L’attore musicale

Il melodramma e le marionette

Pubblicato il 14/11/2002 / di / ateatro n. 045

E’ con la seconda metà del secolo XVII che nasce il connubio fra marionette e musica: fenomeno assai facile a comprendersi, se consideriamo l’epoca, l’essenza dell’attore – marionetta e la rilevanza del fenomeno musicale.
Al gusto e alla cultura dell’epoca marionetta e musica sono molto gradite: entrambe rispondono all’idea del meraviglioso, nonché del fantastico arabesco che sublimanza e maraviglia generano nel loro intreccio; entrambe adombrano l’ideale della perfezione e dell’infinito. La gestualità del novello attore suggerisce il divino, così lontana come esso è dalle umane cose e dal vero, malgrado la verosimiglianza che è presente in lui; l’armonia che scaturisce dalla note unite alla voce è foriera di contemplazione. Ma oltremodo fuori luogo sarebbe parlare di teatro.


Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli, Aida: la scena del trionfo.

Il termine più appropriato è intrattenimento con marionette, tanto lo spazio scenico riservato all’azione e la struttura drammaturgica dei testi rappresentati sono lontani dalle caratteristiche che definiscono la libertà di espressione connaturata alla marionetta ed al suo teatro. Non a caso si parla di operine o di bambocciate, preziosismi e carinerie che interpretano perfettamente lo spirito del tempo.
E per quanto storici e studiosi si siano trovati concordi nel magnificare e celebrare i fasti legati a questo fenomeno, non possiamo attribuire ad esso valori artistici e culturali che non vadano al di là del puro accademismo e della fredda esibizione scolastica. E chi ne riferisce lo fa parlandone come fenomeno “di moda”.

Venezia e Bologna sono le città da cui provengono le notizie riguardanti le operine rappresentate con marionette. Ne Le glorie della poesia e della musica Gian Carlo Bombini riferisce che nel maggio 1679 era stato rappresentato, al Teatro delle Zattere, il Leandro di Camillo Badoer su musica di Francesco Antonio Massimiliano Pistocchi, celebre cantante meglio conosciuto come il Pistocchino. Egli dice che “questo Drama fu rappresentato con Figure di legno, cantando i Musici dietro le scene in una Casa su la Riva, o Fondamente detta Le Zattere, verso Ogni Santi”. Lo spettacolo ebbe molto successo, al punto che venne ripreso di lì a qualche anno, e più precisamente nel 1682, presso il teatro San Moisè con diversa titolazione: Gli amori fatali.
Il Residente di Toscana presso la Serenissima Repubblica di Venezia, Matteo del Teglia, in uno scritto dell’ottobre del 1679 comunica che “al Teatro di San Moisé si farà l’opera in musica con certe figure di nuova invenzione”. Ma Venezia conta fra i suoi cittadini una Vera autorità in materia di Teatro e di marionette: Filippo degli Acciaioli, altrettanto famoso per il titolo di Cavaliere di Malta quanto per le numerose invenzioni di macchinerie. Nel 1680 egli presenta nel ricostruito spazio del Teatro San Moisè, ora adibito ad intrattenimento con marionette, l’opera La Damira placata, una sua creazione su musica di Marc’Antonio Ziani.
Dei protagonisti “legnosi” Padre Enrico De Noris, sempre attraverso l’epistolario dei Residenti a Venezia, ci informa descrivendoli come “figure di legno al naturale di estraodrinario artificioso lavoro”. Ma l’ingegno dell’Acciaioli è simile ad una grande fucina: l’anno successivo (1681) eccolo produrre Ulisse in Feacia con musiche di Antonio del Gaudio, opera interpretata da figure modellate in cera che consentiranno al loro costruttore di compararsi al mitico Dedalo. E nel 1689 l’incredibile uomo di teatro presenta, ancora al San Moisè, un dramma comico su musica di Jacopo Melani, Girello, opera che aveva già conosciuto a Roma, qualche anno prima, grande successo per il ricco allestimento scenico e per la comicità alquanto pesante che aveva suscitato grande ilarità negli spettatori.
Il 1682 vede il nostro artista presentare a Roma “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, sempre con musiche dello Ziani, nel teatro del Gran Conestabile Don Lorenzo Onofrio Colonna in onore della giovane nuora dell’Anfitrione, giunta di fresco dalla terra di Spagna. Ma lo spettacolo non giunge gradito al Pontefice Innocenzo XI, così l’Acciaioli deve presentare formali scuse, sminuendo il contenuto dell’opera che egli non esita a definire “bagatella” ricorrendo ad un nomignolo che, nei secoli passati era stato attribuito agli intrattenimenti di piazza tenuti, appunto, dai bagatellieri.

Risolta la questione relativa alla “censura” papale, con la chiusa finale, comune a tutti gli autori, in cui si dichiarava un “buon Christiano”, l’Acciaioli si volge a conseguire maggior fama nel 1684, anno in cui costruisce per Ferdinando de’ Medici, figlio del Granduca di Toscana Cosimo III, un “edificio” (chiamasi così in gergo il complesso che comprende tutto ciò che serve a realizzare uno spettacolo di marionette) dotato di centoventiquattro personaggi e di ventiquattro cambiamenti di scenografia.


Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli, Aida: Aida e Radames.

Sempre il De Noris, in una lettera indirizzata a Giovanni Battista Ricciardi, pubblico professore nello studio di Pisa, così si esprime: “Il Principe Ferdinando ricevè tanto gusto dalla di lei comedia, che, per averne una sempre vicina, ha fatto venire da Roma periti artefici, quali gli hanno lavorato una buona compagnia di recitanti di quelli che parlano per l’altrui bocca, si muovono al moto d’un filo di ferro sottilissimo, et essendo statuette insensate, sono nelle scene mirabili ne’ loro gesti. Il volgo li chiama burattini. Nella villa di Pratolino si farà la commedia de’ Sig.ri Burattini, che promettono un giocondo spettacolo a gli uditori, ed a suo tempo ne sentirà anch’ella le nuove. Cotesti comici piacciono ancora a me, perché si spende poco nel prepararli le scene, meno nel vestirli, e nulla nel farli le spese. Per loro alloggio basta uno scattolone simile a quello col quale io già viaggiavo. Non v’è fra essi loro emulazione o invidia. Sono ubbidienti più che i frati; né hanno alcuno de’ vizij che propri di coloro che recitano nelle scene”.
E pochi giorni appresso: “Il Granduca ritornò poscia nella città per accelerare la recita di quei fantoccini, essendo qua venuto da Roma il Cav.r di Malta Acciaiuoli prattico in eccellenza di tale sorta di commedia…”E, dopo aver aggiunto notizie sulle poche prove, in grazia alla bravura degli attori di legno, sul concorso di molte dame, ci comunica che “i comici insensati” e le scene arrivati da Roma in dono al Signor Principe sono costati ventimila scudi.
Anche il Morei, nelle Notizie Istoriche degli Arcadi morti testimonia che il teatrino “era formato di 24 mutazioni di scene, e di 124 figure, tutte con tale arte fabbricate, che egli solo dirigeva colle proprie mani tutta l’opera, non facendosi in altro aiutare che nel preparare le scene, adattare a’ suoi canali le figure, che a forza di contrappesi ne’ detti canali mirabilmente si muovevano, e disporre le macchine, che non poche, sì nel prologo, come nell’intermezzi, e nell’opera stessa aveva egli inventate”.

Un’ulteriore importante testimonianza sui trattenimenti in musica con marionette ci viene da Scipione Maffei il quale, pubblicando nel 1738 le sue Osservazioni letterarie che possono servire di continuazione ai giornali dei letterati d’Italia, ci informa che “era il Pellegrini di rara abilità nelle meccaniche onde per aver luogo d’operare secondo il genio, (Juvara) persuase al Cardinale di lasciargli costruire in una certa sala del suo palazzo un piccolo teatro ad uso di pupazzi, per farvi recitare onestissime o nobili operette in Musica, alle quali solo pochi uditori di condizione e di confidenza venivano ammessi. I compositori della musica e i pochi sonatori e cantanti erano i più scelti di Roma. Al teatro lavoravano unicamente il Pellegrini e l’Juvara, e per la verità non si sono vedute mai scene, prospettive e macchine più ammirabili, e più ingegnose in così poco sito. Le scene usate ne’ i tre drammi di Costantino, Teodosio e Ciro furono pubblicate con la stampa, intagliate in acqua forte molto gentilmente dallo stesso D. Filippo”.
Un compilatore di notizie teatrali, il Groppo, nel 1746 afferma che in questo genere non si poteva vedere “cosa più nobile e grandiosa”. E vi è da credergli se pensiamo che il nobile Labia, appunto in quell’anno, aveva fatto edificare in contrada San Gerolamo, nelle sale di una fabbrica, un teatrino che ripeteva le proporzioni dell’allora famoso teatro di San Giovanni Crisostomo, dove, durante il Carnevale, fu rappresentata l’opera con “fantocci” Lo sternuto d’Ercole, testo di anonimo da Pier Jacopo Martelli con musica di Hasse e (…), e per la Fiera delle Bagatelle Timocleone, ovvero I rivali delusi testo di Girolamo Zanetti e musica di Hasse.
Il Michiel nelle Note ed osservazioni intorno all’origine e al progresso dei teatri e delle Rappresentazioni teatrali in Venezia e nelle città principali dei paesi Veneti, pubblicate esattamente un secolo dopo, riporta giudizi particolarmente interessanti: “Le scene e le decorazioni si muovono con macchine e ruote allo stesso identico modo che si pratica nei maggiori teatri; e le figurine degli attori sceneggiavano senza lasciar comprendere l’artificio che produceva i loro movimenti. Era magnifico il vestiario, sfarzosa l’illuminazione. Le logge, l’orchestra e la platea erano di figurine eccellentemente lavorate che rappresentavano le maschere e gli altri spettatori, come solevano vedersi nei teatri”.
E nello stesso anno viene rappresentato Il Cajetto, dramma per musica di Antonio Rigo e musica di Ferdinando Bertoni. Nel Carnovale dell’anno seguente è la volta della Didone abbandonata, riduzione da Metastasio per la musica di Adolfati, e nel 1748 Gianguir, su testo di autore anonimo con musica di Giminiano Giacomelli.

Una nota a parte merita l’opera Lo sternuto d’Ercole. In questa vasta produzione di operine in musica con marionette spicca un evento molto particolare che vede quale protagonista un grande personaggio del mondo del teatro: niente meno che Carlo Goldoni il quale, adolescente, ebbe l’avventura di prestare la sua opera addirittura come regista e come marionettista. Colui che sarebbe divenuto uno dei più grandi autori di teatro nel mondo, allontanato dal collegio dove frequentava gli studi, raggiunse a Vipack, nel soggiorno estivo del conte Lantieri, luogotenente generale degli eserciti dell’imperatore Carlo VI e ispettore delle truppe austriache nelle Carnia e nel Friuli, il padre che, come medico, aveva in cura il nobiluomo.
Dice Goldoni che “il conte Lantieri aveva molti riguardi per me. Per farmi divertire fece rimettere in ordine un teatro per marionette molto ricco per figurine e di scenari, ma da tempo abbandonato. Ne approfittai e divertii l’intera compagnia rappresentando l’opera di un grand’uomo, fatta apposta per gli attori di legno: si trattava de Lo sternuto d’Ercole di Pier Jacopo Martelli, , bolognese… C’è disegno, svolgimento, intreccio, catastrofe finale, continue peripezie; lo stile è buono e ben sostenuto, i pensieri e i sentimenti sono proporzionati alla misura dei personaggi, anche i versi sono brevi: tutto davvero annuncia i Pigmei. Per il personaggio d’Ercole fu necessario far costruire una marionette gigantesca. L’esecuzione dello spettacolo fu ottima. Il divertimento riuscì molto piacevole. Se non sbaglio sono stato il solo a rappresentare le bambocciate del signor Martelli”.

Altre città hanno con Venezia il primato del teatro in musica con marionette: Bologna e Roma. Bologna aveva alcuni teatri dedicati alle marionette dove, secondo le notizie riportate da Antonio Francesco Ghiselli nelle Memorie patrie e da Antonio Barilli nello Zibaldone, i nostri attori di legno sono particolarmente apprezzati per i loro movimenti aggraziati e per la loro eleganza. Si presenta: Olimpia vendicata, La Bernarda e L’enigma disciolto, Crisippo, Inganno vince inganno.


Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli, Il pifferaio di Hamelin.

A Roma personaggi celebri come il cardinal Ottoboni favoriscono questo genere di teatro e vi operano come autori, assicurandone il crescente successo. Scrittori e musicisti non mancano, gli attori di legno prolificano e gli illustri spettatori aumentano. Ma ciò che si evince distintamente è il gioco raffinato e garbato di una moda che non lascia alcuno spazio se non appunto alle “bambocciate”. L’interesse è festoso, senza dubbio, gaio ma frivolo; l’intrattenimento con “pupazzi”, “comici di legno”, “burattini” desta stupore e meraviglia e si introduce nel rituale del viver del tempo come la volandola, la Cerussa ed i nei posticci. Chi penetrasse nell’impianto drammaturgico di un’operina come Lo sternuto d’Ercole faticherebbe non poco a ritrovare una sola scintilla di teatralità e neppure il marionettone di Ercole mantiene ciò che promette, tanto egli pure è intralciato da ovvie consuetudini poetiche che fanno presto dimenticare il suo spettacolare sternuto e le sue straordinarie dimensioni.
Le marionette, amate, vezzeggiate, ammirate, incarnano la mera certezza dell’effimero, la caducità del sentimento e la fragilità dell’emozione, ninnoli di un secolo dorato. Dietro i movimenti aggraziati, mirabili, leggiadri, la marionetta perde la propria identità, si sostituisce agli attori ed ai cantanti in un teatro che è per attori e per cantanti. E’ la meraviglia che scaturisce dalle piccole dimensioni a conquistare il pubblico dell’epoca, non la provocazione che l’attore di legno racchiude dentro di sé – e sarà proprio questo elemento a modificare la futura funzione scenica: tramonta per sempre la squallida denominazione di “bambocciata”.

Quando si parla di melodramma, più esatto sarebbe parlare del melodramma per marionette perché, nella tradizione, sempre si trattò di nuova scritturazione e di nuova drammaturgia per gli attori di legno che mal sopportavano, nel loro distacco dalle umane cose, le “costruzioni” delle arie e dei duetti non che il ripetersi degli acuti, dei filati e dei trilli di virtuose e virtuosi del bel canto. Lasciati alle spalle i clamorosi successi riportati, le marionette si scostano dalla “contemplazione” scenica di eroi e di eroine circonfusi di “leggiadre aurette” alle prese con crudeli ed implacabili Divinità Superne. In realtà, e ci perdonino i cultori della musica, se ancora ripetiamo non essersi trattato di melodramma tanto ogni componente teatrale è troppo soffusa e fluttuante al punto che l’agire con marionette è gioco ed esercizio meramente arcadico e scolastico, cioè “poco marionettistico”, qui intendendo la marionetta come linguaggio teatrale autonomo.
Al succedersi però di fermenti d’amor patrio e di libertà, di passioni amorose tragicamente predestinate alla infelicità, alla follia ed alla morte, di giuramenti di sempiterna fede ed amicizia, il mondo marionettistico avverte immediatamente le mutate potenzialità sceniche della materia drammaturgica da trattarsi e la ricchezza che ne viene ai nuovi personaggi i quali, ora, acquistano spessore forse meno poeticamente letterario ma, senza alcun dubbio, drammatico e foriero di sussulti dell’anima, di rovelli del pensiero, di estremi sacrifici. Il tema della morte scritta negli astri da un destino ineluttabile ed impietoso contrastava con quanto, sino ad allora, era passato sui palcoscenici lirici dove era d’obbligo il lieto fine. E quando la morte era calata sui grandi personaggi dell’opera, si era trattato soltanto di una eroica apoteosi trionfante più che del violento termine della vita. Ora appare estrema la fine, quanto estrema la passione amorosa, quanto estremo l’odio che tale passione suscita. E d’intorno, gruppi diversi pronti al tradimento, alla ribellione, all’obbedienza, alla celebrazione, alla guerra, nel mutato ruolo dell’antico Coro della classicità, ora non solo presente sulla scena ma, finalmente, partecipe della trama e della azione scenica, non più mediatore nei confronti dello spettatore ma interagente con i personaggi protagonisti di cui è spesso interlocutore, e, a sua volta, protagonista.

Nel XVIII secolo l’opera lirica ha costituito l’unico repertorio per il Teatro delle marionette, sia quello pubblico che quello privato, ma per tutto l’Ottocento e per la prima metà del Novecento, il melodramma è una scelta che si affianca ad altri filoni quali la commedia classica di Molière, di Goldoni, di Gozzi, per parlare dei più illustri, del Beringhieri, del Federici e degli autori anonimi che avevano trasformato in copioni i Canovacci della Commedia dell’Arte in dotazione ed uso presso tutte le formazioni marionettistiche; ai testi epico cavallereschi quali Guerrin Meschino, I Reali di Francia, alle Sacre Rappresentazioni della Nascita e della Passione, alle agiografie dei Santi, alle gesta dei Briganti, ai grandi romanzi quali I promessi sposi, Il giro del mondo in 80 giorni, Ventimila leghe sotto i mari, agli spettacoli che, svolgendo la funzione di mass media dell’epoca, riportavano sulla scena episodi relativi all’età Napoleonica, quali La battaglia di Austerlitz, La battaglia di Marengo o L’incendio di Mosca o agli episodi delle Guerre di Indipendenza come La battaglia di Palestro, Le battaglie di Solferino e San Martino, L’epopea di Garibaldi, le imprese delle guerre d’Africa e di Libia e la prima guerra mondiale, nonché le Riviste a sfondo satirico.
Oltre a far spettacolo, la finalità era quella di educare all’amor patrio esaltando, anche se, spesso, in forme ampollose e generalizzanti, i personaggi che le cronache e le leggende consegnavano inscritti in “medaglioni” assai stereotipati ove onore, gloria, lealtà e dovere rifulgevano splendidamente, lezione che per altro, anche il melodramma riproponeva nella rilettura dei personaggi storici secondo i dettami dell’età romantica. Ma la traboccante piena dei sentimenti che l’opera lirica portava con sé nello sviluppo musicale e scenico, consentiva agli attori di legno di raggiungere il “sublime” per accenti e per afflato poetico.
E là dove la trama e la tessitura musicale si facevano “giocose”, ecco la genialità di consumati marionettisti trasformare le opere di Cimarosa, di Rossini, dei fratelli Ricci e di Piave in brillanti commedie dal ritmo incalzante con brani musicali che si alternavano a parti dialogate dove la giocosità si accentuava per la presenza del personaggio-maschera che recitava nel dialetto di origine rivestendo i panni dei diversi personaggi: Taddeo ne L’italiana in Algeri, ora Geronimo ne Il Turco in Italia, ora Crispino nell’opera dei Ricci, oppure infiltrandosi in veste di nuovo personaggio, non a caso quello di un servitore, ne Il matrimonio segreto del Cimarosa, al fine di stravolgere il finale favorendo la fuga dell’attempata Fidalma con il Conte Robinsone!
Le locandine che annunciavano le rappresentazioni recitano scrupolosamente che Baciccia, Famiola, Gianduja, Gerolamo, Facanapa, Sganaspino sosterranno la parte di…”.

Nel panorama dell’opera seria, la distribuzione dei ruoli nell’edificio marionettistico, per altro, rispondeva pienamente ai “topoi” che la drammaturgia operistica aveva canonizzato: padri nobili, fanciulle indifese perseguitate, tiranni persecutori e traditori in agguato, amici di entrambi i sessi fedeli e pazienti, “solitarij” e “confidenti”. Rimase escluso, per comprensibili motivi, l’ambiguo e sottile rapporto sociale e psicologico tra padri e figli che tanta incidenza ebbe nell’evoluzione drammatica dei personaggi lirici.
Il teatro di animazione affrontò l’opera seria in una atmosfera di assoluta sublimazione, al di sopra di ogni condizione umana, come se i suoi personaggi rispondessero a canoni scultorei. Così nacquero le riduzioni teatrali di Norma, di Giovanna d’Arco (dramma in quattro atti che termina con una grande Marcia funebre durante la quale la Pulzella d’Orlèans, condotta in scena sopra una barella con orifiamma, muore felice invocando il nome dell’amato Leonello), di Attila, de I masnadieri, di Macbeth (che iniziava con un sabba tenuto da Ostragamus e dalle figlie dell’Erebo nel quale il Demonio istruiva “le fide ministre del regno buio di Pluto” su come corrompere Macbeth e “trascinarlo negli Abissi”, sollevando pietosamente il protagonista dalla sua predestinazione al delitto!), de Il Trovatore, de La forza del destino, de La battaglia di Legnano (di cui esisteva, assai modificato nella trama, un ballo di grande successo con protagonista il Barbarossa), di Otello, di Falstaff, di Aida (più comunemente indicata da qualche capocomico burlone con la colorata titolazione “la schiava Etiope ovvero l’Aida di Giuseppe Verdi”), in stesure che mescolavano, talvolta selvaggiamente, talaltra genialmente, i testi teatrali a cui si erano ispirati i librettisti, o a rimaneggiamenti in prosa o in versi già operati in precedenza, trasformando, il più delle volte, secondo un’antica tradizione, la tragedia in lieto fine ed inserendo, molto arbitrariamente, il personaggio-maschera in ruoli che non sempre si armonizzavano con gli altri personaggi e con la trama dell’opera.

Di una arbitraria quanto folle lieta soluzione per Il Trovatore di Verdi è giunta notizia tramite un piacevole aneddoto di cui fu protagonista il poco paziente baritono Mondini, (come racconta il figlio in una deliziosa pubblicazione dedicata ai teatrini da salotto), il quale, vedendo Leonora e Manrico “burattini” convolare a nozze fra Azucena e zingari festanti, scattando in piedi, diede un urlo così potente da spaventare l’intera platea! E non è da meno il manoscritto conservato presso la biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna in cui, a sostituire Azucena (nel mondo delle teste di legno una siffatta madre avrebbe preoccupato non poco!) vi è Maritana, sorellastra di Manrico, la quale, sconosciuta a Leonora, ne desta la potente gelosia.
Ma la ricchezza e la complessità degli allestimenti marionettistici, spesso superiori per unità stilistica a quelli dei teatri lirici, richiedevano momenti di spettacolo di grande effetto che non tutti i melodrammi italiani potevano soddisfare. E, del resto, il palcoscenico delle marionette non perseguiva la concisione spesso sopra le righe degli autori lirici ( basti pensare al processo conclusivo de Il Pirata di Bellini!).
Fu, quindi, naturale che l’attenzione si rivolgesse al mondo del Grand-Opéra francese ove il testo drammatico imponeva la presenza di alcuni effetti tipici come grandi scene di massa, balletti, sorprendenti invenzioni scenotecniche, il pittoresco e l’esotico. Oltre a tale cifra drammaturgica, entrò nel mondo marionettistico la grande lezione del teatralissimo Scribe, lezione che, da allora, rimase elemento fondamentale nel pensare lo spazio scenico nello spettacolo delle marionette: l’alternarsi di scene “corte” a scene di grande sfondo, di ambienti aperti ad ambienti chiusi, di penombra e di tutta luce. In questo fondamentale clima di rinnovamento (la scenografia dipinta, dilatandosi in più elementi di illusione prospettica, acquistò il ruolo di atmosfera e non più di ambiente) ecco entrare nel repertorio marionettistico la musica di Meyerbeer con Roberto il Diavolo, L’Africana, Il Profeta, e quella di Gomez con Il Guarany.
Che non si trattasse di una scelta di moda o di un pedissequo imitare il teatro ufficiale ma di una precisa convinzione artistica, è attestato dal fatto che, con l’avvento dell’opera verista, il sodalizio teatrale marionette e melodramma si interruppe; troppa realtà, numerose problematiche, profonda introspezione avrebbero contrastato non soltanto con la gestualità enfatica degli attori di legno ma, soprattutto, con la loro essenza, per altro, già ampiamente occupate a riproporre sul palcoscenico drammoni “borghesi” come La Monaca di Cracovia, I due sergenti, Lo zio Battista e La notte di San Silvestro, Le barricate di Parigi, La sepolta viva. Ma quando il teatro ufficiale subì una importante evoluzione con l’avvento dei registi Craig, Stanislavskij, Appia, e, soprattutto, quando i musicisti compresero nel loro percorso artistico la scritturazione per marionette, il connubio si rinnovò per spettacoli come Pierino e il lupo e L’amore delle tre melarance di Prokofiev, La boite à joujoux di Débussy, La bella addormentata nel bosco di Respighi, El retablo de Maese Pedro di De Falla, Génévieve de Brabant di Satie.
Con le nuove concezioni musicali si rinnovano anche la struttura drammaturgia, l’ideale estetico dello spettacolo marionettistico ed il significato metafisico dell’attore “marionetta”. E furono contemporaneamente riprese opere come La serva padrona di Pergolesi, Cendrillo di Massenet, Il barbiere di Siviglia, La gazza ladra e La cambiale di matrimonio di Rossini. E in tempi a noi vicini Lucia di Lammermoor, Rigoletto, Carmen, Mefistofele, Cenerentola di Rossini, Il principe Igor, alcuni intermezzi goldoniani con musiche di Vivaldi e di Salieri, Cristoforo Colombo di Franchetti, I promessi sposi di Ponchielli.

Ma perché non sembri che ci si adoperi soltanto per celebrare il passato rinnovandone i fasti antichi rimanendo chiusi nell’immobilismo a cui ci hanno condannato alcuni astuti teorici etichettandoci come “teatro di tradizione”, è necessario dare una risposta all’inevitabile quesito: perché, oggi, il melodramma “per” marionette? Immediata si pone la precisazione che ci vuole energicamente lontani dai rituali teatrali dedicati alle opere di Mozart, in cui eccellono, incontrastate, le Marionette di Salisburgo, imitate, ormai senza esitazione, da tutte le Compagnie marionettistiche di cultura mitteleuropea. Energicamente lontani anche dalla tecnica di animazione assolutamente perfetta, dalla concezione di spettacolo e dall’idea di marionetta di questa illustre formazione. Altrettanto immediato il rifiuto della teoria che ritiene il melodramma uno spettacolo superato di cui riappropriarsi attraverso la sua “attualizzazione”. Sulle pagine di un quotidiano, tempo fa, un critico si augurava che si diffondesse, finalmente, la moda di mettere in scena gli spettacoli così come scritti e pensati dagli autori! Non sembri pertanto azzardato pensare che l’umiltà e la purezza di “oggetti” teatrali come le marionette, così emblematiche, metaforiche, al di là di ogni realtà fisica, divengano “l’intelligenza visiva” di grandi opere teatrali. Nella Storia delle marionette, antica quanto universale, in più di una situazione esse furono strumenti di “lettura” equilibrata di grandi eventi. E là dove musica, gesto, parola, luogo ed azione sono inscindibilmente teatro, vive un grande evento. Oggi come allora.

Bibliografia:
– Patrick J. Smith, La decima musa – Storia del libretto d’opera, Sansoni Editore 1981.
– Luca Zoppelli, L’opera come racconto. Modi narrativi nel Teatro musicale dell’Ottocento, Marsilio Editore 1994
– Franca Cella, Prospettive della librettistica italiana nell’età romantica, in “Contributi dell’Istituto di Filologia Moderna – Storia del Teatro”, Vol. I – Vita e Pensiero 1968
– Franco Lorenzo Arruga, Incontri fra poeti e musicisti nell’opera romantica italiana, “In Contributi dell’Istituto di Filologia Moderna – Storia del Teatro”, Vol. I – Vita e Pensiero 1968
– Giovanna Gronda e Paolo Fabbri, Libretti d’opera italiani dal Seicento al Novecento, Mondadori 1977
– Roger Parker, Storia illustrata dell’opera, Giunti-Ricordi 1998
– Luigi Baldacci e Gino Negri, Tutti i libretti di Verdi, Garzanti 1975
– Raffaello Monterosso, La musica nel Risorgimento, Vallardi 1942
– Doretta Cecchi, Attori di legno – Le marionette italiane tra ‘600 e ‘900, Fratelli Palombi Editori, Roma 1988
Burattini e marionette italiane – Catalogo della mostra – Museo Teatrale alla Scala, Milano 1967
Burattini e marionette in Italia dal ‘500 ai giorni nostri – Catalogo a cura di Maria Signorelli, Roma, Palazzo Antici Mattei, febbraio 1980
– Roberto Leydi e Alessandra Mezzanotte, Marionette e burattini, Milano 1958
Burattini, Marionette, Pupi – Catalogo della mostra – Palazzo Reale, Milano 1980

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