La felicità del teatro
Sandro Lombardi, Gli anni felici. Realtà e memoria nel lavoro dell'attore, Garzanti
Gli anni felici di Sandro Lombardi è un appassionato e appassionante viaggio autobiografico nella geografia reale, artistica e interiore di uno dei maggiori attori italiani contemporanei. Una figura per certi aspetti unica nel nostro panorama teatrale, per rigore di percorso nellambito del teatro di ricerca dagli anni Settanta a oggi, per la straordinaria intensità e modulazione delle sue interpretazioni (memorabili in particolare i suoi cimenti testoriani), per la densità della sua formazione culturale e per la sua maschera naturale, quasi un archetipo del volto dellattore (così emblematicamente ritratto dalla fotografia di copertina di Marcello Norberth). Dai primi anni Settanta Lombardi crea con Federico Tiezzi e Marion DAmburgo (nome darte di Loriana Nappini) un sodalizio artistico tra i più fecondi e duraturi della nuova scena italiana: la compagnia Il Carrozzone, che poi diventa negli anni Ottanta i Magazzini Criminali e che prosegue tuttora come compagnia Lombardi-Tiezzi (dal 2000). Questo nucleo storico, che vedrà la collaborazione di molti attori, autori e musicisti di primo livello, sarà tra gli artefici della stagione più radicalmente innovativa del teatro italiano, avviata dalla precedente generazione dei Barba, Bene, De Berardinis, Quartucci e Ronconi e culminata appunto negli anni Ottanta con un riconoscimento internazionale.
Nel volume, Lombardi ripercorre la formazione artistica personale e di gruppo, rivelandone gli aspetti meno noti dei procedimenti creativi, delle metodologie attoriali e drammaturgiche e rievoca quella costellazione intima di luoghi, di riferimenti, di relazioni che costituiscono poi il nutrimento esistenziale di una poetica. Così, gli affreschi aretini di Piero della Francesca, le visioni di Simone Martini o la forza drammatica di Caravaggio, visti attraverso il filtro interpretativo di Roberto Longhi, maestro di Lombardi (ma anche di Pasolini), o la metafora poetica di Mario Luzi, si mescolano con i paesaggi metafisici e dechirichiani di Roma, la pittura di paesaggio o il paesaggio pittorico delle colline toscane, le suggestioni musicali mitteleuropee della scuola viennese, le terre solari nordafricane poeticamente rivissute mediante Rimbaud, Genet o le suggestioni «magiche» di un amico eccentrico e geniale come Juan Román. Questo fitto intreccio di riferimenti non è solo un destino esistenziale, rivela anche una consapevole attitudine alle «contaminazioni» che hanno caratterizzato un tratto importante della pratica teatrale degli anni Settanta e Ottanta, dove lincrocio libero autentico, non modaiolo dei linguaggi ha prodotto inediti coaguli creativi. Lombardi, oltrepassando senza soluzione di continuità le soglie dei generi e delle cronologie artistiche, ci comunica nuove visioni per sentimenti che sono antichi, atemporali, e che perciò rifuggono dallottusa contrapposizione fra tradizione e innovazione, fra cultura e ispirazione, fra nostalgia e ricerca… Lapertura mentale e uninstancabile curiosità intellettuale sono i presupposti della sensibilità evolutiva dellarte, capace nel caso di Lombardi elemento raro nelle autobiografie degli attori di «cogliere gli aspetti di verità umane, professionali, esistenziali, aldilà degli schieramenti» (p. 292). Per quanto oggi ci siano ormai distanze storiche dalle correnti della nuova scena di fine Novecento (teatro-immagine, post-avanguardia, terzo teatro, etc.) che aiutano a coglierne virtù e limiti con maggiore obbiettività, è bello ritrovare protagonisti tanto diversi come il Living, Grotowski, Barba, Bene, Ronconi, Wilson accomunati in una stima che non li confonde e non li celebra formalmente ma che ne riconosce le personalità decisive e i contributi fondamentali.
La scrittura di Lombardi ha la capacità di mettere sulla pagina personaggi, situazioni ed eventi, come li mettesse in scena. Riesce a testimoniare una stagione e un mondo attraverso piccoli frammenti emblematici, illuminati da uno sguardo che è insieme preciso ed evocativo, ironico e affettuoso, penetrante e delicato, in certi casi commovente (come nel ricordo di Marisa Fabbri), dove lelemento professionale si mescola in modo inestricabile allesperienza vissuta, perché, come volevano i progenitori romantici e il gran maestro Antonin Artaud (a cui i Magazzini dedicano uno dei loro spettacoli più importanti, nel 1987), non cè separazione possibile tra arte e vita, essendo entrambe un unico crogiolo di «sangue, carne e spirito, soffio e grido». Citando Macchia, Lombardi ricorda che per Artaud la recitazione è «una forma di interiorizzazione dellanima, una sorta di preghiera, un modo per espellere il male da sé» (p. 73).
Il libro di Lombardi non ha, e non cerca, il carattere esplicito di quella preziosa tradizione del «manuale dellattore» che va da Diderot a Dario Fo, ma, quasi in punta di piedi, riflette profondamente sul lavoro dellattore, rivelando le difficoltà, le pratiche e i mutamenti nellaffrontare le diverse sfide che diversi autori e diversi contesti impongono, soprattutto nellambito sperimentale della «scrittura scenica» (termine coniato e promosso in Italia da Bartolucci e Bene), dove si richiede unautoformazione dellattore a tutto campo, una vocazione a divenire regista di un proprio metodo, esploratore di nuove modalità interpretative ed espressive. Elaborando una rigorosa auto-analisi del processo interpretativo, lattore toscano ci dà lopportunità di scoprire dallinterno il maturare di una sintesi originale tra rigore e abbandono:
«Linterpretazione è il risultato di una quantità di piccole soluzioni parziali che si accumulano. Il fine cui tendere è naturalmente lidentificazione con un certo testo (che non è limmedesimazione con un personaggio ma la relazione personale con una struttura di parole), lequilibrio tra lannullamento di sé in quello e la sua trasformazione in una forma da riempire con il proprio io. Ci vuole lamore, naturalmente, con cui si cercherà di aderire a un ritmo, a una realtà scenica, a una sostanza verbale… in un processo di identificazione in cui lattore troverà tanta più libertà quanto più strette e rigide saranno le maglie che si imporrà. In questo consiste il lavoro di drammaturgia degli attori: nel processo con cui fanno coincidere, dissimulandoli lun laltro, il piano della loro drammaturgia personale con quello dellinterpretazione del testo.» (pp. 200-201)
Sulla base di questi principi generali, frutto appunto di una riflessione innestata sullesperienza e non di una precettistica, Lombardi focalizza i diversi passaggi della sua metodologia interpretativa: laddestramento della memoria; lanalisi della struttura logica del testo; lanalisi metrica per rendere percepibili gli accenti, esplicitandone la dimensione «musicale», fino a individuare zone di variazione ritmica, in base alla prevalenza di gruppi di vocali o consonanti; lesercizio di ricollegare le immagini astratte del testo alla memoria personale, quindi a esperienze reali e conoscenze dirette; infine laffrontare le difficoltà facendole emergere e lasciando lavorare la sfera inconscia. La memoria stessa è sostanza vivente in costante metamorfosi, a cui attingere come nutrimento creativo (come suggeriva la «reviviscenza» di Stanislavskij). Questa dimensione di «abbandono» necessario dellattore, dopo un rigoroso studio analitico e metrico, per cogliere la chiave più intima del testo, è raggiungibile anche operando consapevolmente nello stato intermedio tra la veglia e il sonno, nelle forme della meditazione, del training vocale o di pratiche psico-coreografiche come la danza euritmica steineriana. In questa prospettiva, il lavoro dellattore tende «non solo alla mèta di un buon risultato ma alla conquista della comprensione di sé» (p. 205). In ogni caso, avverte Lombardi, si tratta di «un percorso senza fine» e lapprendimento delle tecniche è condizione necessaria, ma non sufficiente: «Non credo che si possa costruire un metodo a partire da un insieme di tecniche» (p. 294), una volta interiorizzata e dominata una tecnica ci sono due strade, o quella di fossilizzarsi, trasformando la forma artistica (che è per sua natura trasformazione) in una formula, in maniera, oppure quella di sentirsi liberi di cercare nuove strade. E qui lincertezza e la precarietà sono condizioni positive di apertura percettiva e di libertà creativa: «Lattore non può non conoscere il valore della passività e della distrazione, del rapimento, di quella sospensione della volontà che permette lascolto delle voci interiori e dei fantasmi». Il viaggio dellattore toscano introduce e conduce il lettore nella genealogia artistica del sodalizio Lombardi-Tiezzi (facendo quindi anche luce sulla sofisticata e poliedrica identità registica di Federico Tiezzi), per poi immergersi nella cronaca di quella grande sfida interpretativa che è stata la messinscena delle opere di Testori: Edipus, i Tre Lai: Erodiàs, Cleopatràs, Mater Strangosciàs (a Lombardi e Tiezzi va anche il merito di aver scoperto e portato al pubblico questultimo inedito capolavoro dello scrittore lombardo), e il più recente Ambleto (dove duetta con un bravissimo Massimo Verdastro). Una sfida vinta, a partire dallEdipus, con una scelta drammaturgica di riduzione del testo che privilegia la mescolanza degli opposti: lelemento tragico e lo sberleffo grottesco, il metateatro e il racconto mitico, lintreccio di accenti plebei e sublimi; con una ricerca sulla musicalità del dialetto lombardo reinventato da Testori (nel quale lattore riconosce «una lingua vera» per il teatro) e sullintreccio dinamico tra recitazione e canto (uno studio coadiuvato dal metodo di Francesca Della Monica); con una messinscena dellattore nella maschera del «guitto lunare», protagonista di un solitario avanspettacolo, metateatrale e metafisico. Con Testori, Lombardi raggiunge una straordinaria simbiosi artistica tra ricchezza della parola e della recitazione, realizzando un capolavoro dellinterpretazione contemporanea. E proprio in questo sdoppiamento di un attore che indossa la maschera di un attore noi riconosciamo la rarissima arte dellAttore Metafisico. Colui che «concentrato nella distrazione e attivo nella passività» recita per i vivi, ma anche per i morti e gli invisibili, accompagnato da Hermes, dio messaggero tra dei e uomini, guida nellaldilà, protettore dei maghi, degli artisti, dei viaggiatori e dei ladri, e tutte queste categorie insieme fanno lartista vero, che è anche «ladro», in virtù della sua capacità di ascoltare e di osservare, quindi di rubare alla realtà e allimmaginazione le loro verità. E poi ricordare… raccontando il consumarsi del tempo della realtà nellatemporalità della scena, che è luogo mitico, confine tra mondi:
«Sempre più spesso mi capita di provare la sensazione di espormi, quando sono in scena, non solo al pubblico che mi è di fronte ma anche agli assenti, ai morti, ai fantasmi con i quali è così difficile mettersi in comunione nel tempo quotidiano… e con cui sembra invece di stabilire un contatto diretto e fecondo dalla dimensione sospesa dellatto teatrale.» (p. 16)
Andrea_Balzola
2004-12-07T00:00:00
Tag: Sandro Lombardi (10)
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