#FUS | Ancora sul Decreto 1° luglio 2014: nuove modifiche in arrivo
Verso il Codice dello Spettacolo... forse
Per cominciare, una notizia: poco prima di Natale la conferenza unificata Stato-Regioni ha approvato le modifiche del DM 1° luglio 2014 proposte dal MiBACT limitatamente all’art. 1 (tempi e modi delle anticipazioni e poco altro), mentre l’art. 2, che avrebbe dovuto proiettare il Decreto nel triennio successivo, è stato integralmente stralciato.
Le modifiche riguardano dunque solo il 2017. Per gestire il triennio 2018-2020 sarà necessaria la nuova legge, ovvero il Codice dello Spettacolo, con i relativi regolamenti attuativi. Oppure, in alternativa, un nuovo Decreto Ministeriale.
Ma andiamo con ordine. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 2016, sono arrivati la sentenza del Consiglio di Stato, che di fatto legittima il DM 1° luglio 2014, messo in discussione dai ricorsi e dalla sentenza del TAR del Lazio; e il risultato del referendum del 4 dicembre, che ha riportato all’indietro i rapporti Stato-Regioni.
Il nuovo Decreto Ministeriale
Le modifiche previste dal nuovo Decreto Ministeriale, in corso di pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale”, si sommano a quelle già in vigore, come il massimale del 7% dell’aumento del contributo FUS da un anno al successivo. Ecco il copiancolla con le modifiche.
Nuova formulazione | . | Vecchia formulazione (DM 1° luglio 2014) | . | Commento |
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Art. 1) 1. All’articolo 6 del decreto ministeriale 1° luglio 2014 sono apportate le seguenti modifiche a) al comma 1, primo periodo: dopo la parola: “interessato”, le parole: “a seguito dell’assegnazione del contributo finanziario annuale”, sono soppresse; dopo la parola: “anticipazione”, le parole: “nella misura”, sono sostituite dalle seguenti: “fino ad un massimo”; dopo le parole dell’“ottanta per cento”, le parole “del contributo medesimo”, sono sostituite dalle seguenti: “dell’ultimo contributo ottenuto”; dopo le parole “sostegno finanziario”, le parole: “antecedente la predetta assegnazione” sono soppresse; dopo le parole: “sostegno finanziario” è aggiunto il seguente periodo: “I destinatari dell’anticipazione di cui al presente comma non possono riceverne ulteriori per il medesimo anno di progetto.” Il secondo e il terzo periodo sono soppressi; |
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1. Su domanda dell’interessato, a seguito dell’assegnazione del contributo finanziario annuale, l’Amministrazione può erogare una anticipazione nella misura dell’ottanta per cento del contributo medesimo, a condizione che sia stata presentata e regolarizzata, ai sensi del comma 3 del presente articolo, la documentazione relativa all’ultimo sostegno finanziario antecedente la predetta assegnazione. Per le prime istanze, come definite nell’articolo 3, comma 7, del presente decreto, la misura massima dell’anticipazione concedibile per il primo anno è pari al cinquanta per cento, e la stessa potrà essere erogata solo dietro presentazione di idonea fidejussione. Per la seconda e la terza annualità, la misura massima dell’anticipazione di cui al periodo precedente è pari al sessanta per cento, sempre che sia stata presentata e regolarizzata la documentazione relativa agli anni precedenti. |
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b) il comma 2 è abrogato; | . | 2. Su domanda dell’interessato, solo per la prima annualità del triennio, l’Amministrazione può erogare, per i soggetti che abbiano ottenuto l’intervento statale da almeno tre anni e che abbiano regolarmente documentato l’attività ai sensi del comma 1, del presente articolo, una anticipazione sui contributi ancora da assegnare fino ad un massimo del sessanta per cento dell’ultimo contributo ottenuto. I destinatari dell’anticipazione di cui al presente comma non possono riceverne ulteriori per il primo anno di progetto. | . | Nella prima stesura del decreto era il 60%, quindi la norma sembra migliorativa, ma è rilevante anche quel “fino a un massimo del …”: il realismo si scontra con la certezza del dritto. |
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c) al comma 3 è abrogata la lettera d) | . | d) una autodichiarazione, ai sensi dell’articolo 47 del citato decreto n. 445 del 2000, attestante l’avvenuto pagamento dei costi di progetto ammissibili come definiti dall’articolo 1, comma 4, del presente decreto; | . | Questo temiamo lo abbiano chiesto le categorie, ma è un boomerang: l’unico piccolo vincolo imposto nella direzione della cosiddetta buona gestione (che fra altro fa parametro) è soppresso. |
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d) al comma 4, lett. b) dopo le parole “comma 3”, le parole: “lettere a) e d)” sono sostituite dalle seguenti: “lettera a)”; dopo le parole: “non oltre”, le parole: “31 maggio” sono sostituite dalle parole: “30 aprile”. | . | 4. Il soggetto interessato deve inviare all’Amministrazione, a pena delle conseguenze previste nell’articolo 8 del presente decreto: a) entro e non oltre il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di effettuazione dell’attività, la documentazione di cui al comma 3, lettere b) e c), del presente articolo; b) entro e non oltre il 31 marzo dell’anno successivo a quello di effettuazione dell’attività, la documentazione di cui al comma 3, lettere a) e d) del presente articolo; nel caso in cui il soggetto medesimo sia tenuto alla redazione di un bilancio ai sensi dell’articolo 2423 del codice civile, tale documentazione deve essere inviata entro e non oltre il 31 maggio; | . | Che il contributo non possa “eccedere il pareggio di bilancio” è una contraddizione – o un’ipocrisia – che prima o poi bisognerà affrontare. |
Ottimisti, ma con due incognite
A questo punto, sembrano tutti ottimisti: Ministro e Ministero, parlamentari, uffici legislativi e AGIS sono convinti che il Parlamento potrà approvare in tempi brevi il Codice dello Spettacolo dal Vivo, ovvero la legge sul teatro attesa da decenni, sulla scia di quello che è accaduto lo scorso anno per il cinema.
La precisazione delle funzioni e l’equilibrio fra Stato e Regioni non è però una questione semplice. Si sono stratificate, nel corso di dodici anni, applicazioni contorte delle cosiddette materie concorrenti, che la vittoria del NO al referendum ha confermato. Inoltre la memoria storica impedisce di essere troppo fiduciosi: negli ultimi quarant’anni i progetti legge – che fossero di ispirazione governativa o parlamentare – arrivati in dirittura d’arrivo o quasi, ma poi cancellati dal cambio di legislatura, sono una dozzina. Ai quali vanno aggiunti decine di progetti di contorno, elaborati dai partiti o da singoli parlamentari, per buona volontà, ottimismo, protagonismo o semplicemente come contributo alla discussione. Molte proposte hanno suscitato discussioni appassionate. E qualche progetto, a rileggerlo oggi, avrebbe potuto diventare una buona legge.
La buona volontà è condizione non sufficiente ma necessaria. La relatrice, Senatrice Rosa Di Giorgi, e la Commissione VII del Senato, prevedono una bozza aperta alla discussione entro gennaio. La speranza non deve però escludere realismo. Il Codice dello Spettacolo, una volta approvato dal Parlamento, richiederà norme attuative, che andranno approvate dalla Conferenza Unificata, e non potrà avere carattere “regolamentare” (che compete alle Regioni), a meno che anche questa volta non si ritenga sufficiente dichiarare che un elenco di regole “non è un regolamento”. (1) Ma forse qualche Regione vorrà contare di più, e chissà quali saranno gli equilibri politici fra qualche mese.
Insomma, è vero che puntiamo su un promettente piano A: un buon Codice – ovvero principi, finalità, funzioni, strumenti, risorse – e un confronto allargato sul tema. Ma forse è utile predisporre – parallelamente – un piano B da tenere nel cassetto: un insieme di criteri per migliorare le regole del gioco esistenti indirizzandole VERSO quelle nuove.
Ma di che parlava il defunto art. 2?
Per entrambi i piani, la discussione sul Decreto 1° luglio 2014 e i suoi effetti costituisce un patrimonio di idee e pratiche imprescindibile. Alla materia ateatro.it ha dedicato tempo ed energie: gli appuntamenti delle Buone Pratiche, decine di contributi su ateatro.it, l’indagine “L’impatto del decreto sull’area della stabilità”, il libro Oltre il decreto che documenta e offre al dibattito tutto questo percorso.
Ripensando alla ricchezza di considerazioni emerse, l’articolo della bozza delle “Modifiche al nuovo Decreto” soppresso (o stralciato: l’art. 2 di cui si parlava all’inizio) dalla Conferenza Stato-Regioni lasciava sconcertati: si rischiava di proiettare il vecchio Decreto nel triennio successivo unicamente rafforzando le competenze del Direttore Generale (assegnandogli esplicitamente l’attribuzione delle risorse fra i cluster), allargando il numero dei cluster per settore a 5, modificando gli obblighi dei Teatri Nazionali rispetto alla formazione (“I Teatri Nazionali sostengono la formazione ed il perfezionamento artistico anche attraverso specifiche e mirate convenzioni con le istituzioni di alta formazione artistica destinate a favorire il ricambio generazionale della scena” sembrerebbe una norma “ad theatrum” per il Teatro di Roma; in ogni caso meglio tardi che mai, forse la dimensione pedagogica potrà rientrare in qualche modo più pertinente-trasparente).
Probabilmente, auspicabilmente, lo stesso Ministero si era limitato a queste correzioni in attesa del Codice dello Spettacolo, per ottimismo o per non sovrapporsi.
Verso il Codice dello Spettacolo: che cosa abbiamo imparato?
Forse vale la pena di sintetizzare le valutazioni e le critiche più largamente condivise emerse nel corso dei primi due anni di attuazione del DM 1° luglio 2014 (approfondimenti e per il nostro punto di vista vedi il capitolo finale di “Oltre il Decreto”).
Gli aspetti del Decreto emersi come di fatto o tendenzialmente positivi sono:
# la triennalità, che però potrebbe essere più radicale – assegnazioni/elasticità nel triennio – ed è meno scontata di quanto sembri: un eventuale “decreto-ponte” andrà studiato molto attentamente per non compromettere un processo che non tutte le aree del sistema gradiscono e/o hanno assimilato;
# la multidisciplinarietà, ma in termini più radicali nella definizione e nell’applicazione, che superi il criterio delle percentuali fra i generi e sia sostenuta da risorse adeguate;
# la maggior trasparenza, anche se non ancora soddisfacente, tanto con riferimento alla ripartizione delle risorse fra comparti e cluster, che all’applicazione dei meccanismi che agli ambiti direttamente gestiti dal Ministero come i progetti speciali e i fondi extra FUS;
# l’attenzione al ricambio generazionale, con gli under 35, ma non solo, con le nuove istanze;
Gli aspetti cui si è riconosciuto un potenziale positivo, ma che alla fine si sono rivelati negativi e richiedono sostanziali correttivi, sono:
# il famoso algoritmo, anzi gli algoritmi: che dipendono dal peso specifico attribuito non solo ai tre livelli di valutazione, ma ai parametri individuati all’interno di ciascun livello e articolo (troppi, confusi e probabilmente non correttamente mirati rispetto agli obiettivi dichiarati) oltre che alla dimensione dei cluster;
# quindi la valutazione comparativa: che ha portato a rimettere in discussione e rilevare non pochi squilibri, ma è stata viziata dalle percentuali attribuite ai tre livelli – qualità (30% ma in pratica con un differenziale massimo del 20%), quantità (40%) e qualità indicizzata (30%); una partizione unanimemente criticata, in linea di massima, e con particolare vigore in alcuni settori come i circuiti; si è considerata dannosa l’eccessiva enfasi sulla quantità, che corrisponde a una visione dell’ “audience-development” sbilanciata sulla “chiamata”, e disincentiva il lavoro in profondità e sui piccoli spazi; e alla quantità di fatto si è rivelata riconducibile anche la “qualità indicizzata”, che sembrava la grande novità del Decreto;
# una maggiore percentuale alla qualità è stata invocata quasi unanimemente, anche se è stata molto criticata anche la facoltà data alla commissione di escludere dal contributo soggetti anche a fronte di parametri quantitativi adeguati.
Decisamente negativi sono sembrati:
# la mancata definizione delle funzioni soprattutto dei soggetti dell’area della stabilità, a cominciare dai Teatri Nazionali;
# il rialzo dei parametri quantitativi in una fase di crisi, a scopo esplicitamente selettivo, anche se poi molti soggetti, forse per aumentare il punteggio, hanno ampiamente superato i minimi;
# le norme, che in parte sono state corrette dalle modifiche già approvate, che interferiscono sulle libertà artistiche e di impresa: i vincoli alla direzione artistica, le coproduzioni;
# i meccanismi di autocertificazione che, in particolare a fronte dell’assenza di controlli, hanno portato alcuni soggetti a prevedere risultati poco realistici (poi ridotti in misura considerevole, ma ammissibile), a danno del sistema.
Fra gli obiettivi che non sono stati raggiunti, su cui anzi si sono registrati peggioramenti, si segnalano:
# i riequilibri territoriali: il gap Nord/Sud sta aumentando, la differenza fra le politiche delle diverse Regioni anche;
# tempi e modi di assegnazione/erogazione dei contributi e miglioramento gestionale delle imprese: ma i rapporti con le banche sono sempre più complicati, e le modifiche previste per il 2017, anziché intervenire su cause e meccanismi, certificano – e forse accentuano – una sofferenza cronica.
Fra gli effetti più negativi, al di là forse delle buone intenzioni, è emerso il peggioramento delle condizioni con riferimento:
# al lavoro (artistico), dove si è puntato alla quantità (15.000 giornate lavorative per i Nazionali per esempio) e non alla qualità dell’occupazione: la stabilità invocata dovrebbe comportare che almeno un minimo di lavoratori raggiunga il minimo per la pensione – 120 giorni – mentre la media è di sole 47 giornate;
# al rapporto produzione/distribuzione: la maggiore permanenza in sede di Nazionali e TRIC non ha innescato il meccanismo virtuoso che forse il Ministero si aspettava: anche su questo la nostra inchiesta sulla stabilità è eloquente.
Non sono pochi i punti su cui riflettere, ma disponiamo degli elementi per farlo: almeno a questo il DM 1° luglio 2014 sarà servito. Ma non è più giustificabile e ammissibile un provvedimento. che sia il Codice dello Spettacolo, un nuovo Decreto o una norma transitoria – che opti per la continuità o cerchi scorciatoie. E che non cerchi di ragionare in un’ottica di sistema.
NOTA
1. Su questo punto per la verità il MiBACT questa volta si è ben tutelato: le modifiche al Decreto approvate dalle Regioni in premessa precisano “VISTO l’articolo 24, comma 3-sexies, del Decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, che ha stabilito che l’articolo 9, comma 1, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112 si interpreta nel senso che: “il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ivi previsto, di rideterminazione dei criteri per l’erogazione e delle modalità per la liquidazione e l’anticipazione dei contributi allo spettacolo dal vivo finanziati a valere sul Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, ha la stessa natura non regolamentare di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82, e di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 15 novembre 2005, n. 239, nonché nel senso che le regole tecniche di riparto sono basate sull’esame comparativo di appositi programmi di attività pluriennale presentati dagli enti e dagli organismi dello spettacolo e possono definire apposite categorie tipologiche dei soggetti ammessi a presentare domanda, per ciascuno dei settori delle attività di danza, delle attività musicali, delle attività teatrali e delle attività circensi e dello spettacolo viaggiante”.
Tag: audience development (47), FUS aka FNSV (140)
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