Un teatro mandalico

Un mail a Giacomo Verde, Andrea Balzola & Co.

Pubblicato il 19/09/2003 / di / ateatro n. 057

«Come possiamo distinguere tra le tecnologie che sono essenzialmente estensioni, accelerazioni, anche se spettacolari, di mezzi già esistenti – come fu la stampa a caratteri mobili – e quelle che costituiscono un “salto quantico” e aprono nuovi orizzonti su un ordine diverso da qualunque altro precedente?»
(George Steiner, Grammatiche della creazione, Garzanti, 2003, p. 269)

Il logo di Storie mandaliche, con link al sito dello spettacolo.

Storie mandaliche 2.0 (che ho visto al Castello Pasquini di Castigliocello il 29 agosto, in una prova aperta) mi ha incuriosito & interessato, per due motivi. In primo luogo perché mi sembra che stiate lavorando sui confini del teatro (e non solo del teatro, ma anche della tecnologia e del racconto) per spostarli un poco più in là. E (secondo) perché lo fate lavorando su uno snodo chiave come il rapporto tra la narrazione e l’icona (con la mediazione del corpo), che mi sembra uno dei temi centrali di questi tempi.
Dal punto di vista della narrazione, è subito chiaro il superamento di un percorso unico e sequenziale (la forma classica del racconto, con un inizio e una fine predeterminati), a favore di una struttura a rete, più complessa e articolata. Non esiste un unico percorso predestinato (anche se nelle singole storie ciascun personaggio segue il filo del proprio, mi pare: non credo che il Ragazzo, per esempio, possa scegliere se amare la sua Principessa), ma una moltitudine di percorsi possibili, ogni sera diversi. Così ogni replica lo spettacolo è radicalmente diverso e non esaurisce la totalità delle storie. Siamo dunque più vicini al videogame – con i suoi sentieri biforcati e le scelte che impongono a ogni bivio o incontro – che a un romanzo o a un testo teatrale.

In Tibet, per insegnare ai bambini a utilizzare i Mandala, li fanno percorrere con delle pedine come se fosse una sorta di gioco dell’oca: seguendo un percorso determinato dal caso (dal lancio di un dado, per esempio), imparano il significato dei diversi luoghi e al tempo stesso ripercorrono nel microcosmo lo schema del macrocosmo.
In Storie mandaliche il coinvolgimento interattivo del pubblico (di volta in volta attraverso le indicazioni di un singolo spettatore) è un elemento essenziale. Evidenzia e rende palpabile l’esistenza dei link – gli incroci e le biforcazioni. Peraltro questo metodo di scelta, né predeterminata né casuale, riflette la logica complessiva del lavoro: la decisione di imboccare una strada piuttosto che un’altra dipende dalle affinità-curiosità-associazioni dello spettatore con il suo personaggio, ovvero con il simbolo che rappresenta (la Pietra, il Mandorlo, il Ragazzo, il Cane…). Lo spettatore sceglie, ma in qualche modo viene scelto dalla storia.
Ovviamente il modello letterario per un’opera di questo genere è Italo Calvino, che non a caso accoppiava alla ricerca sulle possibilità combinatorie della letteratura quella sulle sue radici antiche e profonde (la fiaba, il mito…), con le regolarità strutturali delle loro figure e dei relativi intrecci.
Come in Calvino, una struttura narrativa non lineare si contrappone implicitamente all’idea di storia come progresso unidirezionale, che cattura le molteplici sfaccettature del reale per ricondurle a un destino unitario. Per lo «scientifico» Calvino l’alternativa a questa narrazione unidimensionale divenne quella della «narrativa come processo combinatorio»: un meccanismo per esplorare ed esaurire «matematicamente» (e dunque «disumanizzando» la macchina narrativa) tutti i possibili stati della realtà (del racconto). I «navigatori» Verde & Balzola, invece, per catturare la molteplicità del reale aprendosi alla bidimensionalità e utilizzano la rete, inserendo – come si è detto – il principio della scelta: il racconto si muove su due dimensioni incrociando altri racconti (la terza dimensione, se si vuole usare questa metafora, nascerebbe dalla possibilità di scelta dei singoli personaggi della fabula: se per esempio il Ragazzo potesse scegliere se innamorarsi della Principessa o no, scegliendo dunque di entrare in uno dei due mondi paralleli, quello dove ama e quello dove non ama…).
E’ una scelta con evidenti implicazioni ideologiche: la rete pare oggi anche l’alternativa a un sistema di potere autoritario e piramidale. Se nel corso di una serata si assiste a quel racconto, unico e irripetibile, resta aperta e sempre presente l’esistenza di altre storie possibili. E’ il qui e ora del teatro, è la presenza dell’osservatore che tra le numerose storie fa «collassare» quella effettivamente raccontata, facendola passare dal virtuale al reale.
Ma a questo punto mi interrogo: nella struttura del vostro Mandala, esistono infiniti percorsi possibili, o solo un numero finito di percorsi? (un numero finito) Ed esistono percorsi infiniti? E se esiste un percorso infinito, si tratta di loop o di un percorso a-periodico? (Mi immagino una replica infinita delle Storie mandaliche, con il narratore e il pubblico persi labirinticamente nel racconto, come nelle Mille e una notte). E poi, esistono (come nell’eterno ritorno buddista) percorsi ouroborici che ritornano al punto di partenza? (forse lo spettacolo dovrebbe finire così, al punto di partenza, dove tutto è uguale e al tempo stesso diverso, mentre in effetti in Storie mandaliche i percorsi vanno dai sei punti d’ingresso verso il centro, come nei percorsi seguiti normalmente nel corso della meditazione sui Mandala).

Credo in ogni caso che Storie mandaliche sia una delle prime occasioni in cui una struttura narrativa così complessa viene utilizzata sulla scena con tale efficacia e leggerezza (ovvero senza mai far pesare, nel corso della narrazione, il meccanismo narrativo e tecnologico che la sottende). Ma questo è solo uno degli aspetti del lavoro. Perché questa «ipertesto mandalico» prende sostanza in due medium che interagiscono: da un lato il racconto orale, dall’altro uno schermo popolato di icone (ai quali andrebbe aggiunta la colonna sonora di Mauro Lupone).
Il rapporto tra la narrazione e l’icona è uno degli snodi centrali dell’attuale scenario comunicativo: basti pensare al fragile equilibrio che trovano sullo schermo dei nostri pc. Lo specifico di Storie mandaliche risiede proprio nell’interazione tra la dimensione narrativa e quella iconica, nello «spazio mentale» che crea nello spettatore (e qui siamo per molti aspetti vicini al fumetto, nel connubio della narrazione con una visualità semplificata, codificata).
Anche se il ruolo dello schermo con le animazioni flash in Storie mandaliche è assai più complesso. Dal punto di vista della tradizione teatrale, lo schermo con le animazioni flash è un elemento scenografico: quanti sono gli spettacoli che usano come sfondo proiezioni cinematografiche o televisive… Ma in realtà l’interazione dell’interprete con questa «scenografia» è assai più intensa: per certi aspetti ricorda gli attrezzi usati dai giocolieri, fino quasi a diventare una estensione del corpo dell’attore-narratore (che peraltro sullo schermo si materializza nel puntatore del mouse – il fulcro o il punto cieco del rapporto tra lo schermo e il reale). Ancora, le immagini sullo schermo, come nelle tele dipinte dei cantastorie, costituiscono in qualche modo una «illustrazione» della storia (danno un equivalente visivo del racconto) e al tempo stesso ne sono il motore: offrono un supporto mnemonico al narratore (come i quipus andini, fatti di cordini colorati e annodati che stenografano i punti chiave del racconto e che il narratore, facendosi scorrere tra le dita, utilizza come memoria), e spesso – quando appunto s’incontra un nodo – diventano il motore della narrazione.

Inoltre quello schermo è esso stesso un teatro, popolato di icone animate o in movimento. Sulla metafora dello schermo del computer come teatro ha insistito Brenda Laurel; e sulla strada che ha tracciato, c’è stato chi ha assimilato al teatro anche le animazioni flash attualmente usate in Storie mandaliche.

«Un sito Flash viene sviluppato come un microcosmo che sboccia in un macrocosmo. Il medium internet è la “scena” /stage/ — la piattaforma dove l’animatore Flash /flashanimator/ importa, incolla e scolpisce “simboli” (personaggi /charachters/) cui vengono assegnate “azioni” (ruoli /roles/) in una trama /plot/ grafica multidimensionale. L’animatore Flash è l’autore di un dramma /play/ sulle verità visuali della vita. La gamma espressiva della grafica in movimento è incredibile, dalla serenità all’ansia». (Nate Burgos, Flash Fetish, in “ctheory”)

Va sottolineato che la scelta di usare animazioni flash (che con le loro semplificazioni rimandano all’ideogramma) si contrappone decisamente alla ricerca del realismo perseguita dal cinema e dai videogame. La scelta è, al contrario, di spingersi verso la dimensione simbolica – verso il mito o la fiaba. E in questa direzione vanno anche, ovviamente, le storie narrate.
Credo che la scommessa di Storie mandaliche sia quella di costruire un’esperienza comunicativa complessa a partire da elementi semplici e immediatamente decodificabili (anche da un bambino, e in questo sta l’apparente ingenuità «fiabesca» dei racconti), con un robusto supporto tecnologico usato consapevolmente e senza feticismi. La consapevolezza riguarda soprattutto la ricerca sugli effetti di una tecnologia sul nostro rapporto con il mondo e sulle nostre modalità comunicative. In questo caso la possibilità di creare link e dunque una rete si oggettiva ovviamente in primo luogo nel Mandala, che è insieme un’icona visibile (la prima, che all’inizio della serata viene «spiegata» come in un documentario in termini storici e filosofici) e la struttura nascosta dello spettacolo. Successivamente i link (le scelte) diventano anch’esse un elemento narrativo – anzi, il principale elemento narrativo:
La tecnologia viene utilizzata con grande naturalezza, tanto da risultare praticamente «invisibile»: il narratore utilizza con grande scioltezza il mouse, clicca tranquillamente sui link, lancia le animazioni flash senza che questo causi nel pubblico sorpresa e meraviglia – tutto questo fa già parte del nostro mondo. Per questo mi sono molto piaciuti i momenti in cui qualcosa non ha funzionato: perché in questi momenti di verità tutta la complessità del meccanismo diventa visibile (e si capisce anche che sulla tecnologia è in qualche modo possibile intervenire per correggere, riprendere eccetera – forse si potrebbe addirittura inglobare nella trama dei racconti qualche incursione nel cuore del meccanismo, anche se l’«effetto verità» dell’attore alle prese con il problema tecnico è un’altra cosa). Sono quelli i momenti in cui lo spettatore capisce quello che c’è oltre la cornice (è curioso come l’equivalente del teatro nel teatro corrisponda in questo caso all’errore tecnico).
Per valutare il senso complessivo di questa fase della ricerca (al di là di squilibri e aggiustamenti di minor peso), credo sia utile fare un esperimento mentale: pensare di vedere unicamente le animazioni flash (come un cartone animato), oppure pensare di ascoltare unicamente il racconto (radiofonicamente). Ciascuna di queste «versioni» delle Storie mandaliche rischierebbe di apparire non solo povera ma sostanzialmente incomprensibile: le icone sono semplici, le animazioni non sorprendono mai con i loro effetti speciali; e il racconto per ora rischia spesso di scivolare nel fiabesco oppure, nel finale, in astrazioni intellettualistiche (ma qui si tratta probabilmente di trovare il giusto equilibrio, e di restituire nella narrazione i diversi livelli di lettura del racconto, evidenziando i nodi simbolici).
Ma non è questo l’importante: la chiave del lavoro non è tanto la bellezza delle immagini o la tenuta del plot. L’importante è che le immagini non sono solo illustrazione del racconto, il sonoro non è solo commento delle immagini. Accoppiando immagini e sonoro, potrebbe nascere un cd-rom (e un sito internet) dove alla fisicità dell’attore e all’esperienza collettiva del pubblico si sostituisce l’interattività più immediata del singolo utente. Perdendo inoltre le risonanze con la narrazione popolare che la versione teatrale suscita immediatamente. Ecco, credo proprio lavorando sull’indispensabilità reciproca di icone e racconto da un lato, oltre che sui momenti di verità nello svelare i segreti della macchina, le Storie mandaliche possono continuare a crescere e trovare la loro specificità e credibilità.
Non so se con questo «sistema narrativo» sia davvero possibile creare uno «spazio mentale» alternativo, più aperto alla dimensione simbolica da un lato e in grado di cogliere con maggior sottigliezza le potenzialità dei «mondi paralleli». Va anche tenuto conto che la dimensione ludica («Quale strada imbocchiamo?») può avere risonanze assai diverse quando a compiere la scelta è un unico utente che usa un cd-rom di fronte allo schermo di un pc, oppure un gruppo di persone unite di fronte a un narratore-sciamano. Tuttavia mi pare che il senso profondo della scommessa dia proprio questo: attivare zone che si trovano in profondità (nell’hardware dei nostri meccanismi percettivo-emotivi, o attivando contemporaneamente diverse funzioni mentali, o se si preferisce interagendo con strati dell’anima

L’animazione del mandorlo (Flash 6): eventualmente cliccare sul pulsante destro e poi “Riavvolgi”.

Altre info su Storie mandaliche 2.0 in ateatro 56.

Oliviero_Ponte_di_Pino

2003-09-13T00:00:00




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