Le recensioni di “ateatro”: L’Ambleto
di Giovanni Testori, regia di Andrée Ruth Shammah
Un linguaggio corposamente neobarocco, popolare e raffinato, concreto e carnale, la cui ossatura è un dialetto lombardesco impastato e spezzato, che reinventa la lingua con innesti di termini disusati, slittamenti gergali e neologismi, intrusioni spagnole, francesi e latine, sapientemente innervato di ritmi e assonanze, ridondante di immagini e descrizioni: è questa la lingua madre che Testori usa per raccontare, ancora una volta, la più celebre tragedia di Shakespeare. A raccontarla è una scalcagnata compagnia di comici scarrozzanti che vagano per la Brianza con i loro sgangherati spettacoli. La strada è dunque – come accade sempre in Testori – quella della degradazione o, cattolicamente, del peccato. Ambleto è legato da un rapporto omosessuale al Franzese Claudio, più che scagliarsi contro lomicidio del padre e le frettolose nozze della madre, sembra trovare insopportabile la propria condizione esistenziale, anche nella tirata finale contro la proprietà privata cerca di ammantare il proprio disagio di furore rivoluzionario. La derisione e la bestemmia si intrecciano con un autentico senso religioso, la rivolta anarchica contro la corte usurpatrice si risolve in un autoannientamento verso il Nulla universale. A incarnare il protagonista è un Franco Parenti che ricorda le sue interpretazioni ruzantiane, ma con abbandoni e tenerezze che si alternano ad accensioni nichiliste. E che con questo spettacolo, firmato da Andrée Ruth Shammah per la regia e da Gianmaurizio Fercioni per le scenografie, inaugura il suo teatro, a Milano. Su quel palcoscenico andranno in scena anche le due successive puntate della trilogia testoriana, il Macbetto (1974) e lEdipus (1977).
Originariamente pubblicato nel Patalogo 22, Ubulibri, Milano, 1999, p. 303. <
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