Tre parabole atomiche
Il teatro della scienza di Rossotiziano
Il materiale che segue è la base dalla quale abbiamo tratto le solite chiacchiere che si stampano nei programmi di sala. Tuttavia queste sono le premesse dell’intero progetto sulla scienza, e sono state scritte molto prima che il progetto, nel suo insieme, prendesse, concretamente forma, e assumesse la sua peculiare fisionomia teatrale.
Quello di rileggere le premesse di un progetto quando questo è ormai già realizzato è un mio vezzo.
Mi diverte confrontarle con i risultati ottenuti, e sono soddisfatto quando questi non le smentiscono.
Un buon giocatore di biliardo, prima di piazzare il colpo, dichiara l’obiettivo. E’ questione d’onestà.
Certo a volte capita che il percorso che si inizia a partire dalle premesse ti porta a scoperte e risultati che neppure si immaginavano, e che questi risultati si discostino dalle premesse stesse… non importa: solo se le premesse sono chiare è possibile capire come e quanto ci si è allontanati, e valutare i risultati ottenuti. Insomma, eccoti le premesse, i risultati li hai visti, dunque valuta tu.
IL TEATRO DELLA SCIENZA
la parabola atomica
IL TEATRO DELLA SCIENZA – la parabola atomica è un “programma” teatrale che si articola in tre distinti progetti, ognuno dei quali è frutto di un autonomo percorso di ricerca che si manifesta nella realizzazione di un evento spettacolare. La giustapposizione di tali eventi fornisce un quadro d’insieme complesso e variegato che conserva, come nota dominante, l’argomento scienza, in particolare la fisica atomica.
Rivivendo l’esemplare tragitto esistenziale del fisico catanese Ettore Majorana; ripercorrendo l’incalzare degli eventi che hanno portato all’ecatombe di Hiroshima; osservando la dolorosa parabola di Julius Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica, abbiamo acquisito la consapevolezza di qualcosa che noi – inguaribili umanisti – non riuscivamo a comprendere, non potevamo ammettere: i fisici atomici con le loro scoperte, le loro invenzioni, hanno influito, non solo sul nostro secolo, ma sulla nostra stessa vita quotidiana, più di quanto riusciamo a immaginare e, forse, molto di più di quanto abbiano potuto influenzarci forme o correnti artistico-letterarie.
Ma sono così diversi gli scienziati geniali e i grandi artisti?
O non sono piuttosto uniti dal fatto di possedere la capacità di mostrarci la vera essenza della natura e dell’uomo, mettendo, di volta in volta, in crisi prospettive e verità che consideravamo acquisite?
Dunque, se arte e scienza non sono così lontane come sembrano, il teatro può rappresentare il ponte dove possono incontrarsi e dove si possa finalmente imparare che il mondo della scienza non è qualcosa di astruso, astratto, lontano ma qualcosa di essenziale, concreto, che ci appartiene.
D’altra parte Majorana potrebbe benissimo essere un personaggio uscito dalla penna di Pirandello; la storia della bomba atomica è degna di un’epopea brechtiana e Oppenheimer potrebbe a giusto titolo entrare nella schiera degli eroi che funestano la Tragedia Greca, e questo è per noi teatranti uno stimolo già sufficiente per affrontare quegli argomenti scientifici che, di norma, salvo rare eccezioni, sono lontani dalle tavole del palcoscenico.
Con VARIAZIONI MAJORANA si racconta la storia di chi, oppresso dal proprio “genio”, avverte un senso di distruzione al quale tenta disperatamente di sottrarsi, finendo col sottrarre se stesso al mondo.
Nel breve volgere di una giornata si consuma il mistero della scomparsa di Ettore Majorana. Nonostante la lettera del 26 marzo: ” (…) Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani a Napoli. (…) Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli. Aff.mo E. Majorana.”, che smentisce i propositi di suicidio manifestati in una lettera del giorno precedente, il fisico catanese non farà più ritorno, né il suo corpo verrà mai ritrovato. Basta questo per far avanzare ipotesi che vanno ben al di là di un “normale” suicidio. C’è chi sostiene che Majorana abbia organizzato fin nei minimi dettagli la sua scomparsa dal mondo. Perché? Per sottrarsi a cosa? un fatto è certo: Ettore Majorana era un genio assoluto della fisica moderna, come non esitava a definirlo lo stesso Enrico Fermi, col quale ebbe una conflittuale collaborazione all’interno del gruppo di via Panisperna. Ma era un genio atipico, si poneva ai margini. Odiava congressi e conferenze, non diffondeva e non pubblicava le sue teorie spesso illuminanti e anticipatrici. In che misura questa genialità ha influito sulla sua scomparsa, autentico suicidio o finzione che sia? Difficile stabilirlo. Nella cassaforte dei ricordi si alternano, con dinamiche di atemporalità onirica, diverse vicende. Soprattutto il soggiorno in Germania, le frequentazioni avute con il gotha della fisica mondiale, l’ultimo periodo a Napoli. Rifiuto e scomparsa. Incapacità di adattarsi. Impossibilità di una redenzione. Coscienza del singolo e occulti meccanismi del potere. Responsabilità individuale e decorso della Storia. Non un resoconto biografico. Piuttosto un tragitto esistenziale complesso, sorretto da una ironia spesso crudele e tragicomica, che conduce Majorana sulla soglia del non ritorno. Uno spettacolo dove realtà storica e fantasia si mescolano fino a confondersi, nella speranza di tessere un racconto il più possibile originale e autentico.
Con GLI APPRENDISTI STREGONI di come un pugno di pacifisti diede il via alla costruzione della bomba atomica si racconta, invece, attraverso un teatro di narrazione, la storia delle più grandi menti del nostro secolo. Il tempo delle grandi scoperte scientifiche e dei padri del nucleare, da Curie a Fermi, da Bohr ad Heisenberg, da Rutherford a Szilard, da Oppenheimer a Teller. Mezzo secolo di ricerche nel mondo dell’infinitamente piccolo che hanno messo davanti agli occhi dell’umanità le sconvolgenti possibilità di applicazione del nuovo simbolo della scienza: l’atomo. I nostri protagonisti, infatti con i loro studi e i loro esperimenti hanno sì svelato i segreti più intimi della materia, ma legandosi a doppio filo alla politica e alle sue esigenze non ne hanno saputo controllare le enormi valenze distruttive, emergendo così come i principali responsabili di una delle pagine più tristi della nostra storia: il lancio della bomba atomica su Hiroshima. Ma l’aspetto paradossale sta nel fatto che si costruì la bomba esclusivamente per “scopi di pace” e che a lanciarla fu proprio la più grande democrazia libertaria, gli Stati Uniti d’America, provocando così un disastro di dimensioni colossali che superò di gran lunga il folle disegno criminoso di Hitler.
L’AMERICA contro JULIUS ROBERT OPPENHEIMER: Julius Robert Oppenheimer fu salutato nel 1945 come il “padre della bomba atomica”, titolo semplificativo ma quanto mai meritato se, unanimemente, tutti coloro che parteciparono, a vario titolo, alla costruzione della bomba, furono concordi nel sostenere che senza il “sacro zelo” di Oppie, la bomba non sarebbe mai stata realizzata.
Bambino prodigio, ancora dodicenne, confessò al suo maestro di scuola di sentirsi “…l’uomo più solo della terra…”; ventotto anni dopo tradì il suo migliore amico nell’ansia di dimostrare la sua totale dedizione al piano di costruzione della bomba atomica: il “Progetto Manhattan”. Dopo l’esplosione sperimentale di Alamogordo, che attestava che la bomba era riuscita, “camminava come Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco” e dopo l’ecatombe di Hiroshima non esitò, in pubblico, ad alzare le mani intrecciate nel classico gesto di autocongratulazione di chi ha vinto un premio. Era amatissimo. Il simbolo della vittoria americana. Ottenne riconoscimenti d’ogni sorta e acquisì la carica di presidente del comitato consultivo per l’energia atomica.
Ma quando ottenne questa carica era già profondamente mutato. Dilaniato da sensi di colpa e crisi di coscienza si sentiva direttamente responsabile della terrificante spirale di morte innestata dal lancio della bomba atomica. La sua angoscia era tale che lo spinse a mostrare il palmo delle mani al presidente Truman dicendogli: “…Signor presidente, c’è sangue sulle mie mani”. Profondamente depresso, perse per sempre il suo “sacro zelo” e quando capì che il comitato che presiedeva aveva il “solo compito di fornire armi atomiche” al governo americano, cominciò a vagheggiare di adoperarsi per un controllo internazionale sulla produzione di armamenti, per ostacolare quel crescendo che presto avrebbe trascinato il mondo nell’angoscia della guerra fredda. Rifiutò, perciò, di aderire al progetto della “super bomba” – la bomba all’idrogeno, molto più potente dell’atomica – e divenne ben presto inviso agli ambienti scientifici, politici e militari che sostenevano tale progetto.
Quando gli Stati Uniti subirono lo shock dei progressi sovietici in campo atomico Oppenheimer fu impietosamente accusato del ritardo americano. La commissione per l’energia atomica decise di ritirargli la fiducia, ma quello che doveva essere un comune procedimento amministrativo contro un pubblico funzionario, si trasformò immediatamente, in pieno “maccartismo”, in un accanito processo contro quello che era ormai considerato un traditore della patria. Le accuse formali ai danni di Oppenheimer riguardavano la sua passata appartenenza a movimenti comunisti e nascondevano la convinzione che avesse sottilmente frenato e sabotato il programma per la “super bomba”, consentendo così il sorpasso sovietico in campo atomico. L’isteria “maccartista” aveva trovato in Oppenheimer il suo “capro espiatorio”, distruggendo la vita pubblica e privata dell’uomo che, appena sette anni prima, era stato acclamato come un eroe.
Basato su verbali d’inchiesta e materiali giornalistici L’AMERICA contro JULIUS ROBERT OPPENHEIMER – è un excursus teatrale di quel “processo”. Fra azione e narrazione l’incredibile parabola di un eroe nazionale ridotto dall’isteria maccartista a traditore della patria.
Ogni esperienza porta con sé la speranza (o l’illusione) di aver imparato qualcosa, ma cosa si sia effettivamente imparato è difficile valutare.
In questi anni in cui abbiamo avuto a che fare con grandi temi, grandi scienziati e con l’obiettivo di tradurre tutto ciò in “teatro”, abbiamo sempre lottato contro una tremenda sensazione di inadeguatezza: troppo sfuggente Majorana per poterlo raccontare; troppo complessa la storia della bomba atomica per poterla degnamente restituire; troppo giovani per poter rappresentare Oppenheimer… insomma un casino.
Ci siamo disperatamente aggrappati all’idea di partenza, abbiamo ostinatamente creduto che le storie che volevamo raccontare dovevano essere raccontate, non importa come…Forse abbiamo imparato che quando ci si affeziona a delle storie (non importa quanto grandi, difficili o complicate) bisogna raccontarle, anche se, inizialmente, non ci si sente all’altezza; i limiti strutturali, espressivi, economici contribuiscono a creare il canone, la forma attraverso la quale queste vengono raccontate.
Perché poi ci si affezioni a delle storie piuttosto che ad altre, quello poi è un mistero.
Quando abbiamo deciso di fare Oppenheimer i nostri limiti di budget erano molto severi: potevamo permetterci soltanto quattro attori, a fronte di almeno otto personaggi; altrettanto severi erano i nostri limiti espressivi: avevamo, mediamente, trentun anni e tutti i personaggi erano fra i cinquanta e i sessant’anni. La scelta dell’excursus a metà fra azione e narrazione è stata la (sofferta ) soluzione formale capace di contenere i nostri limiti, altrimenti paralizzanti.
La forma non è particolarmente originale, per carità!, nulla di nuovo sotto il cielo… ma nella nostra trilogia questo è stato il criterio di lavoro.
Criterio che, per ora, ci ha tenuto lontano da compiaciuti esercizi di formalismo e astruse scelte “misticheggianti”, pur esponendoci al rischio di fare spettacoli magari troppo didascalici.
L’esperienza del Teatro della Scienza si è conclusa, non sappiamo ancora se i progetti futuri possano contenere degli elementi di continuità rispetto a questa trilogia, è ancora troppo presto per poterlo valutare.
Antonio_Marfella
Tag: rossotiziano (2), scienzaeteatro (13)
Scrivi un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.