#fase2 | Lo spettacolo deve ricominciare. In sicurezza, ma al più presto

Se a maggio riprendono lo sport e le funzioni religiose, perché spettacoli, concerti e festival non possono ricominciare a giugno?

Pubblicato il 01/05/2020 / di and / ateatro n. 172

Quando il teatro non esiste

La fatidica sera del 26 aprile, la Festa della non-Liberazione, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ha nemmeno menzionato lo spettacolo. Per i teatri, i cinema, i concerti, la chiusura prosegue a tempo indeterminato…
Centinaia di migliaia di lavoratori non sanno quando e come potranno riprendere il lavoro.
Come ai tempi del racconto di Jorge Luis Borges La ricerca di Averroè (nella raccolta L’Aleph), oggi il teatro non esiste più. Dunque dobbiamo reinventarlo.

La crisi ha reso evidente la fragilità del settore, la sua scarsa capacità di contare e di fasi valere. L’autonomia, rivendicata con un pizzico d’orgoglio nelle forme dell’indipendenza e/o dell’autoimprenditorialità, si è rivelata un grave punto di debolezza.
Senza nulla togliere allo streaming, al videoteatro, al “Netflix della cultura”, se le compagnie non si rimetteranno al più presto a lavorare, lo spettacolo dal vivo rischia di sparire non solo dall’immaginario del Presidente del Consiglio, ma da quello collettivo.
Le difficoltà sembrano insormontabili:

# il sostegno alle imprese di produzioni per i danni subiti e la rimodulazione delle forme di sostegno dopo la fine dell’emergenza;
# il sostegno ai lavoratori, con un welfare tutto da ripensare, senza illusioni immediate …ma forse è la volta buona!#
# la sostenibilità per l’immediato futuro;
# i problemi tecnici legati ai modi produzione “ravvicinati” inevitabili nel settore;
# e il pubblico: tornerà? e come?

Sono problemi specifici dello spettacolo, ma non sono più gravi di quelli di altri settori. Anche se più che in altri settori spaventa la consapevolezza che le cose dovranno cambiare, in termini di linguaggi, di sostenibilità, di regole. Di contenuti e di necessità.
Ma ora è necessario concentrarsi sull’immediato futuro: ripartire con orgoglio e fantasia.
Provare, creare produrre al più presto, almeno nei tempi previsti per le palestre o i ristoranti.
Per poi presentarsi al pubblico al più presto, se possibile non oltre giugno.

Bike-in theatre

All’aperto.
Piccoli eventi, diffusi capillarmente sull’intero territorio nazionale.
Prenotazione obbligatoria, gestione dei flussi, termoscanner.
Gel e mascherine, distanziamento.
In collaborazione con gli enti locali.
Mobilitando i volontari per la gestione dei flussi.
Magari per un grande festival partecipato e auto-organizzato.

Lo spettacolo e la cultura non servono dopo la ripartenza.
Lo spettacolo e la cultura servono per ripartire.

Anche le Linee Guida presentate dall’AGIS il 30 aprile 2020, Lo spettacolo in Italia nella Fase 2, sono un primo passo in questa direzione (e potranno naturalmente essere integrate e migliorate).

[pdf-embedder url=”https://www.ateatro.it/webzine/wp-content/uploads/2020/04/AGIS_-Fase-2.pdf” title=”AGIS_ Fase 2″]

Ma il teatro è davvero come la peste?

La necessità improrogabile per chi produce lo spettacolo è incontrare nuovamente il pubblico.
Ma prima è necessario riprendere a lavorare: il processo delle prove è parte dell’essenza stessa del lavoro teatrale e musicale.

La sanificazione di un teatro in Corea del Sud.

Secondo il Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione approvato dal Comitato tecnico scientifico (Cts), il teatro è meno pericoloso dello sport.
Le Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento hanno un livello di rischio di contagio “medio/basso” e al solo codice ATECO 90 (Attività creative, artistiche e di intrattenimento) un livello di rischio “basso”, pur in presenza di una elevata classe di aggregazione.
Il rischio per gli atleti professionisti è invece considerato “alto”: insomma, se la serie A ricomincia ad allenarsi, non si capisce perché attori, danzatori, acrobati e musicisti non doverebbero iniziare a provare.
Come gli atleti, danzatori, musicisti, attori non possono restare a lungo senza allenarsi. Senza provare. Senza avere un obiettivo: la partita per gli atleti, lo spettacolo per attori e danzatori, il concerto per i musicisti.

L’analisi di rischio nelle diverse discipline sportive e nelle diverse tipologie di spettacolo secondo Perfida de Perfidis.

In alternativa, lo spettacolo e la musica potrebbero accodarsi al culto e allo sport. Per evitare l’estinzione, dovremo trasformare le sale prove in palestre e ristrutturare i teatri per farne templi. Saremo costretti a convertire i codici ATECO per fare di una compagnia “multidisciplinare” una “polisportiva”, così almeno facciamo il training.
Una sola certezza.
Non tutto potrà restare come prima. In questa fase è necessario inventare nuovi dispositivi, nuove drammaturgie. E magari rimodulare il rapporto tra reale e virtuale…

Il link: i progetti di Pandemic Theatre di Emanuele Sinisi su Facebook.

Il recupero dello spazio pubblico

Salire in scena non basta. Bisogna convincere gli spettatori a sedersi in platea.
Non tutti saranno disposti a farlo. Almeno non subito. Diversi sondaggi confermano che oggi una quota significativa di spettatori avrebbe forti resistenze a rientrare in una sala teatrale o in un cinema.

Per convincere gli spettatori a tornare a teatro, lasciando la placida anestesia dello streaming, serviranno motivazioni davvero forti. Servirà un teatro necessario.
Una delle conseguenze più inquietanti – e meno discusse – del lockdown è stata l’azzeramento dello spazio pubblico. Asserragliati nelle nostre “case-mondo”, ipnotizzati dagli schermi, abbiamo dimenticato il corpo.

“Se il teatro si fa a teatro, la lezione in classe, il cinema in sala non è un capriccio o un incidente della storia, quei luoghi nascono da una tradizione e sono allestiti per produrre determinate condizioni. Il buio assoluto in sala, il suono avvolgente, lo schermo gigante che ti sovrasta servono al cinema a riportarci ad una condizione onirica e fetale, che è il presupposto per staccarci dal presente e immergerci in una storia, se quel film lo guardi sul telefonino cambia tutto.
Ora è vero che Netflix aveva già privatizzato il cinema facendone consumo domestico e individuale, o certe lezioni in classe somigliavano già a monologhi senza particolari interazioni con i presenti, ma l’idea che la cultura possa diventare l’ennesima consegna a domicilio o, peggio, sia lo svago e la distrazione per allentare le preoccupazioni del presente lascia perplessi, sa di tradimento della cultura come relazione fra le persone, di abdicazione della sua funzione critica sul mondo.”
(Stefano Laffi, Il teorema della ‘casa-mondo’ dimostra che la quarantena non è uguale per tutti, in che-fare.com, 23 aprile 2020)

Per questo la chiusura degli spazi culturali (i teatri, ma anche librerie, le biblioteche, i festival) è un danno gravissimo, dal punto di vista sia culturale sia politico.

Perché riaprono le chiese? E i teatri no?

Secondo i dati ISTAT, il 25% circa degli italiani non entra in una chiesa nemmeno una volta all’anno. A messa ogni settimana ormai ci va solo un italiano su quattro. A rispettare il precetto sono soprattutto gli anziani, ovvero la fascia a maggior rischio Covid-19.
Sulla base degli stessi dati, solo il 20 per cento degli italiani va a teatro almeno una volta all’anno. Per quattro italiani su cinque la riapertura dei teatri non è una faccenda di grande interesse. Lo stesso dicasi per i concerti, per l’opera, per i musei: coinvolgono solo una minoranza.
Secondo Io sono cultura 2019 (il rapporto di Symbola e Unioncamere), il sistema produttivo culturale e creativo italiano (composto dal patrimonio storico-artistico, le arti performative e le industrie creative e culturali, che a loro volta includono editoria e stampa, musica, cinema, radio, tv, comunicazione, software e videogiochi, architettura e design, ecc.) vale in Italia 95,8 miliardi di euro (6,1% del PIL). Si aggiunge un indotto di 169,6 miliardi di euro, arrivando a un totale di 265,4 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto dall’intera filiera, pari al 16,9% di PIL (+2,9% dal 2017).
Forse per comunicare con efficacia sarebbe opportuna una maggiore consapevolezza del proprio peso sociale ed economico, non solo sulla base dell’autostima degli artisti, ma sull’effettivo impatto della cultura in un paese che la considera da sempre una pratica marginale, un simpatico passatempo con il quale naturalmente “non si mangia”.
Una gran parte dei lavoratori del settore culturale già prima del lockdown sopravviveva in una situazione di cronica precarietà, poco sopra (e spesso sotto) il livello di povertà.
Inutile ripetere che la situazione dei lavoratori dello spettacolo e della cultura è drammatica. Inutile ripetere che servono adeguate misure di sostegno. E al più presto.
Ma bisogna anche che gli italiani siano consapevoli che la cultura e lo spettacolo sono settori strategici.

Il link: La petizione di Attrici Attori Uniti.

Il settore si è mobilitato. Fin troppo

Nel mondo del teatro la buona volontà non è mancata.
Da un lato, molti artisti hanno cercato di mantenere vivo il rapporto con il loro pubblico, e magari di soddisfare quel pizzico di narcisismo che da sempre sorregge chi deve salire in scena. Ecco le mille forme di presenza in rete, con eventi live o ripescaggi dall’archivio, (quasi) tutte gratuite sia per chi le fa sia per chi le consuma. Nel frattempo ci scandalizziamo tutti quando un assessore chiede o pretende prestazioni gratuite “a beneficio della cittadinanza”.
D’altro canto continuano a moltiplicarsi petizioni, lettere aperte, proposte, decaloghi… La nostra amica Perfida ha censito più di 80 appelli per la cultura e lo spettacolo, rivolti al Presidente del Consiglio, al Governo, al Ministro della Cultura… Ciascun proclama è animato dalle migliori intenzioni ed è di sicuro assai ragionevole e le richieste legittime. Tuttavia nel loro insieme, sono irricevibili, un fastidioso rumore di fondo che non merita nemmeno una domanda nelle conferenze stampa del premier.

Un universo frammentato e rissoso

Al mondo della cultura afferiscono settori diversi, ciascuno con storie, modelli di sostenibilità ed esigenze diverse. Ma soprattutto ciascuno di questi settori è frammentato e rissoso: “Se va bene a te, allora a me non va bene”.
I cultori dello streaming contro i sacerdoti del “qui e ora”. Chi pensa di poter usare le nuove tecnologie e chi le considera l’anticamera dell’inferno post-moderno (qualunque cosa possa significare).
Chi è disposto ad aprire “costi quel che costi” e dunque rispettando il distanziamento sociale (una poltrona ogni quattro? O ogni sei?) Chi spiega che con 30 spettatori, su 100 posti “Non c’è la sostenibilità”. Chi è disposto a fare “due repliche al giorno con lo stesso cachet” e chi lo ritiene umiliante. Su “La Lettura” Luca Barbareschi lancia l’anatema “Basta con i teatrini” e buona parte del teatro italiano s’indigna.

Francia o Spagna…

Molti lavoratori dello spettacolo italiani hanno invocato il regime dell’intermittenza francese, che viene considerato il paradiso per attori, danzatori e musicisti. Insomma, meraviglioso e irraggiungibile. Appare improbabile che le garanzie che non siamo riusciti a conquistare in questi decenni ci vengano concesse in un momento così difficile.
Là dove queste garanzie non sono così avanzate, per esempio in Spagna, le organizzazioni che si occupano di spettacolo e di musica hanno fatto una scelta molto semplice: si sono messi tutti intorno a un tavolo e hanno stilato un documento unitario, con 52 richieste condivise. Non la spunteranno su tutte e 52, ma almeno si capisce di che cosa stanno parlando.

Il documento della Mesa de Artes Escénicas y la Música Covid-19.

Che succede all’estero: Il mondo e la cultura di fronte al COVID-19 (da economiadellacultura.it).

La realtà economica delle imprese culturali

Poi ci sono i problemi economici e finanziari. Come sostenere le imprese, quando la loro attività è sospesa e devono ugualmente sostenere i costi di struttura? Se non si pagano affitti, utenze, lavoratori, l’unica certezza è il fallimento.
Uno dei principali provvedimenti per arginare la crisi economica sono i prestiti alle imprese, a lungo termine e con interessi quasi zero. Pian piano, nel corso degli anni, alle imprese toccherà ripagare il debito.
Per il settore della cultura, questa strada non è praticabile. E’ molto improbabile che le “imprese culturali” riescano a restituire il prestito. Lo ha spiegato anche il severo Carlo Cottarelli:

“Ci vuole un sostegno più forte di quello dato alle imprese. Le imprese, al momento della riapertura, possono rimettersi in moto e cercare di recuperare il terreno perso. Le istituzioni culturali non funzionano allo stesso modo e non possono essere destinatarie dello stesso tipo di aiuti. Il costo è ancora più elevato e servirebbe un sussidio per sostenerle.”
(Carlo Cottarelli, in Giulia Ronchi, Per i musei e la cultura serve un sussidio. Parla Carlo Cottarelli in diretta con Triennale Milano, artribune.com, 22 aprile 2020).

Un nuovo sistema teatrale

Immaginare che tutto torni come prima non è soltanto illusorio. E’ reazionario.
Le nostre comfort zone sono state spazzate via, e ancora facciamo fatica a comprenderne le conseguenze.
In queste settimane ci è difficile immaginare un diverso modello teatrale. La nostalgia del passato ci offusca la visione. L’inerzia del sistema ipoteca le scelte politiche.
Tuttavia la geografia che si disegnerà nei prossimi mesi sarà diversa dall’attuale. Molte realtà, molti spazi, molti progetti sono destinati a chiudere. Perché non avranno più la sostenibilità economica, ma soprattutto perché non se ne avvertirà più la necessità. Ma nasceranno altri desideri e si inventeranno gli spazi per accoglierli e condividerli. Non saranno invenzioni teoriche, ma prenderanno forma dall’esperienza.
Proprio per questo è necessario ricominciare a fare. A sperimentare. Dunque a sbagliare. Insomma, a trovare la strada giusta.

Una nuova progettualità

Per il settore della cultura non possono bastare né il sostegno per l’emergenza (indispensabile nel breve periodo) né il prestito bancario.
Servono anche nuove idee.
Forse la strada potrebbe essere quella seguita dal New Deal, quando Roosevelt lanciò un ambizioso programma di sostegno agli artisti e le organizzazioni culturali: “Si costituisca un fondo specifico di sostentamento per gli artisti e le organizzazioni culturali, a chiunque ne faccia richiesta, senza limiti di reddito pregresso, a condizione che i beneficiari si prestino per la collettività”.
Una linea di ricerca dovrebbe interessare nuove modalità di scrittura e nuove forme drammaturgiche, che rispondano alle situazioni che stiamo vivendo e che vivremo.
Alle tradizionali progettualità dello spettacolo potranno affiancarsi processi di welfare generativo: prendi dalla collettività in cambio della tua responsabilizzazione, con forme di produzione culturale e di welfare-riattivazione sociale necessarie nelle prossime fasi (vedi Fabio Severino, Sostenere la cultura con un welfare generativo, in artribune.com).
Più in generale, si tratta di innescare e sostenere progettualità, che tengano contro dei nuovi bisogni e delle nuove modalità comunicative che stanno affiorando e che emergeranno con forza ancora maggiore nel prossimo futuro.

Il link: Spettacolo e coronavirus su ateatro (con gli interventi di Perfida de Perfidis)

Il link: Pratiche di spettacolo nella Fase 2

 

 

 

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