L’urlo del corpo
Un'immagine da Riccione TTV
Ripensando alle immagini trascorse sugli schermi del TTV Festival, cè un tema in particolare che mi è parso dominante, un motivo iconico vorrei dire, che nell’affastellarsi delle immagini nella memoria assume la luminosità iridescente di leitmotiv dell’intera rassegna. Immagini di corpi, ora smaterializzati e immillati su bianche superfici digitali a tralucere effetti di pura e inattiva visività, ora oltraggiati e vilipesi nella fitta oscurità di claustrofobiche camere da tortura, lintegrità figurale della persona orrendamente straziata in baconiani studi per crocifissione. Come non ripensare alle figure spettrali, agli attori-geroglifico del teatro filosofico della Socìetas Raffaello Sanzio: la cavità magica della scena ierofanica popolata da masse carnose, dalle folgoranti figure segnate dal Dio, dai corpi di possenti e arcaici animali portatori anchessi della scintilla divina, testimoni di un mitico passaggio da la morte di Dio alla nascita della tragedia. Ancora una volta, la pronunzia del corpo dellattore al centro della scrittura scenica: sia esso fulgido, glorioso e purissimo corpo, sia esso perduto entro loscenità della materia, sprofondato e corrotto nel gravame della carne, impossibilitato ad essere se non nella deiezione.
Una sensazione di bruciatura acida nelle membra, i muscoli torti e come a nudo, il senso dessere di vetro e sbriciolabile, una paura, un ritrarsi di fronte al movimento, e il rumore. Un disordine inconsci dellambulazione, dei gesti, dei movimenti. Una volontà perennemente tesa per i gesti più semplici, la rinuncia al gesto semplice, una fatica sconvolgente e centrale, una sorta di fatica aspirante. (Antonin Artaud, LOmbilic des limbes)
Nella prima fase della teatrologia artaudiana si assiste alla comparsa della metafora della bruciatura acida delle membra e della vetrosità, con specifica allusione al punto di sosta del sangue, emblema del soffocamento e del coagulo di qualsiasi flusso vitale o movimento di pensiero. A unattenta analisi dei testi artaudiani (sulla scorta dellimprescindibile studio di Artioli/Bartoli, Teatro e corpo glorioso) ci si avvede però che, sotto la categoria del gelo e del ristagno, della pietrificazione del corpo, lautore de Le théâtre de la cruauté non vuole significare soltanto il gran freddo o la persistente siderazione dello spirito in quanto topoi della paralisi e del deserto mentale. Il fuoco che brucia le membra, infatti, e che, ossimoricamente, ha caratteri di freddezza, stasi, sprofondamento in un vuoto che è morte è anche fuoco che calcina e corrode, è forza attivante, elemento che dà la morte e la vita. Nel profilarsi di un doppio statuto dellelemento carnale, inteso ora come esito di una maledizione, ora come nostalgia verso una mitica età delloro, vi è un riferimento costante al momento cosmogonico per eccellenza, allattimo cioè in cui la vita è un pulsare indifferenziato, agitato da un fuoco febbrile non ancora rappreso. Lelemento che resiste allesperienza della notte tragica in cui lio pare sgretolarsi sotto i colpi dellirrazionale, è proprio la materialità di questo corpo, il suo spessore tangibile, la sua dolorosità cogente. Artaud non ignora che, di fronte allaridità del pensiero, vi è qualcosa in cui si accende la vertigine della vita universale, qualcosa in grado di eliminare qualsiasi scansione tra soggetto e oggetto. Egli, come Bataille, sa bene che lerotismo, come la poesia e lestasi mistica, fioriscono in quel dominio oscuro dove lessere, eccedendosi nella dismisura della morte, ritrova il tutto-pieno della vita (Teatro e corpo glorioso). Come già aveva intuito Nietzsche il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra ed una pace, un gregge ed un pastore (Also spracht Zarathustra). Esso possiede una logica propria, una saggezza più vasta di quella appartenente al pensiero, quivi dimora …un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé e che è superiore alla nostra coscienza, al nostro spirito, al nostro consapevole pensare, sentire e volere, quanto lalgebra alla tavola pitagorica. Deleuze, riprendendo la felice intuizione nietzscheana sul carattere parziale e servile della coscienza, definirà il corpo un campo di forze o di battaglia, un prodotto arbitrario delle forze che lo compongono e che stanno, tra loro, in costante rapporto di tensione. Il corpo in quanto fenomeno molteplice sarebbe, dunque, il composto di una pluralità di forze irriducibili che danno luogo ad una unità di dominio (Nietzsche et la philosophie). Di qui il corpo come imponderabile frutto di un caso, meraviglioso coup de dés tirato a sorte dal combinarsi di forze chimiche, biologiche, sociali, politiche a dar luogo alla cosa più meravigliosa – molto più della coscienza e dello spirito- che luomo possieda.
In Artaud lorrore verso la ferinità dellelemento erotico, percepito ora come flusso desiderante, ora come Spirito Spossessatore, spinge il giudizio sulla tentazione del sesso a rimanere sospeso nella paralisi del gioco attrazione/repulsione: cè uno spirito nella carne pronto come la folgore. Lo scuotimento della carne partecipa della sostanza alta dello spirito aveva affermato lautore ne la Position de la chair, lasciando intendere che nel nodo cruciale originario, ove spirito e materia non si distinguono, lanima sepolta possa finalmente aprirsi un varco per ricongiungersi al divino. E un afflato insieme fisico e spirituale quello che interessa Artaud, è la suprema tensione originantesi dal corpo, altrove definita limpulsività della carne mistica (Correspondance de la momie). La messa a morte dellio, la cessazione della superstizione del principium individuationis sono tuttuno con lesperienza della emozione che restituisce allo spirito il suono sconvolgente della materia. E, tuttavia, tali mistiche rivelazioni sono in Artaud indissociabili dallesperienza dellangoscia, unangoscia atavica e totalizzante, esemplificata dal pulsare erotico della carne, insinuato nel corpo da Dio per pervertirne la forza originaria. Sì, la carne pensa, conclude Artioli: “cè nel sesso un tremore ispirato che riversa dallaltra parte delle cose un sapore di peccato, di vero peccato teologale nelle cui convulsioni sarroventano gli orrori, le immondezze, le scatologie, i crimini, gli inganni di cui è intessuto il fondo crudele della vita. (Teatro e corpo glorioso).
In questo dramma di carnale Passione, ove i possibili esiti di rinascita passano attraverso il presagio di membra straziate, nella paralisi che nasconde lincandescenza ignea del germinare intensivo della vita, mi pare si possa collocare il video Il corpo di Stefano Bisulli, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Riccione TTV Festival. Il video, premiato col Sole Blu dai giurati de Festival per aver saputo fermare fissare in forma video le trasformazioni estreme suggerite da un testo particolarmente ossessivo…, è stato costruito a partire dallo spettacolo Dovevamo scegliere (e siamo stati scelti) di Fabio Biondi. Limmobilità rovente di cui si diceva è resa, nel video in questione, da una rigidissima costruzione scenica che, eliminando stacchi e cambi di inquadratura a spezzare la tensione montante, crea un effetto di disagio fisico, accresciuto dal ritmo martellante di dizione del testo che non concede sosta allattore. Costretto su di un letto simil-ospedaliero, lenorme corpo seminudo si offre impudico e ansimante allocchio implacabile della telecamera. Il collo è bloccato da una specie di collare che gli serra la gola, la pelle rosso sangue appare sgranata alla ripresa ravvicinata della telecamera; un tremolio gelatinoso tradisce i sussulti della carne straziata; la voce soffiata, impedita al passaggio verso lesterno dalla postura costretta, narra di un moderno e infelice Minotauro, erede del mitologico mostro che aveva corpo duomo e testa di toro, già posto da Dante a simboleggiare lira bestial nel suo Inferno (Inf. XII, 33).
La leggenda è arcinota: si narra che la regina Pasifae, moglie del re cretese Minosse, sinnamorasse perdutamente di un toro inviatele da Poseidone. Decisa a consumare la sua colpevole passione la giovane donna, su consiglio di Dedalo, si fece costruire una giovenca così perfetta che lignaro animale singannò. Dallaccoppiamento contro natura della regina Pasifae (Nella vacca entra Pasifae / perché l torello a sua lussuria corra, Purgat. XXVI, 41-42) nacque Minotauro, il dio-toro sposo e figlio della dea madre, signore degli inferi e delloscurità. Rinchiuso da Minosse nel celebre Labirinto (simbolo da esplorare ma non risolvere secondo la teoria dellaccettazione del karma), langelo-demone della civiltà cretese divenne lemblema della difficoltà dellessere, del conoscere, del ri-trovare, insomma un mostro pauroso dellanima, rinnegato e rimosso dalla civiltà razionalista. Il protagonista de Il corpo risulta affatto credibile nel restituire il senso e la pena delle sevizie subite dallo sfortunato dio-toro, sorvegliato e punito dai rappresentanti del Potere costituito. Attraversato da fremiti di ancestrale e indomita animalità, il Minotauro incarna il ritorno delluomo allo stadio bruto di un erotismo ctonio e spossessante, cui si addicono le parole di Artaud: Luomo, quando non lo si trattiene, è un animale erotico, cè in lui un tremore ispirato, una specie di pulsazione produttrice di bestie senza numero che sono la forza attribuita dagli antichi popoli terrestri universalmente a dio. Ciò faceva quel che si chiama uno spirito (Pour en finir avec le jugement de dieu). Se la maledizione della carne è evidente sin dalle prime inquadrature del video (il corpo è una prigione entro cui si dibatte lo spirito indomito; per i seguaci di Mani esso costituiva la grande calamità), lessere mitologico o semidio imprigionato racchiude in sé i due massimi vettori di caduta del corpo dalla sua forza originaria. Per lultimo Artaud, Dio ed Eros fatalmente concorrono nel sottrarre luomo a se stesso, nellaberrarlo depotenziandolo attraverso i metodi della martirizzazione. Da questa tragedia dello smembramento, in cui origine divina e bestialità regressiva convivono e si scontrano sino a creare, sul corpo del protagonista, un campo di forze laceranti, si leva un senso di impalpabile pietà, provocata nello spettatore, dal dolore innocente e quasi biologico cui è sottoposta la mostruosa creatura. Nello spalancarsi terrifico della bocca, la libertà dei movimenti negata insieme alle pause fisiologiche del respiro, fuoriesce un profluvio di parole che narra della crudeltà dei familiari, della paura mai superata di antiche e infantili esclusioni. Lespressione del dolore delluomo diventa, adesso, la rappresentazione senza speranza di unagonia individuale e collettiva. Lasciato solo nella stanza-cella a consumarsi nel desiderio, a bruciare nel fuoco onanista che non trova requie, losceno mostro si offre quale metafora della brutalità del trattamento inflitto alle vittime di interni manicomiali, quale emblema della moderna repressione sociale verso ciò che è ritenuto deviante o blasfemo.
Alessandra_Giuntoni
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