Lettera aperta sulla mia Manifestazione di interesse alla nomina a componente della Commissione Consultiva per il Teatro
Con alcuni appunti sul nuovo Decreto Ministeriale 2018-2020
Quando nel maggio 2014 ho deciso di inviare la mia “Manifestazione di interesse alla nomina a componente della Commissione Consultiva Prosa”, ho scritto una lettera aperta in cui spiegavo le ragioni e gli obiettivi della mia candidatura, ma anche i miei dubbi. La trovate qui https://www.ateatro.it/webzine/2014/05/22/perche-non-dovrei-farlo-perche-lo-faccio-una-lettera-aperta-al-direttore-generale-dello-spettacolo/.
Esponevo la ragioni per cui NON avrei dovuto candidarmi a questo incarico:
“Non mi pare corretto chiedere di svolgerlo a titolo gratuito, e forse è poco dignitoso accettarlo a queste condizioni. A meno che lo Stato italiano non ritenga che la distribuzione delle risorse allo spettacolo sia una sorta di hobby per ricchi sfaccendati (e purtroppo non mi trovo in questa situazione).
Inoltre, manca una chiara indicazione delle risorse a disposizione del FUS per attuare il Decreto. E’ stata predisposta una griglia di valutazione minuziosa e bizantina, che rischia di ridurre i commissari a burocrati, senza un’autentica possibilità di intercettare e sostenere il nuovo. C’è il rischio che i commissari si trovino ad avvallare con le loro scelte una riforma certamente necessaria ma che può avere un effetto devastante sul nostro sistema.”
Nonostante questo, avevo deciso di presentare ugualmente la candidatura, per vari ordini di motivi:
“In primo luogo, la sostanziale condivisione dei principi che ispirano il decreto e la riforma: mi pare utile che qualcuno vigili affinché vengano effettivamente applicati, attraverso il dispositivo del decreto ministeriale. Ritengo inoltre utile contribuire a praticare il principio di trasparenza citato nel decreto, e applicato in questi mesi nella sua elaborazione. (…) Ritengo che la mia candidatura alla Commissione Consultiva per il Teatro si inserisca con continuità nel percorso intrapreso in questi anni a favore della conoscenza e del rinnovamento del teatro italiano [con] l’ormai decennale esperienza delle Buone Pratiche del Teatro (da me curata con Mimma Gallina) [e con] l’elenco degli spettacoli della stagione, che l’Associazione Ubu per Franco Quadri e l’Associazione Culturale Ateatro (…) compilano e mettono a disposizione del teatro e della cultura italiani, in ideale continuità con il Patalogo, l’annuario del teatro ideato e curato da Franco Quadri.”
Con i colleghi (e amici) della Commissione (Lucio Argano, Massimo Cecconi, Ilaria Fabbri, Roberta Ferraresi) abbiamo offerto all’Amministrazione la nostra consulenza per quattro annate, l’ultima del “vecchio regime” (anno 2014) e il triennio di applicazione del Decreto 1° luglio 2014 (anni 2015-2017). Di fronte alla possibilità di candidarmi per un secondo triennio, mi pare giusto condividere il mio personale bilancio di questa esperienza, sulla base del principio di trasparenza sul quale basavo la mia candidatura.
Certamente si tratta di un impegno gravoso, che richiede tempo e fatica: i soggetti finanziati dal FUS sono oltre 300 (e poi ci sono tutti quelli che non sono stati ammessi, le cui domande sono state ovviamente valutate con attenzione). In questi quattro anni ho inoltre cercato per quanto mi è stato possibile di fare molte “verifiche sul campo”, per vedere spettacoli o verificare il lavoro svolto dai teatri o dai festival. Per questo impegno non è previsto alcun compenso né un rimborso spese: del resto il compito della Commissione Consultiva è valutare i progetti, non i risultati. Questo è uno dei nodi problematici del Decreto, che tendeva a lavorare più a preventivo che a consuntivo, una impostazione almeno parzialmente corretta per il prossimo triennio.
In questi anni, non sono mancati episodi sgradevoli. Sono stato falsamente accusato, tra l’altro, di aver ricevuto incarichi da teatri finanziati (falso: non ho alcun incarico da alcun teatro, le offerte di collaborazione che ho ricevuto – pochissime, anche per incarichi one shot – le ho declinate), di essere “intimo amico” di alcune signore legate a soggetti finanziati, di aver malamente influenzato la Commissione “perché mi piace Antonio Latella” (la cui compagnia non ha nemmeno fatto domanda per il FUS) o in alternativa “perché mi piace Romeo Castellucci” (il teatrante italiano più noto nel mondo). In alcuni ricorsi al TAR, i Commissari sono stati implicitamente accusati di falso in atto pubblico (o peggio). I nostri nomi (e magari le foto) sono finiti sui giornali, rei di aver affossato questo o quel teatro, perché non era stato incluso nell’articolo richiesto. Un capocomico ha interrotto una replica del suo spettacolo, chiedendo al pubblico se riteneva giusto che la sua meravigliosa e divertentissima compagnia fosse stata esclusa dal FUS per causa mia (raffica di fischi al sottoscritto e ovazioni alla povera vittima). Molti artisti accusano i Commissari di essere i macellai del teatro italiano, perché hanno legittimato una riforma che giudicano sbagliata (spesso senza capire come funziona, anche nei suoi meccanismi di base).
Posso anche aggiungere che, nel mare delle decisioni che deve prendere la Commissione, sono state certamente fatte alcune scelte sbagliate: ma questo è purtroppo inevitabile, e non possiamo far altro che cercare di far tesoro anche degli errori. Al bilancio personale, posso aggiungere che questo viaggio nel retropalco dello spettacolo dal vivo, in tutte le sue sfaccettature (collettive, associative, individuali), ma anche nei meccanismi amministrativi e giudiziari (visti la gragnola di ricorsi al TAR contro il Decreto e la sua applicazione), mi ha fatto scoprire molte verità sul nostro sistema teatrale e sul nostro paese: alcune davvero piacevoli, perché ho scoperto l’energia di tante realtà e iniziative in tutte le Regioni, e pure altre che forse avrei preferito ignorare.
Ma non è questo l’importante. La gratuità dell’incarico, gli episodi sgradevoli, gli eventuali errori sono certamente aspetti significativi, ma non è su questa base che devo valutare il lavoro di questi anni. Tutto questo è irrilevante, se l’impegno della Commissione (e il mio) si rivelano utili allo sviluppo del teatro italiano. Se devo tracciare un bilancio, non posso farlo sulla base di circostanze marginali e folcloristiche, o del mio personale tornaconto. Devo invece prendere in considerazione gli obiettivi che mi ero dato, e i risultati ottenuti.
Un primo aspetto riguarda la trasparenza. Credo che siano stati fatti reali progressi. La pubblicazione dei verbali delle riunioni della Commissione, la possibilità di verificare in dettaglio i punteggi e i contributi, rendono l’intera procedura più chiara e trasparente. Un’altra tappa significativa è stata la diffusione con dibattito sui documenti redatti delle Commissioni Consultive al termine del primo anno, che hanno dato conto del lavoro svolto ed evidenziato pregi e difetti del nuovo meccanismo; da questo esame – crediamo – sono emerse indicazioni utili per migliorare il Decreto.
In parallelo, posso mettere sul piatto l’impegno personale di Mimma Gallina e mio nel valutare gli effetti delle nuove norme. Un altro lavoro gratuito, che non avrebbe dovuto cadere sulle spalle di una fragile associazione no profit come Ateatro, ma su organismi più qualificati (e finanziati): il Ministero stesso, l’Osservatorio dello Spettacolo, le associazioni di categoria, le università… Il risultato del lavoro di Ateatro è stato il volume Oltre il Decreto (FrancoAngeli, 2016), frutto di un anno di incontri, dibattiti e analisi in tutta Italia, con centinaia di partecipanti nelle tappe di Milano, Vicenza, Siena, Castrovillari… Alcuni risultati sono assai indicativi: basti pensare alle conseguenze dei nuovi parametri sulla (sotto)occupazione degli attori. Non sta a me giudicare quanto le indicazioni emerse da quel pubblico dibattito siano state recepite nelle modifiche del Decreto. E’ però evidente che oggi nessuno si sta impegnando a continuare sistematicamente il lavoro di monitoraggio e il dibattito che avevamo iniziato.
Un altro aspetto cruciale riguarda l’ottica in cui si muovono il Ministero e il mondo del teatro. In teoria i dati raccolti (una mole impressionante di informazioni, che riguardano sia l’attività sia i bilanci dei soggetti ammessi al FUS) consentirebbero di affrontare i problemi del teatro in un’ottica di sistema. E’ evidente che l’Italia soffre di forti squilibri territoriali, anche nel teatro: tra Nord e Sud, tra metropoli e provincia, tra centri urbani e periferie. Su alcune di esse era intervenuto il progetto Aree Disagiate dell’ETI, con qualche risultato di rilievo. I bilanci di alcuni soggetti sono poco equilibrati in questa o in quella direzione: alti costi di struttura (e delle direzioni) con basso “margine artistico” (ovvero investimento nella produzione), oppure insufficiente impegno nella promozione e nell’ampliamento del pubblico. Un’analisi comparativa dei progetti, dei dati quantitativi e dei bilanci consentirebbe anche di individuare ed evidenziare alcune Buone Pratiche, da promuovere e diffondere.
La sensazione è però che questa prospettiva di sistema, che costituisce il presupposto di una efficace politica culturale, non venga presa in considerazione. Non fa parte dell’orizzonte dei singoli soggetti (impegnati nella lotta per la sopravvivenza). Ma non rientra nemmeno nella prospettiva di organismi che dovrebbero avere una visione di carattere generale, strategica e orientata sul medio e lungo periodo. Il teatro italiano continua a preferire il rapporto diretto con l’amministrazione (magari con qualche “aiutino” politico): vedi il caso Eliseo o le recenti assegnazioni per i progetti del Ministro (https://www.ateatro.it/webzine/2017/10/23/progetti-speciali-la-certezza-della-discrezionalita/).
L’ultimo nodo di questa sintetica carrellata riguarda gli obiettivi del finanziamento pubblico allo spettacolo. Difendere e se possibile rilanciare la funzione pubblica del teatro, modernamente intesa, era e resta una priorità. E’ così evidente che mi era sembrato inutile esplicitare questo aspetto all’atto della mia candidatura: la Commissione per il Teatro ha il compito di valutare la “qualità” dei progetti (mentre i dati numerici che servono a elaborare i punteggi di Quantità e Qualità indicizzata vengono forniti dagli stessi soggetti interessati).
Già al momento della pubblicazione del Decreto, è subito emerso che il peso della Qualità era molto minore rispetto ai dati puramente quantitativi (Quantità e Qualità indicizzata): 30 punti contro 70, sui 100 disponibili. In altri termini, il “mercato” aveva molto più peso della “funzione pubblica” (del resto la scomparsa dell’espressione “teatro pubblico” dal Decreto era subito stata evidenziata). Quando nel 2016-2017 si è discusso delle possibili modifiche al Decreto, Platea (che raccoglie Teatri Nazionali e TRIC, ovvero l’ossatura del teatro pubblico) si era spaccata quasi a metà sull’opzione di aumentare la quota di “Punti Qualità”. Successivamente Federvivo (che raccoglie le associazioni che rappresentano le varie attività dello spettacolo dal vivo come le fondazioni lirico sinfoniche, i teatri nazionali, i teatri di rilevante interesse culturale a iniziativa pubblica e privata, le istituzioni concertistiche orchestrali, gli esercizi teatrali, i circuiti multidisciplinari, i festival, le società concertistiche, le compagnie teatrali private, le compagnie e i teatri di innovazione, le imprese di produzione, distribuzione, promozione e formazione della danza; sono affiliate anche le bande musicali) ha chiesto di non aumentare i 30 punti destinati alla Qualità. La posizione di Federvivo è stata implicitamente ribadita nelle proposte avanzate al Senato per il nuovo Codice dello Spettacolo:
“Se è fuori discussione la centralità della qualità progettuale, essa dovrà coniugarsi con un’adeguata capacità produttiva e/o distributiva e/o di promozione, una solida efficienza gestionale, un sano equilibrio economicopatrimoniale, una significativa ricaduta occupazionale, un’ampia partecipazione e accessibilità del pubblico.”
https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/001/905/FEDERVIVO_e_AGIS.pdf
Nel Decreto 2018-2020 i “Punti Qualità” sono saliti a 35, anche su richiesta delle Regioni.
Tuttavia la richiesta di continuare a privilegiare la quantità, avanzata da una parte significativa degli aderenti a Platea e da Federvivo, ha fortissime conseguenze di politica culturale. Mettersi in questa logica significa di fatto chiudere definitivamente la stagione del “teatro d’arte per tutti” e rischia di fare dello spettacolo dal vivo uno strumento di pura e semplice creazione di consenso, attraverso sottoprodotti che arrivano dalla televisione o dalla rete, e che accumulano i Punti Quantità. Significa ridurre ulteriormente il rischio culturale e considerare il FUS una stampella per un settore in perenne difficoltà economica. Significa mettersi in una posizione subalterna e rinunciare a una autonoma progettualità.
Riproporre la mia candidatura, alla Commissione Consultiva significa ribadire il mio impegno in queste direzioni: maggiore trasparenza e informazione sui processi decisionali, e dunque possibilità di controllo da parte dei cittadini, visione di sistema (con qualche elemento di cultura aziendale), difesa della funzione pubblica della cultura, a partire dal teatro e dallo spettacolo dal vivo in generale. La trasparenza, una chiara informazione e la discussione pubblica restano per me le condizioni per una positiva evoluzione del sistema teatrale. Quello che confluisce nel FUS è denaro pubblico, che arriva dalle tasche contribuenti, per riprendere una frase fatta. Sul fronte della trasparenza è molto facile fare retromarcia per richiudere la discussione all’interno dei corridoi del Palazzo. I fragili passi in avanti fatti in questi anni devono essere difesi. Sul fronte delle risorse, il FUS è nominalmente più ricco, ma è stato gravato di nuovi compiti: anche su questo fronte sarà opportuna una informazione chiara e trasparente.
In questi anni ho cercato di spiegare, a chi me lo chiedeva, il funzionamento del Decreto (a cominciare dal famigerato algoritmo), le logiche che hanno via via ispirato le decisioni della Commissione, le condizioni in cui sono state prese (non le singole scelte, che sono esplicitate nei punteggi e che tutti possono discutere e giudicare), e le prevedibili conseguenze delle nuove norme. Se avrò l’opportunità di far parte della nuova Commissione per il Teatro, continuerò a operare con la stessa metodologia, nella speranza di essere utile a chi vive e lavora nel “Paese di Teatro”.
Milano, 24 novembre 2017
Tag: FUS aka FNSV (140), MiBACT aka MiC (8)
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