref. di O. Ponte di Pino, Pisa, BFS, 2004, pp. 159, €15.00.

Fernando_Mastropasqua

2005-01-29T00:00:00




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