Libri & altro: Letteratura e teatro il testo drammatico e lo spettacolo secondo De Marinis
Marco De Marinis, Visioni della scena. Teatro e scrittura
Il volume Visioni della scena di Marco De Marinis, direttore del Dams di Bologna e docente di “Semiologia dello spettacolo”, uscito a distanza di pochi anni da In cerca dellattore (2001) che partiva, auspice Fabrizio Cruciani, dallidea dellinvenzione linguistica ed espressiva di una “drammaturgia dello spazio scenico” a opera dei fondatori della regia moderna, raccoglie testi e saggi presentati in antologie, riviste, atti di convegno internazionali sul rapporto tra teatro e letteratura. Un rapporto che ha dato vita a quellinfinita querelle recentemente ritornata in grande auge, tra la superiorità del testo (testocentrismo) o della scena di cui De Marinis tratta nel capitolo Il testo drammatico: un riesame. Laffinità tra novella e dramma in Pirandello, la poesia a teatro (Brecht e Beck; il repertorio del primo Living Theatre, Bene e De Berardinis), lavanguardia teatrale “post Brecht” negli scritti critici di Barthes, le autobiografie o mémories degli attori: il libro accoglie in maniera originale, proprio questa varietà di scritture che abitano il luogo teatrale: un luogo di inedite e feconde intersezioni tra testi drammatici, saggi critici, teorie, memorie, autobiografie, accomunati -come ricorda lautore- nello stesso statuto di scritture teatrali e di visioni della scena.
Nellintroduzione viene efficacemente chiarito il compito e il campo di indagine del teatrologo: si tratta innanzitutto di comprendere cosa si intenda per “esperienza teatrale”, ridimensionando (o rovesciando) quellestraneità o superficialità o addirittura incomprensione rispetto al fatto artistico di spettatore e studioso spesso ingiustamente denunciata dagli artisti. Il punto di partenza di queste considerazioni è una frase di Stanislavskij ripresa da Barba:
Quando Stanislavskij parla di inconscio, Mejerchold del “ricamo sul canovaccio dei movimenti”, o Craig di “Uebermarionette” gli equivoci non nascono dallimprecisione o dal carattere figurato dellespressione, ma dal fatto che solo pochi hanno esperienza dellarte tra coloro che ascoltano o leggono. E difficile capire il riferimento tecnico, concreto, circostanziato di queste espressioni che diventano volubili metafore. (E. Barba, La canoa di carta, 1993).
De Marinis sulla base proprio dellesperienza diretta dellISTA International School of Anthropology fondata da Barba, indagando la dimensione della conoscenza-comprensione del teatro e del suo diretto uso (la teoria e la pratica teatrale), ridimensiona il giudizio di Barba e propone una (re)visione del fare teatro in base al quale i tre elementi chiamati in causa (attore-spettatore-studioso) sono necessari luno allaltro, non uno senza laltro:
Si può fare teatro non soltanto producendo degli spettacoli, ma anche guardandoli, ossia: studiandoli, scrivendo su di essi, tramandandone la memoria, facendone la storia, indagandone i processi… Lo spettatore non è un attore fallito, o mancato: è, in quanto tale, laltro indispensabile protagonista della relazione teatrale (così come il lettore non è, ovviamente, in quanto tale, uno scrittore fallito o mancato). Ma se vedere teatro è uno dei vari modi di farlo, allora “esperienza dellarte” significherà non soltanto praticarla direttamente, in maniera attiva, ma anche, appunto, guardarla, tramandarne la memoria, studiarla e così via.
Il teatrologo indaga i processi (creativi e ricettivi) dalla sorgente alla foce, ha dellarte sia esperienza pratica diretta che indiretta e il suo obiettivo dovrebbe essere quello di “combinare lindagine sulle tecniche con lindagine storica” ma anche “esortare gli artisti a una maggiore consapevolezza culturale e intellettuale”.
Queste premesse introducono ai diversi saggi che prendono lavvio dal rovesciamento del presunto retaggio letterario e antispettacolare che da Aristotele sarebbe giunto sino a noi (attribuibile piuttosto, secondo lo studioso, alla cultura classicista): attraverso il riesame della Poetica relativamente alla teoria dello spettacolo (opsis), De Marinis dimostra infatti la sostanziale infondatezza del presunto “disconoscimento di ogni dignità estetica allo spettacolo drammatico e alla rivendicazione, di retroguardia, del carattere esclusivamente letterario del teatro”.
Rousseau (con lesaltazione della festa en plen air nella Lettre à DAlembert e le oscillazioni sul suo uso come strumento pedagogico pubblico o spontaneo-collettivo nelle Considérations) ispira limportante capitolo dedicato alla Festa: alla decadenza della Festa popolare in epoca settecentesca incompatibile con la nuova economia di mercato e le cui pratiche vengono condannate in pieno clima Illuminista, si affianca lutopia della ricerca di una festa “altra” quale “autorappresentazione di una comunità unanime”. La “festa iconoclasta” (secondo la definizione di Starobinski) immaginata da Rousseau e il suo “uso ideologico-pedagogico” (con le quattro “abolizioni”: della rappresentanza, delle immagini-oggetti di spettacolo, del profitto, delle disuguaglianze) secondo De Marinis, in contrasto con le tesi di Duvignaud e Jesi, ne farebbe un preludio alle Feste della Rivoluzione francese ( alle quali Fernando Mastropasqua aveva dedicato un libro Le feste della Rivoluzione francese-1790-1794--Mursia 1972). Il capitolo Barthes e il teatro: il dis-piacere della scena è incentrato invece sulla parabola teatrale di Roland Barthes quale spettatore e critico militante, letteralmente folgorato sin dallepoca del lavoro di scrittura per la rivista “Théatre populaire”, dalla visione de La madre di Brecht a Parigi nel 1954, evento che, insieme alladesione incondizionata alla teoria epica-dialettica e al procedimento dello straniamento, lo porterà a scagliarsi contro il teatro e lattore occidentale (a cui contrapporre la marionetta e in generale il teatro orientale). Le manifestazioni di consenso alle regie brechtiane si contrappongono al silenzio sui gruppi della neoavanguardia degli anni Sessanta: dal Living theatre a Grotowski, allOdin Teatret, atteggiamento che secondo De Marinis sarebbe da attribuirsi all”ortodossia brechtiana” che dagli anni Cinquanta influenza la visione di Barthes del teatro, e al “presbitismo intellettuale” che lo conduce allaspro giudizio sia dellavanguardia (e ai suoi “miti”: l”attore posseduto ovvero lipernaturalismo espressionistico, lo stile come “tecnica devasione”) quale creazione della borghesia, sia del nuovo teatro accusato di non incarnare quellideale di superamento della rappresentazione, nella sua utopica visione di Testo e Musica:
“Amo il Testo perché per me è lo spazio raro di linguaggio da cui ogni “scena” (nel senso domestico, coniugale, del termine, ogni logomachia, è assente. Il testo non è mai un “dialogo”: nessun rischio di finta, di aggressione, di ricatto, nessuna rivalità didioletti (…) Sulla scena del testo, niente ribalta: non cè dietro al testo qualcuno di attivo (lo scrittore) e davanti qualcuno di passivo (il lettore); non cè un soggetto e un oggetto (…) Non è una parlata, una funzione, il sistema vi si trova superato, disfatto” (1955).
Marco De Marinis, Visioni della scena. Teatro e scrittura, Laterza, Roma-Bari, 2004, pagine XV+195, 22 euro.
Anna_Maria_Monteverdi
2005-01-15T00:00:00
Tag: DeMarinisMarco (8), drammaturgia (37)
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