Teatro tra le gru

L’estate dei festival ad Amburgo è Kampnagel

Pubblicato il 01/10/2004 / di / ateatro n. 074


E’ una grandissima ex fabbrica di gru situata nella zona nord di Amburgo ma adesso ad affollarla non sono più macchine e operai ma un vivacissimo pubblico di giovani e meno giovani attratti dagli spettacoli di teatro, danza, musica e cinema che quasi ogni sera sono in programma con artisti provenienti da tutto il mondo. Alla fine della lunghissima Jerrestraße c’è una K fra due parentesi quadre, alla fermata del 172, è il logo del >Kampnagel, un simbolo semplice, pulito ma efficace, come l’uso dello spazio che è ampio, essenziale, molte parti volutamente grezze, altre solo imbiancate così da non perdere la memoria del luogo ma assaporare il piacere di quell’elegante architettura industriale ancora intatta e genuina.
C’è un grande foyer che ospita due banconi da bar e un ristorante e quattro attrezzatissime sale teatrali con gradinate e poi ci sono altre sale, più piccole e riservate, per incontri o laboratori.
Kampnagel ha una propria programmazione teatrale condotta da Gordana Vnuk che quest’inverno ha ospitato una mini antologica sulla scena italiana con Motus, Fanny & Alexander e Teatrino Clandestino e tra qualche mese presenterà L’Ospite, l’ultima produzione dei Motus. In estate Gordana passa il testimone a Hidenaga Otori che dal 2001 è direttore artistico di un interessante festival internazionale, Laokoon, in programma ad agosto con un cartellone di tutto rispetto. Dai filippini protagonisti della performance New World Disorder, ai croati Zekaem in scena con un musical ispirato al film Moulin Rouge, alla divertente libanese Lina Saneh con Biokhraphia o, sempre dal Libano, lo spettacolo di danza Guerre au Balcon di Maqamat Dance Theater e poi i russi Akhe con lo storico White cabin fino alla Fura dels Baus con XXX, e in chiusura, due grandi eventi d’atmosfera orientale: i giapponesi Nibroll con Note uno spettacolo di danza dal sapore multimediale e Robert Lepage con il nuovo allestimento de La Trilogie des dragons, uno spettacolo epico della durata di 5 ore e mezzo.

La Trilogie des dragons.

Abbiamo seguito la prima parte del Festival, una sorta di viaggio dalla Croazia alla Russia fino alle Filippine e ne è valsa la pena, salvo una sola eccezione, il musical croato Moulin Rouge, davvero disarmante ed eccessivo nelle sue due ore e trenta con effetti speciali di dubbio gusto. Una ventina di attori infaticabili e a prova di liquefazione, data l’elevata temperatura in sala, hanno raccontato e cantato la storia di un giovane artista oppositore del regime che sogna ad occhi aperti un cambiamento e attraversa un’esistenza fatta di amori e aberrazioni, amicizie e tradimenti in cui tutti i toni del tragico vengono inferti al povero spettatore salvo poi rasserenarlo con inutili passerelle da varietà, guidate da un vero direttore d’orchestra e tre musicisti sempre in scena. Il finale è all’insegna della migliore tradizione mediterranea e la compagnia festeggia sul palco a “tarallucci e vino” con tanto di prosciutto affettato a vista, richiamo irresistibile per il pubblico tedesco che applaude felice.
Incontro decisamente migliore quello che abbiamo fatto la sera successiva, con due giovani artisti libanesi originali e intelligenti: Rabih Mrouè videomaker e Lina Saneh protagonista di un monologo delizioso (con la regia di entrambi), tema comune: la biografia. Rabih racconta di sé, del desiderio di percepire se stesso in tutte le trasformazioni dell’età e della vita anche se non sempre gli è possibile e la mancanza di memoria, di foto di famiglia, gli impediscono di sondare il misterioso legame che esiste tra un volto e un’anima, una personalità e una postura. C’è anche un nastro, una vecchia registrazione del frantello che canta ma ecco che riscoltandolo Rabin sente la mancanza delle immagini, di una memoria piena di sé e del mondo che gli sembra bizzarramente negata.

Biokhraphia.

Biokhraphia di Lina Saneh è un’ironica riflessione sul teatro sull’arte sulla sessualità e sulla censura, raccontati come in un’intervista dai ritmi serrati. Secondo la lezione del talk show televisivi le domande si susseguono uscendo da un registratore e la ragazza risponde. Temi di scottante attualità vengono stemperati in una gestualità bizzarra e a tratti comica, quando la performer inizia a disporre su di tavolino numerose boccette di liquido viscoso che lentamente travasa o versa a terra, alchimista delirante alle prese con scomode verità. Del resto a differenza di biografia, “biokhraphia” è un termine che fa riferimento al racconto demeziale di una vita, con aspetti surreali, caricaturali e radicali di un’esistenza. E proprio così, con la serietà di chi ha deciso di giocare col fuoco, agisce Lina sin dal primo momento in cui mette la testa fuori dall’allegorico teatrino con le tende rosse che costituisce la sola scenografia del suo intervento. Poi si alza, apre le porte della sala teatrale, si siede accanto all’uscita, dispone in bella vista le sue boccette e vi pone accanto un cartello: 55 euro l’una!
Dalle Filippine invece arriva New World Disorder della compagnia This Order, una performance graffiante sulla violenza diffusa nelle Filippine, sull’invadente modernità che calpesta l’ingenuità, l’onestà, la purezza della natura e delle tradizioni. Si procede in fila verso una grande sala prove, un magazzino dove fra materiali di scena e tubi a vista sono disposte alcune pedane e postazioni, che di volta in volta verranno illuminate per consentire al pubblico di assistere a un assolo degli attori-danzatori. Si parte con una danza tribale in costume tipico in cui si cerca il coraggio di mutilare la diversità: una lingua lunga e ingombrante che fa soffrire il suo possessore. Alla fine l’omologazione è sancita da un netto colpo di cesoia. Poi è la volta di un uomo che entra spinto su di un carrello del supermercato, incatenato.

The New World Disorder.

Riesce a liberarsi ma per cadere in una nuova forma di prigionia, quella di una gestualità sincopata che lo induce, al pari di un rapinatore, a indossare una calza di nylon in testa e tentare di salire e scendere da una scala. Ma il masochismo ha ancora ben altro di fronte a sé e l’artista si infila in un tubo di plastica, opportunamente gonfiato, e in quella situazione difficile prosegue il nonsense doloroso della scalata. Alle nostre spalle arriva lieve il lamento di una donna, sta sopra una pedana ed è coperta da un velo, il suo corpo è fatto di piccoli e grandi seni che stanno ovunque mentre immobile lei canta, nel buio. Poi un uomo tutto imbiancato, una sorta di fantasma di un antico guerriero con una gabbietta in mano e dentro un uccellino si avventura tra gli spettatori, come in una scura foresta, guardingo e timoroso. Trova una meta, una piattaforma in cui sembra compiere un rito con della polvere lanciata per aria ma ecco che la sua purezza svanisce per sempre, in un gesto crudele e violento: l’unico personaggio in apparenza libero da ogni tortura diventa subito aguzzino di un suo simile e lo picchia a sangue.
Per i prossimi mesi, anche se il festival Laokoon è finito, Kampnagel torna a far parlare di sé con una programmazione speciale dedicata alla danza, 4 eventi davvero interessanti: dal Canada la Fondation Jean-Pierre Perreault presenta Joe una produzione colossale con 35 danzatori che attraversa le atmosfere di 1984 di Orwell, Metropolis di Fritz Lang e il Beckett di Aspettando Godot (in scena dal 6 al 9 ottobre 2004). Dal Brasile Bruno beltrao e Grupo de Rua de Niteroi presenta Telesquat in cui è protagonista la danza di strada con eccezionali performance di hiphop (in scena dal 4 al 13 novembre 2004). Dal SudAfrica è la volta di Boyzie Cekwana/ The Floating Outfit Project in Ja, Nee/Rona (dal 12 al 22 gennaio) e infine da Israele arriva al Batsheva Dance Company in Naharins Virus, dal 9 al 13 marzo.

Mara_Serina

2004-10-01T00:00:00




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