Abbiamo troppe cose da dire... L'editoriale di ateatro 99 di Redazione ateatro http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and1 Radio, televisione e teatro in workshop a Milano Con qualche appunto preliminare su teatro e nuove tecnologie di Oliviero Ponte di Pino http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and5 Note sul bando del Premio Riccione TTV – Concorso Italia Una risposta ad Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino di Fabio Bruschi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and8 Tradizioni ed errori al TTV In risposta a Fabio Bruschi di Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and9 Beckett 100: Video Beckett Installazioni, opere video, cortometraggi, animazioni e videoscenografie ispirate a Samuel Beckett di Anna Maria Monteverdi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and20 Beckett 100: un carnevale modernista Beckett tra teatro, video e installazioni di David Saltz http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and22 Beckett 100: Beckett a I-Mode Visions 2006 All'Accademia di Belle Arti di Macerata di Anna Maria Monteverdi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and25 Speciale Torino 2006: la cultura e il teatro rilanciano la città Una intervista a Fiorenzo Alfieri di Mimma Gallina http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and27 Le recensioni di ateatro: Gli uccelli volano sempre alto La rivoluzione tradita da Aristofane a Lombardi-Tiezzi, passando per Brecht e Pasolini di Andrea Balzola http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and41 Ubu incatenato di Roberto Latini in video Un'intervista con Pierpaolo Magnani di Anna Maria Monteverdi http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and44 Piccolo trattato di Sistematurgia A proposito del Disegnatore di Marce.lí Antunez Roca http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and45 Vivere cento vite: il mestiere dell'attrice A proposito di L’attrice del cuore. Storia di Giacinta Pezzana attraverso le lettere di Ufficio stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and80 Uovo performing arts festival 2006 A Milano dal 10 al 18 maggio di Ufficio Stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and81 Pergine Spettacolo Aperto 2006 Dal 15 giugno al 3 agosto di Ufficio Stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and82 Bernhard: teatro e altre rabbie Un incontro a Milano di Teatro i http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and84 Il Festival delle Colline Torinesi Dal 7 giugno al 7 luglio di Ufficio Stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and85 I vincitori del Concorso Italia al TTV Con il verbale della giuria di Rccione TTV http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and86 Primavera dei Teatri 2mila6 Dal 5 al 10 giugno di Ufficio stampa http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and87 Metamorfosi Festival 2006 Alla Città del Teatro di Cascina dal 2 al 12 giugno di La Città del Teatro http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro99.htm#99and89
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Abbiamo troppe cose da dire... L'editoriale di ateatro 99 di Redazione ateatro |
..., forse troppe, ma ci proviamo lo stesso, più brevemente possibile.
La prima cosa che vi dobbiamo dire è che noi di ateatro ci vediamo a Cascina, alla Città del Teatro, tra il 10 e l’11 giugno, nell'ambito del festival Metamorfosi (dove qualcuno di noi si esibisce: andate a curiosare nel programma...).
Vogliamo capire che cosa fare del nostro sito e della webzine: chiudere o rilanciare? inventarsi qualcosa di nuovo o proseguire su una strada che ci sta dando notevoli soddisfazioni? Insomma, che fare una volta doppiata la fatidica boa di ateatrocento?
Nel frattempo mettiamo online questo nuovo ateatro 100-1. Per cominciare, forse vi siete accorti che c’è un nuovo governo (e un nuovo ministro, con nuovi sottosegretari, come hanno tempestivamente segnalato le news di ateatro). Il governo Prodi ha il suo corposo programma, e si porta dietro anche un bel mazzo di promesse elettorali. Tutte cose che sapete benissimo: negli scorsi mesi Mimma Gallina e Anna Chiara Altieri hanno condotto un’ampia ricognizione tra le forze politiche, registrando le posizioni dei diversi partiti sulla cultura (con una serie di interviste esclusive).
Adesso si tratta di passare dalle parole ai fatti, a cominciare dal reintegro del FUS. ateatro continuerà a occuparsi del rapporto tra politica e cultura, e continuerà a svolgere le sue funzioni: laboratorio di idee, stimolo politico, informazione, vigilanza, dibattito.
E tanto per non perdere l’esercizio, per lo Speciale Torino l’assessore Fiorenzo Alfieri racconta in dettaglio il progetto culturale della città (in attesa di altri interventi "torinesi" già annunciati).
Un altro fronte su cui è impegnata la nostra webzine riguarda il rapporto tra teatro e video, e più in generale gli intrecci tra la scena e le nuove tecnologie. In questo numero, prosegue la discussione di Fabio Bruschi con Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino a proposito del TTV. A voi il diritto-dovere di giudicare, ma soprattutto quello di arricchire la discussione con il vostro contributo: o proprio non ve ne frega niente, a voi teatranti, tecnoartisti e videomaker, della discussione?
A qualcuno però gliene frega, di tutte queste faccende. La Rai (sì, proprio la Rai, Direzione Strategie Tecnologiche...) ha organizzato alla Civica Scuola d’Arte Drammatica di Milano una fitta due giorni di incontri sul tema del rapporto tra scena e nuove tecnologie elettroniche, all’insegna dell’Attore digitale. Vi raccontiamo tutto, naturalmente, e vi regaliamo anche una piccola antologia sul tema, partendo dalla nostra fenomenale ateatropedia.
Sempre a proposito degli intrecci tra teatro e nuove tecnologie, in questo scintillante ateatro 100-1 trovate una ricca sezione beckettiana (è il centenario...), con alcuni testi da non perdere. Anna Maria Monteverdi traccia una mappa degli intrecci tekno del vecchio Sam, interessante sia per le esperienze che illustra sia per lo schema generale in cui sono inserite; David Saltz, in esclusiva per ateatro, racconta dieci anni dopo il suo curioso Beckett Space. Sempre nell’ambito di un tnm assai vivace e ricco, Marce.lí Antunez Roca ci spiega cos’è la “sistematurgia”, mentre Roberto Magnani ci parla del suo video sull'Ubu incatenato con esoscheletro e motion capture di Roberto Latini.
Ma non è tutto: Andrea Balzola ha visto Gli uccelli di Tiezzi-Lombardi, e ci sono decine di notizie e anticipazioni.
Nel frattempo continuiamo a chiederci: ha senso andare avanti con ateatro? E come? Se avete qualche suggerimento, scriveteci (e magari passate per Cascina...).
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Radio, televisione e teatro in workshop a Milano Con qualche appunto preliminare su teatro e nuove tecnologie di Oliviero Ponte di Pino |
Attore digitale - Qualità tecnica della parola recitata in Radio e in Tv, workshop promosso dalla Direzione strategie tecnologiche della Rai, Milano, Civica Scuola d’Arte Drammatica, 24-25 maggio 2006
Dove vanno la radio e la televisione? Dove sta andando il teatro? E soprattutto dove stanno andando gli intrecci tra gli uni e l’altro? A queste domande ha provato a rispondere il workshop organizzato da una serie di prestigiose istituzioni (e che si è concluso con un accordo tra Rai ed Eti, sul quale torneremo presto).
Il seminario è stato realizzato con la partecipazione del Centro ricerche e innovazione tecnologica (Crit), e in collaborazione con Radio Rai, Rai Fiction, Rai Trade, Università Cattolica di Milano, Provincia di Milano, Iulm, Scuole Civiche di Milano-Scuola d'Arte drammatica "Paolo Grassi", Eti e anche alcuni docenti universitari; tra gli altri sono intervenuti Carlo Rognoni, consigliere Rai; Luigi Rocchi, direttore Strategie tecnologiche Rai; Agostino Saccà, direttore Rai Fiction; Nicola Cona, amministratore delegato Rai Trade; Francesco De Domenico, direttore radio produzione; Gino Alberico e Marzio Barberio, del Crit. Ma sono intervenuti anche, tra gli altri, Laura Angiulli, Andrea Balzola, Giulio Bosetti, Felice Cappa, Carlo Gabardini, Lucilla Giagnoni, Carlo Gregoretti, Cesare Lievi, Giorgio Simonelli, Gabriele Vacis...
Nel corso della intensa due giorni sono state presentate alcune tecnologie (HD tv, ovvero la televisione ad alta definizione; attori e scenografie virtali; audio multicanale; DVB-H, ovvero la tv che si può vedere sul telefonino) come spunto di discussione con “televisivi”, “radiofonici” e “teatranti”, “professori” e artisti”, “ingegneri” e “creativi”, come stimolo e spunto di dibattito.
Per iniziare una serie discussione, tuttavia, è forse utile fare alcune premesse.
Il primo ostacolo è che nelle discussioni sul tema teatro e nuove tecnologie si rischia spesso di partire da idee del teatro e della televisione (e del videoteatro) vecchie e superate dai fatti. I “puristi” difendono a oltranza l’alterità del teatro, in nome della sua specificità (l’incontro qui e ora di attore e spettatore); nessuno nega la legittimità di un teatro fatto solo di un attore, uno spettatore e una candela; e dal punto di vista teorico, questo postulato è al centro di ogni seria riflessione sul teatro e sui nuovi media. Ma questa non può essere - e in effetti non è - l’unica opzione di teatro praticata e praticabile, che esclude tutte le altre.
Tuttavia i puristi del teatro compiono un errore teorico, perché quello tra il teatro e la tecnologia è un rapporto originario, fondante: nasce infatti con la maschera. E c’è anche un pizzico d’ipocrisia: perché i tecnici delle luci e del suono dei loro spettacoli usano da anni computer assai sofisticati e tecnologicamente assai aggiornati. Certo, ci sono sempre in primo piano il corpo dell’attore e lo sguardo dello spettatore, ma c’è da sempre anche momto altro.
I “realisti” della televisione partono invece dall’inevitabilità dell’esistente (almeno di quello che loro ritengono tale), e oltretutto al grado più infimo: per loro la televisione sono e saranno le sorelle Lecciso, il palinsesto ha le sue necesità e se qualcosa cambia, lo farà solo in peggio (dal punto di vista della qualità del prodotto).
E’ evidente che se un purista e un realista si mettono a pensare al teatro in televisione, non faranno una cosa vecchia: faranno, per dirla da ingegnere, un videoteatro vecchio al quadrato, cioè più che vecchissimo.
Con la loro nobiltà d’animo, sia i “puristi” sia i “realisti” agiscono per il nostro bene.
I primi vogliono evitare che il teatro venga volgarizzato dalla modernità e dal predominio della tecnica(“Ahi! Deggher!!!”), dalla trivialità dei mass media (che peraltro già da tempo inquinano i palcoscenici con esibizioni di vedettes del piccolo schermo) e dallo star system gossiparo (che peraltro funzionava già assai bene per le attrici parigine dell’Ottocento...).
I secondi cercano di prevenire le illusioni degli artisti di teatro (“Ah, le cinque ore dei miei Spettri il sabato sera al posto di Panariello!!! Finalmente la cultura alle masse!”); e preòurosi vogliono anche evitare che i manager televisivi buttino via i soldi degli azionisti in progetti nobilmente culturali ma troopo lontani dalla golosa trivialità del telespettore, che vuole solo tette, culi e battutacce (Auditel imperante, destinati ad affossare l’incasso pubblicitario).
Però prima di far discutere puristi e realisti, sarebbe meglio guardare quello che sta già succedendo.
Sul versante teatrale, sono numerose le compagnie e le realtà che da decenni in Italia e nel mondo contanimano le tecnologie elettroniche, sulla scia di quello che ha fatto Nam June Paik nelle arti visive. Gaia Scienza (le scenografie virtuali di Cuori strappati), Giorgio Barberio Corsetti e Studio Azzurro (Canera astratta), Carrozzone-Magazzini Criminali, Mario Martone, Raffaello Sanzio, Motus (in particolare L’ospite e il Progetto Pasolini), Teatrino Clandestino (Madre assassina), Roberto Latini (Ubu incatenato), Giacomo Verde (Storie mandaliche), Roberto Castello, Roberto Paci Dalò, eccetera eccetera. Tutti teatranti (ma anche danzatori e musicisti) che praticano nel nostro paese un’ibridazione che ha sul piano internazionale numerosi altri alfieri. E in Italia in questo settore abbiamo punte di eccellenza, come dimostrano le partecipazioni a festival e le coproduzioni internazionali.
Sul versante dei nuovi media, la digitalizzazione porta a una convergenza tra le diverse arti (che rilancia in certo modo il sogno wagneriano dell’opera d’arte totale) e alla disseminazione in vari formati e su vari canali. La vecchia televisione generalista non esiste più: o meglio, è solo una delle tante opzioni che potremo attivare sul nostro schermo: un monitor che va dal display del telefonino (o dalle lenti-schermo di certi visori) fino ai mega-schermi degli home theater ad alta definizione. Questo comporta nuove fasce di spettatori, e nuove posibilità di interazione.
Insomma, non esiste un solo teatro e non esiste una sola televisione, con l’autoritaria conseguenza che tutti gli altri tipi di teatro sono sbagliati e che tutti gli altri tipi di televisione sono impossibili “per ragioni di palinsesto”. Di più, bisogna immaginare che esistono mille possibili intrecci tra teatro e televisione, finora in gran parte inesplorati. E bisogna sapere che esistono numerosi artisti (e spettatori) che hanno voglia di esplorarle.
Per capire quali direzioni prendere, bisogna uscire dai nostri schemi mentali.
In primo luogo è necessario riflettere sulla nozione di teatralità, al di là di ogni integralismo. Per esempio, quali sono gli aspetti teatrali(e televisivamente vincenti) di esperienze diversissime come il Vajont di Paolini, il Grande fratello e Camerà Cafè? (un suggerimento: il format che meglio riprende la lezione delle avanguardie teatrali è il Grande fratello).
Parallelamente, va ribadito che i nuovi media hanno avuto un impatto ineludibile sul nostro teatro. Basta ricordare che la definizione “essenziale” del teatro da cui siamo partiti, quella cui si appellano i “puristi”, si è definita solo in opposizione ai nuovi media (cinema e tv). L’impatto sul teatro, prima che nell’uso esplicito di mirabolanti tecnologie, i nuovi media l’hanno avuto sulla percezione e sulla sintassi di artisti e spettatori. Basti pensare agli aspetti cinematografici e ipertestuali negli spettacoli teatrali di Luca Ronconi o di Robert Lepage, e al rapporto c’è tra lo schermo video e la scena di Robert Wilson. O ancora, ai riverberi e alle risonanze tra Beckett romanziere, Beckett drammaturgo e Beckett videoartista.
Un altro punto nodale. La tecnologia non è un problema tecnico o una moda. Non deve servire a stupire gli spettatori e neppure a risparmiare sui costi di allestimento o sui cachet degli artisti (perché sappiamo che oggi una proiezione video costa meno di un fondale dipinto, e per di più si muove). La tecnologia è prima di tutto una questione di linguaggio (dovrebbe essere inutile ripeterlo) e dunque è un problema poetico. Certo, è meglio (soprattutto per gli inserzionisti) avere la possibilità di vedere Un posto al sole in alta definizione (o sul telefonino, in tram, mentre torno dal lavoro), ma non è questo il punto; e il punto non è neppure se su quegli schermi mi vedo Fanny e Alexander di Bergman invece di Vacanze di Natale 2 o la replica Saranno famosi. Il punto è se l’alta definizione o il videofonino mi permettono di vedere e creare qualcosa di diverso non solo dal punto di vista dei contenuti o della distribuzione dei medesimi. Tutta la storia dei media (inutile citare McLuhan), così come quella delle avanguardie artistiche novecentesche, ci dice che questa invenzione poetica e di comunicazione è un processo inevitabile.
Un altro elemento. Fino a qualche anno fa le attrezzature video e audio erano assai complesse e costose: servivano enormi investimenti e tecnici specializzati. Oggi un qualunque squattrinato studente del DAMS ha accesso a macchine e tecnologie assai avanzate e sofisticate, e in quei laboratori trova anche qualcuno che gli insegna a usarle. Con un costo di poche decine di migliaia di euro, qualunque portatile fa tutto quello che fino a pochi anni fa facevano apparecchiature costosissime, che magari si trovavano solo negli studi Rai, Fino a qualche anno fa distribuire un prodotto multimediale era costoso, i canali (tv e cinema) erano pochi e sotto stretto controllo politico. Oggi mettere i propri contenuti online non costa praticamente nulla (come dimostra anche questo sito), con un pubblico potenziale di milioni di spettatori (potenziale, per quanto riguarda questo sito: ma siamo nell’ordine delle migliaia di frequentatori...).
Lo sviluppo sta avvenendo e avverrà a prescindere dai “realisti” e dai “puristi”. Ci sono artisti che capiscono e amano la tecnologia e la usano in termini creativi e poetici. Esistono università (Dams, politecnici, accademie) dove sono attivi laboratori dove si sperimenta la contaminazione tra linguaggi e la convergenza tra le arti multimediali (teatro compreso). C’è un pubblico curioso e attento. C’è la rete che offre enormi possibilità di comunicazione e diffusione.
Insomma, è già in atto una alleanza tra artisti/autori, università e pubblico: da questo incontro stanno nascendo nuovi generi e nuovi format.
Se vorranno, la RAI, o manifestazioni come TTV, o i grandi teatri, potranno collaborare a questo processo. Altrimenti queste istituzioni si ritroveranno a inseguire quello che sta già avvenendo altrove. Si tratta di decidere se è meglio investire adesso in ricerca e sviluppo, o se è meglio aspettare per comprare un format a caro prezzo.
ateatro (in particolare con la sezione tnm a cura di Anna Maria Monteverdi) lavora da sempre per fornire una cornice storica e teorica sugli incroci tra teatro e nuove tecnologie e per informare su quello che sta accadendo nel settore.
Quella che segue è una piccola antologia di testi pubblicati da ateatro e legati dalle tematiche affrontate in questo breve testo.
L’attore digitale
L’attore nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
di Oliviero Ponte di Pino
Il teatro, la maschera e la tecnologia
50.1 I giocattoli di Dioniso
Sul mito dell'invenzione del teatro
di Fernando Mastropasqua
La convergenza multimediale delle arti
78.4 L'opera d'arte totale del XXI secolo
Andrea Balzola – Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali, Garzanti, Milano, 2004
di Erica Magris
70.59 Teatro e tecnologia tra Eco o Narciso
Recensione a Te@atri nella rete di Maia Borrelli e Nicola Savarese
di Anna Maria Monteverdi
64.50 Le avanguardie teatrali e le tecnologie del loro tempo
Testo inedito dell'intervento per il convegno "Il teatro nell'era del digitale", Parigi, 24 ottobrre 2004
di Béatrice Picon-Vallin (traduzione dal francese di Erica Magris)
59.38 Il teatro nell'era digitale
Le Théâtre à l'ère du numérique, Parigi, 24 ottobre 2003
di Anna Maria Monteverdi
52.20 Teatro delle interfacce
Ovvero la tecnica come questione d'arte
di Frank Bauchard
Il videoteatro e la sua storia
98.5 Appunti per una mappatura del videoteatro
Con qualche annotazione sul bando di Concorso Italia 2006 di TTV
di Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino
Il teatro come ipertesto
1.2 Ronconi videogame
Lolita nel teatro delle meraviglie
di Oliviero Ponte di Pino
57.51 L'ipertesto mandalico
Un mail a Oliviero Ponte di Pino
di Andrea Balzola
57.50 Un teatro mandalico
Un mail a Giacomo Verde, Andrea Balzola & Co.
di Oliviero Ponte di Pino
56.15
Storie mandaliche 2.0 di Andrea Balzola e Giacomo Verde a Castiglioncello
Verso una narrazione ipertestuale
di Anna Maria Monteverdi
La teatralità televisiva: da Paolini al Grande fratello
Teatro e televisione
(Paolini, Baliani, Ovadia, Fo su Raidue)
di Oliviero Ponte di Pino
52.31
E se Il grande fratello fosse nostro cugino?
Alcune provocatorie tesi teatro e nuove tecnologie
di Oliviero Ponte di Pino
69.15 La neo-televisione può nascere dal teatro?
Dal catalogo di Riccione TTV 2004 expanded theatre
di Oliviero Ponte di Pino
Beckett tra teatro e tv
99.20 Beckett 100: Video Beckett
Installazioni, opere video, cortometraggi, animazioni e videoscenografie ispirate a Samuel Beckett
di Anna Maria Monteverdi
La sperimentazione televisiva di Carmelo Bene in Rai
38.8
Lo spettro di Craig nell'Amleto televisivo di C.Bene (Rai 1977)
Una analisi delle prime scene
di Fernando Mastropasqua
Tra teatro e video
36.6 Raffaello & altro
Riccione TTV 2002 XVI edizione
di Silvana Vassallo
96.84Studio Azzurro manda Galileo all'inferno
Il debutto del nuovo lavoro a Norimberga
di Studio Azzurro
87.50
Integrazione tecnoespressiva e métissage artistico nel teatro di Robert Lepage
Dal volume a cura di M.M.Gazzano che contiene gli atti del convegno su Cinema e intermedialità
di Anna Maria Monteverdi
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Note sul bando del Premio Riccione TTV – Concorso Italia Una risposta ad Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino di Fabio Bruschi |
Sono sinceramente riconoscente ad Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino per avere dedicato un impegnato contributo all’edizione in corso del nostro festival e in particolare al Concorso Italia. A mia volta vi sottopongo questa nota.
Il bando del TTV è volutamente molto sintetico: si limita a dire che possono partecipare al Concorso i video “riguardanti il teatro e in generale le arti sceniche”.
Il Concorso non si è mai articolato in generi (videoteatro, videodanza, etc) o in categorie (ripresa dello spettacolo dal vivo; videocreazione originale; rielaborazione per il video di un originale scenico; documentario ecc ). In questo il TTV mantiene la tradizione che lo ha caratterizzato fin dal 1985, quando fu ideato da Franco Quadri in forma di rassegna-concorso internazionale a inviti, aperta a tutte le interazioni tra la scena e lo schermo che si organizzassero in sequenze di immagini in movimento.
La parola chiave è qui tradizione, nel suo significato etimologico: nella voluta assenza di una codificazione classificatoria forte, è la tradizione inclusiva del premio che permette di accettare lavori, anche non immediatamente percepibili come “videoteatro”, purché siano nati in un contesto sociale e produttivo legato alla scena e alla pratica teatrale e di questo rechino una traccia, una eco o una vibrazione percepibile.
La pertinenza delle opere chiamate in concorso viene, dunque, riconosciuta in base ad una certa qualità del video afferente al modus teatrale piuttosto che a quello cinematografico o video-installativo.
E’ la ventennale tradizione del festival che permette l’interpretazione del panorama, variegato e frammentato, che ogni edizione presenta: ogni giuria è stata invitata prima di tutto a un colpo d’occhio generale delle opere finaliste e solo successivamente all’individuazione delle aree estetiche e produttive – non preliminarmente definite- in cui ogni singola edizione si articola.
Questa caratteristica del Concorso Italia è stata evidenziata dalla mia comunicazione del 23 dicembre 2005 agli autori, già pubblicata sul sito di www.ateatro.it. In quella occasione scrivevo, tra l’altro, che molto spesso la pertinenza “teatrale” di un video o di una installazione deriva dalla biografia teatrale dell’artista o degli artisti che hanno prodotto quell’opera piuttosto che dall’adesione dell’opera stessa a un genere “video-teatrale” più o meno ben definito: non di rado sono stati presentati – e selezionati per il Concorso- lavori “impertinenti”, che si aprivano a dimensioni pre o post teatrali, a espansioni del teatro in qualcosa d’altro ecc, in sintonia con la presenza – nelle tradizioni del teatro italiano contemporaneo d’arte e ricerca – di un legame forte tra la scena, il mondo delle “immagini in movimento” e le arti visive.
La sottolineatura della componente biografica dell’artista fatta in quell’occasione merita, tuttavia, un approfondimento e una precisazione.
La constatazione che una sensibilità e “qualità teatrale” della scrittura video possa affinarsi con la frequentazione da parte del video-maker di alcune compagnie teatrali da cui attingere stilemi, immaginarii o regole di composizione drammatica, non implica in maniera diretta e consequenziale che la pertinenza teatrale di un video sia garantita dalla componente biografica né che questa costituisca un presupposto fondamentale e fondante.
La pertinenza riguarda piuttosto modalità di manipolazione spazio-temporale, repertori iconografici o, ancora, modalità di fruizione che rimandano, a volte in maniera prepotente, alla condizione teatrale.
Emblematico è a questo proposito - a mio parere - Morning Smile di Zapruder FilmakersGroup, vincitore della nona edizione del Premio Riccione TTV. Morning Smile lavora su una chiusura e incorniciatura dello spazio e su una dilatazione temporale che fa della stanza d’albergo, set della storia, un locus teatrale dell’attesa; lo spettatore non è coinvolto solo visivamente, ma tocca ed esperisce una lentezza e una condizione di sospensione alienante. Ci si può soffermare inoltre sulla moltiplicazione della prospettiva ed sul riferimento ad un immaginario teatro barocco con l’introduzione dei siparietti - quali intervalli iconografici- dalle tavole botticelliane ispirate alla novella boccaccesca di Nastalgio. Morning Smile di Zapruder opera senz’altro su quel crinale tra teatro, cinema e arti visive condiviso da molti altri lavori del teatro contemporaneo di ricerca, a testimonianza di una contaminazione e di un dileguarsi dei generi, come rilevato, peraltro, dalla stessa giuria nel verbale di conferimento del Premio Riccione TTV 2006.
In conclusione: la giuria del nono Premio Riccione TTV Concorso Italia - si vedano gli allegati verbale e comunicato stampa – ha invitato la direzione del festival a “ridefinire, ampliandoli, i confini delle opere ammesse anche in virtù del fatto che il panorama che esse rappresentano è ormai definitivamente più ampio (…) di quello che il bando di per sé cerca di definire”.
Leggo questa affermazione come una decisa conferma della tradizione inclusiva del festival e – in esso - del Concorso Italia.
Un’ultima nota sulla forma premio: Monteverdi e Ponte di Pino suggeriscono a un certo punto del loro impegnato contributo la modalità della commissione.
Il festival ha spesso commissionato opere ad artisti italiani (nell’edizione in corso l’abbiamo fatto con Fanny & Alexander e con il Teatrino Clandestino) e continuerà a farlo.
Io rimango tuttavia molto affezionato alla modalità concorsuale, che ho sperimentato con il Premio Riccione (e poi col Tondelli) molto prima che col TTV: gettare le reti in un mare sconosciuto, esaminare quanto si raccoglie e gioire della sorpresa, dell’inaspettato! Non credo che Riccione Teatro rinuncerà a questa fatica e a questo piacere, si tratti del Premio Riccione, del Tondelli o del Concorso Italia.
Grazie dell’ospitalità e buon lavoro
P.S. Fuor di polemica, non posso non indicare alcuni errori e imprecisioni riguardanti artisti e opere che – secondo A.M.M. e O.P.d.P – non sarebbero stati presentati dal Festival: i giapponesi Dumb Type nel lontano 1992 hanno vinto il Primo Premio della rassegna concorso internazionale; non abbiamo presentato Le dernier caravansérail di Ariane Mnouchkine, ma la regista era ben rappresentata al TTV 2004 con Tambours sur la digue; abbiamo ricercato assiduamente Absolute Wilson dalla Berlinale, ma non ci è stato concesso per una questione di diritti per l’Italia ancora da definire ( e si potrebbe continuare….).
Infine e soprattutto: il TTV ha presentato in più di una occasione lavori sia di William Kentridge che di Robert Lepage (proprio a riguardo di quest’ultimo ricordo una lunga chiacchierata con A.M.M. in vista di un possibile progetto).
Il punto è un altro: è obiettivamente piuttosto ingeneroso mettere a confronto le possibilità (passate e presenti) del TTV con quelle di un grande Festival come Romaeuropa. Certo, a volte ci riesce di coronare un lungo, paziente lavoro artigianale con un buon colpo, come quando presentammo Peter Sellars in Italia prima di qualsiasi altro festival.
Presentare autori complessi e poliedrici come Lepage o Kentridge implica una adeguata disponibilità di risorse (economiche e non) con le quali coprire una rassegna di film, di spettacoli teatrali, una mostra, un catalogo, ecc… Anche per questo stiamo sperimentando il Riccione TTV a Bologna, puntando a coinvolgere le istituzioni culturali bolognesi per verificare se sia possibile passare dalla amichevole collaborazione di oggi a una modalità di co-produzione che potrebbe permettere al Festival di affrontare imprese più impegnative.
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Tradizioni ed errori al TTV In risposta a Fabio Bruschi di Anna Maria Monteverdi e Oliviero Ponte di Pino |
Ringraziamo Fabio Bruschi per la cortese risposta.
Che tuttavia, soprattutto su un paio di punti nodali, non ci soddisfa.
In primo luogo il problema della cosiddetta “autoproduzione”, che nella sua risposta Bruschi non affronta neppure.
In secondo luogo, quella che definisce la “tradizione”. La nostra riflessione è nata da una semplice constatazione: la tradizione del TTV, per quanto gloriosa, non ci sembra più sufficiente a rendere conto di quello che sta accadendo all’intreccio tra teatro, video e nuove tecnologie - come non lo è sembrata alla giuria dell’edizione 2004. TTV ha deciso di allargare l’orizzonte a opere prodotte da chiunque avesse avuto, nel corso della propria carriera, una qualche contaminazione teatrale. A noi sembra che concentrare l’attenzione sull’opera video finisca per mettere in secondo piano l’evento teatrale e per restringere la capacità di visione e di interpretazione di un fenomeno assai ricco e articolato. Da un lato fa, questa focalizzazione sul video fa - per così dire - di ogni erba un fascio, senza riconoscere le specificità e le tradizioni dei diversi filoni di videoteatro, e alla fine porta inevitabilmente a privilegiare la qualità “cinematografica” delle opere, rispetto alla progettualità e all’innovazione linguistica del settore. Più in generale, l’attenzione all’opera video non tiene conto delle interazioni tra teatro e video (e affini) sulla scena, delle contaminazioni tra teatro e internet eccetera. Noi invece riteniamo che si tratti di un terreno centrale nella pratica degli artisti e nella riflessione teorica, e che dunque non dovrebbe essere accantonato al priori dal TTV, una manifestazione che dovrebbe avere nell’attenzione al nuovo (e non solo della propria breve tradizione) il punto di forza.
Non possiamo che prendere atto della chiusura di TTV rispetto a queste problematiche. La nostra riflessione resta in ogni caso aperta a ulteriori contributi, ma anche alla discussione su nuove iniziative che possano riflettere le nostre preoccupazioni.
PS Quanto agli “errori e imprecisioni”, ci siamo limitati a segnalare alcuni clamorosi buchi delle ultime edizioni: se il TTV avesse voluto essere all’altezza della sua tradizione, e offrire una panoramica su quello che sta effettivamente succedendo in questi anni, avrebbe dovuto tenerne conto. Tra l’altro, per quanto riguarda Mnouchkine, era stata propio Anna Maria Monteverdi a suggerire al TTV la presentazione e la proiezione di Tambours sur la digue prodotto da ARTE' nel 2004...
Del resto, in una manifestazione come TTV nomi così centrali nel rapporto tra teatro, televisione e media non possono essere liquidati con una proiezione estemporanea, senza tener conto della continuità del loro lavoro. Il film Le dernier caravanserail (tratto dall'omonimo spettacolo) era stato proiettato nel marzo di quest'anno al festival Théatre au Cinema di Bobigny. L'occasione per una retrospettiva dedicata a Robert Lepage non poteva che essere legata alla produzione del film La face cachée de la lune, presentato nel 2004 con discreto successo alla Berlinale e tratto dall'omonimo pluripremiato spettacolo. Neppure il riferimento a Dumb Type era casuale: era infatti legato alla produzione e distribuzione del dvd antologico con libro annesso di Ryoji Ikeda, che documenta i progetti e le collaborazioni con Carsten Nicolai e appunto Dumb Type (che peraltro, qualche anno fa, ma molto tempo dopo la presentazione al TTV del loro PH, ha realizzato un fondamentale dvd videodocumentativo di Memorandum, installazione e spettacolo.
Insomma, di chi sono gli errori?
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Beckett 100: Video Beckett Installazioni, opere video, cortometraggi, animazioni e videoscenografie ispirate a Samuel Beckett di Anna Maria Monteverdi |
Samuel Beckett, Quad (1981), regia televisiva di Reinhart Müller-Freienfels.
Come hanno trattato o interpretato la materia e le visioni beckettiane artisti multimediali nelle loro installazioni, videoperformance e spettacoli tecnologici? E' opinione comune che sia la stessa poetica di Beckett, così radicalmente altra rispetto ad una scrittura drammaturgica tradizionale, oscillante e sospesa in un tempo a-dimensionale, tra condizione soggettiva e oggettiva, personale e impersonale, nella negazione della possibilità di un raccontare, nell'inutilità di ogni agire, ad aprirsi ad apporti creativi altri, offerti dalla specificità del mezzo video e filmico. Ersilia D'Alessandro ha parlato di “vocazione cinematografica” del teatro di Beckett.
Samuel Beckett, Non io (1977), regia televisiva di Anthony Page con Billie Whitelaw.
Pensiamo a Non io, monologo torrentizio dell'unico personaggio Bocca immerso secondo la volontà dell’autore, nel buio assoluto della scena; o alla sperimentazione minimalista di Quad (definito da Beckett stesso “una follia televisiva”), ideato come una coreografia di personaggi incappucciati irradianti da e verso il centro con una esattezza geometrica tale da ricordare per analogia il calcolo di un computer (e non a caso definito “performance algoritmica” dallo studioso di media David Saltz).
A Ghost Trio e ad Act without Words I si ispira lo spettacolo tecnologico It/I, una “pantomima per uomo e computer” ideato nel 1997 da Claudio Pinhanez quale parte di un progetto sviluppato al MIT di Boston (vedi scheda presente sul Digital Performance Archive on line ideato da Steve Dixon) mentre Play di Beckett è anche il titolo dello spettacolo con uso di immagini 3D e occhialetti polarizzati per gli spettatori, di Lance Gharavi (1996; vedi oltre), collaboratore dello scenografo digitale e regista Mark Reaney al Dipartimento di Realtà Virtuali dell’Università di Kansas.
Breath.
A Breath, sorta di grado zero della rappresentazione, testo-lampo della durata obbligata di 35 secondi, con luce intermittente e null’altro in scena se non cumuli di spazzatura, si ispira l’artista Nikos Navridis per l’omonima installazione video esposta alla 51a Biennale di Venezia.
Catastrophe.
Mamet e Kentridge guardano a Catastrophe (dedicato al drammaturgo ceco Vaclav Havel) per il loro omaggio video a Beckett. Il corto di Mamet con l’interpretazione di Harold Pinter (Director) e Rebecca Pidgeon (Director’s Assistant) e con l’ultima toccante apparizione di John Gielguld (Protagonist) fa parte del progetto Beckett on Film (2000) prodotto da RTE, Channel 4 e Irish Film Board, presentato al 57° Festival del Cinema di Venezia nella sezione Nuovi Territori.
Notizie su Beckett multimediale (ma non solo) all'interno del database aggiornatissimo di Federico Platania. Intanto sul fondamentale sito www.ubu.com la versione integrale di Film è scaricabile on line (179 mb).
Videoinstallazioni e videoperformance
1. Nel 1968 Bruce Nauman, esponente dell'area concettuale americana e tra i pionieri della videoarte statunitense insieme con Dan Graham e Peter Campus, crea Beckett Walk o Slow Angle Walk.
Si tratta di un'opera video-performativa che mostra il dispositivo video nella duplice funzione di processo e immagine spazializzata. In Beckett walk una telecamera fissa collegata a un monitor per ciascun lato di uno spazio architettonico quadrato che si sviluppa in altezza, riprende dall’alto la persona che ne percorre il perimetro. I suoi movimenti non sono naturali: Nauman realizza una sorta di happening o performance mediatica ripetitiva, a loop: il performer con le mani dietro la schiena alza una gamba a 45 gradi e la lascia poi ricadere a terra con grande rumore. Comportamenti bizzarri, rovesciamenti del corpo che vengono ritagliati nella scatola del monitor e che contrastano con quel geometrico percorso obbligato che regolamenta il suo tracciato nello spazio. Come ricorda Valentina Valentini: “Non è gratuito il riferimento a Beckett, che è stato un incontro importante per Nauman, perché in entrambi il linguaggio è un elemento che trova in se stesso il proprio fondamento, non sta al posto di..., non è uno strumento espressivo legato alla dimensione soggettiva e intersoggettiva di locutori e perlocutori” (V. Valentini, Corridoi, labirinti, soglie: come mettere in gioco lo spettatore, in Dal vivo, Roma, Graffiti , 1996)
2. Godot Space
Nel 1997 David Saltz, artista e teorico inglese specialista di Interactive Media e Mediated Theatre, realizza Beckett space un ambiente che include varie installazioni, alcune automatizzate, e performance con video ispirate a 8 pièce di Beckett.
All’interno anche uno spazio interattivo, Godot Space: attraversandolo si attivava una sezione audio dal più famoso testo di Beckett. (Vedi anche il testo di Saltz scritto appositamente per ateatro)
3. Le videoinstallazioni beckettiane di Natalia Antonioli
Giovane regista teatrale con un background di studi filosofici e di pratica artistica di tutto rispetto, la Antonioli ha percorso per un'occasione specifica nel 1999 (il Premio Autore Donna) l'itinerario beckettiano con una serie di installazioni video e sonore che risultarono vincitrici della sezione Nuove Proposte. L'autrice nel catalogo curato da Marina Corgnati, le definisce “microregie”, concertazioni installattive dalla durata minima, quasi istantanea, seguendo scrupolosamente le indicazioni beckettiane per i suoi dramaticules.
Passi.
Passi è realizzato come un tracciato di scritte bianche con correttore (frasi dal testo stesso di Beckett) su materiale plastico scuro posto a terra a formare gli otto numeri del gioco infantile della campana. Il gioco come è noto, non termina mai perché ricomincia sempre, e così è per la voce registrata associata all’installazione, un cadenzato ripetere delle parole beckettiane per bocca di bimba. Winnie ispirato a Giorni felici, è un’installazione video e sonora (voce di Alessandra Roselli) con due monitor sincronizzati e oggetti appartenenti alla protagonista della piéce. Tra le installazioni spicca senz’altro la resa video-letterale di Ohio Impromptu. Il tavolo con due sedie e due monitor propone un dialogo impossibile e infinito tra Ascoltatore e Lettore, tra Io e Non io: un interlocutore assente – simboleggiato dalla neve del televisore non sintonizzato - e un video-braccio che comanda ma dà regole non ascoltate. In tutte le installazioni i frammenti del testo originario sono sparsi in forma di sasso o cemento inciso (Giorni felici III), di carta ghiacciata (Quella volta), accartocciata, di ritagli di singole minuscole lettere ricomponibili a scelta da chiunque secondo il meccanismo della casualità. Il teatro è dietro un’unica immagine che condensa, “ghiaccia” quell’istante, “quella volta” e si concede ma per tracce fossili, all’archeologo-visitatore. Metronomi a battere il tempo per nessun strumento, voci inabissate che si disperdono dentro coni metallici, vetri che accolgono bocche afone, corpi smembrati dall’occhio della telecamera, dondoli dal movimento inarrestabile, giochi della morte e giochi dell’infanzia. I monitor isolati, gli oggetti casuali, le sequenze narrative monche sono lì a sostituire attori e trama e a testimoniare un’assenza imprecisata o un’attesa infinita. L’installazione è infatti, una scena provvisoriamente abbandonata, laddove una presenza umana si è dileguata e ha lasciato ombre elettroniche e guanti in lattice, borsetta, ombrellino e collana di perle. Nella dimensione irricostruibile e indecifrabile del luogo e della storia, nella negazione del tempo e contemporaneamente nella resa di “creature in fuga”, il senso di un Beckett messo per una volta in mostra e non in scena: “Mi piace Beckett. Mi piace il suo universo composto da monadi senza porta e senza finestra in cui il visitatore disincantato è costretto ad osservare la vita nei suoi aspetti più depauperati... aspettando il silenzio” (N.A.)
Quelle braccia alla fine.
La Antonioli ha recuperato alcune delle sue più significative installazioni come itinerario “preparatorio” all'interno dello spettacolo La voce nella testa (da Passi) andato in scena nel gennaio 2006 in un teatrino nel cuore della Lunigiana (Bagnone-Massa). Le installazioni sono: Quelle braccia alla fine (da Dondolo) con un piccolo dondolo automatizzato in movimento perpetuo, e Winnie (da Giorni felici).
Spettacoli tecnologici
1. Studio Azzurro, Neither.
Neither.
Spettacolo di teatro musicale con scenografie digitali messo in scena da Studio azzurro nel 2004. All’opera musicale per soprano e orchestra concepita da Morton Feldman nel 1976, Beckett aggiunse su commissione, il libretto. Feldman chiese infatti a Beckett per l’opera, la “quintessenza” della sua poetica, che fu prontamente consegnata in forma di un pugno di righe come una sorta di suprema astrazione o distillato del suo pensiero intorno al tema universale dello stare al mondo in una condizione sempre oscillante tra l'io e il non io. Studio Azzurro sceglie una dimensione evocativa quasi surreale, sorretta da pochi oggetti, che rimandano al mondo beckettiano: un dondolo, l'uccello in gabbia, un uomo nel letto, l'albero, le scale, una porta semiaperta che non è retta da alcun muro, una lama di luce in un palcoscenico vuoto, quel teatro secondo le stesse parole di Paolo Rosa, simbolo di nessun luogo e insieme crogiuolo di tutti i luoghi possibili.
2. Desktop theater.
Desktop_Theatre.
Waiting for Godot sbarca su Internet nel 1997. Presentato al Digital Story Telling Festival. Waiting for Go.com è uno spettacolo di teatro on line con uso delle chat room e con personaggi interpretati da utenti collegati in quel momento; icone grafiche rappresentano non solo Didi e Gogo (Estragone e Vladimiro) ma anche altri personaggi improbabili come Mister Muscle, che si inseriscono ogni qual volta entra un nuovo utente; Waiting for Go.com ha un suo ambiente visivo offerto da palace.com che non sarebbe altro che il palcoscenico virtuale della rappresentazione. Il pubblico era costituito anche dagli spettatori reali del festival grazie a video-proiezioni. Rimandiamo al dettagliato resoconto on line Clicking for Godot in cui l’autore Scott Rosenberg esalta la nascita di un genere, il digital puppet theatre in un nuovo teatro on line, le cui modalità di (non) comunicazione rimanderebbero al tema dell’assenza in Beckett: “In Aspettando Godot nulla accade per due volte in ciascuno degli atti. Nelle chat rooms nulla accade la maggior parte delle volte, le persone si ritrovano ogni sera e aspettano per lo più che accada qualcosa, che qualcuno dica qualcosa di interessante, che un diversivo gli aiuti a passare il tempo”.
3. Roberto Paci Dalò/Giardini Pensili si è dedicato a Beckett in un paio di occasioni: la prima volta con l'installazione visiva e sonora Beck/ett realizzata a Castel Sant’Elmo per la grande mostra dedicata al Living Theatre e curata dalla Fondazione Morra, con la voce campionata di Julian Beck. L’installazione è stata riproposta due anni fa per Riccione TTV 2004, a Villa Lodi Fé. Più recentemente ha dato vita a uno spettacolo videopoetico (altrimenti definito dall’autore “esecuzione scenica”) di notevole valore a partire dall’ultima produzione poetica di Beckett e interpretato da Gabriele Frasca e Patrizia Valduga a loro volta poeti (e traduttori) molto noti nel panorama nazionale, in scena insieme a una giovane e talentuosa attrice francese, Caroline Michel. Qual è la parola si regge su atmosfere rarefatte, trasparenze, voci sussurrate o disperse, parole inanellate a suoni e immagini evocative, in una composizione fragilissima e intensa, sottoposta a un trattamento digitale in diretta. Proprio il digital live è quella modalità - più volte sperimentata da Giardini Pensili - che rende la tecnologia stessa significativo evento poetico in sé.
Progetti crossmediali
1. Jonas Hielscher dopo aver frequentato il corso di Design for Virtual Theatre and Games a Utrecht e terminato il Media Lab all’Università di Leiden in Olanda, fonda z25.org, un’ideale piattaforma informativa per giovani mediartisti. Esperto di installazioni motion tracking, creatore di videogames e appassionato di arte in rete collabora al progetto Quad Remediated (diventato in seguito 4:3) del giapponese Kaisu Koski ispirato a Quad di Samuel Beckett. Secondo le indicazioni tecniche forniteci da Jonas Hielscher e Koski, il progetto nasce con l’idea di offrire tre variazioni della stessa coreografia in tre diversi ambienti tecnologici (una danza all’interno di un quadrato secondo geometrie rigorosissime e con moti di attrazione e repulsione da e verso il centro).
Quad Remediated.
In questa ideale trilogia la prima parte è legata alla creazione di uno spazio narrativo in forma di installazione motion tracking, con sistema di captazione del movimento attivato dallo spettatore stesso nel suo muoversi all’interno dello spazio quadrato. La seconda parte del progetto consta di un’esplorazione del precedente spazio narrativo attraverso una danza, contemporanea a una sua riproposta in diretta video. Lo spettatore va a collocarsi, come postazione, in uno spazio intermedio tra la danza reale e quella video.
Da notare che questa danza è stata pensata per essere fruibile anche on line in video streaming. L’ultima parte è rappresentata dalla distruzione dello spazio narrativo visivo attraverso la creazione di un ambiente immerso nel buio e unicamente sonoro. Cambiano così le dinamiche di interazione, cambiano le interfacce, cambia anche la posizione dello spettatore in ciascuna delle diverse variazioni o step, di questo “mediated theatre” (secondo la stessa definizione degli autori).
Videoopere e cortometraggi
1. Un originale omaggio in video ispirato a Not I, monologo del 1972 di Beckett, è quello di Mald’è, giovane compagnia campana video/teatrale di Matilde de Feo e Mario Savinio. Presentato quest’anno alla manifestazione Il corpo immateriale di Napoli.
Il video di 11’ che segnaliamo per la pregnanza visiva, per l’aderenza alla poetica beckettiana e per l’ottima realizzazione tecnica, è una cascata ininterrotta di parole dallo strano personaggio di Bocca (“interpretato” dalla stessa De Feo, brava e bella attrice teatrale e televisiva). Bocca va a occupare un angolo di un ambiente elettronico caratterizzato da un biancore abbagliante e da cui emergono a tratti, segni grafici esplosi e frammentati, fonemi vomitati, risucchiati e poi sparsi ancora nel vuoto elettronico. Dalla bocca “reale” ma isolata dal contesto corporeo, si passa a quella digitale, una macchia rossa che mentre parla si sfalda, si sdoppia, si sovrappone in un’infinita metamorfosi elettronica. Riconoscibile sempre più a stento come un organo fisico scompare affogato nel bianco, quel bianco accecante che domina molta parte della produzione beckettiana.
2. Monument (3’, 1990) è il secondo cortometraggio politico della serie Soho Eckstein; si tratta di un’opera ispirata a Catastrophe a firma di William Kentridge, il più importante artista visivo sudafricano, regista, disegnatore, incisore, creatore di film animati usati come fondali teatrali e realizzati a partire da disegni a carboncino definiti da lui stesso “drawings for projection”.
La tecnica di animazione usata è quella tradizionale dello stop motion, ovvero una successione di immagini riprese cancellando o aggiungendo, fotogramma per fotogramma, elementi del disegno. In questa come in altre opere, la tematica affrontata è quella della storia postcoloniale del Sudafrica, degli orrori del capitalismo e dell’apartheid, complice la trama beckettiana della relazione di potere tra Director-Character-Assistent. Monument è stata esposta come installazione alla Tate Gallery; recentemente una personale su Kentridge è stata allestita a Modena e presso la Galleria Lia Rumma di Milano.
3. Atto senza parole I di Carlo Caprioli e regia di Enrico Maria Lamann è stato presentato a Film Maker di Milano e al Lodi Film Festival del 2005 diretto da Fabio Francione. Carlo, figlio di Vittorio Caprioli interpreta col video quell’invisibile potere che regge i fili, guida gli oggetti della sopravvivenza e quindi il destino dell’uomo nel deserto in cerca dell’acqua continuamente sottratta. E’ un’entità lontana che governa gli eventi muovendoli virtualmente da un non meglio precisato mondo parallelo fantascientifico, indossando data glove e virtual eyes. I limiti spaziali non oltrepassabili dall’uomo sono dati dal campo stesso dell’inquadratura. L’uomo è prigioniero dentro il video, dentro la scatola quadrata del monitor. Da lì il protagonista non può uscire, prigioniero senza scampo in un deserto bianchissimo e in uno schermo al plasma...
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Beckett 100: un carnevale modernista Beckett tra teatro, video e installazioni di David Saltz |
Beckett Space: A Modernist Carnival, che ho diretto nel febbraio 1996 all’Università di New York, includeva performance tecnologiche e installazioni completamente automatizzate ispirate a otto brevi piéce di Samuel Beckett: Ohio Impromptu, Eh Joe, Not I, Rockaby, Play, Come and Go, Breath e Quad. Beckett Space conteneva anche un ambiente interattivo chiamato Beckett Space.
La motivazione di questa strategia non convenzionale di presentazione era quadruplice. Per prima cosa Beckett Space consentiva al pubblico di avere un dialogo più intimo con il testo, leggendo e rileggendo le opere in forma di performance, più di quanto avrebbero potuto fare in un’edizione stampata; inoltre, e tornando alle diverse opere, potevano esplorare le numerose interconnessioni che c’erano tra loro.
Secondo, Beckett Space metteva in luce la struttura ciclica della maggior parte di queste opere brevi. Nel corso di una performance di due ore e mezzo di Beckett Space, ripetevamo ciascuna delle opere tra le quattro (Not I) e le 35 volte volte (Come and Go). In alcuni casi il potenziale per ripetizioni infinite era già implicito nel testo di Beckett. Not I e Play, per esempio, finiscono esattamente come cominciano e Beckett stesso aveva stabilito che Play fosse ripetuto una volta.
Terzo, Beckett Space esplora l’interazione tra live performance e tecnologia implicita nelle opere di Beckett, specialmente da Krapp’s Last Tape in poi. La tensione tra live performance e immagini è stata molto forte soprattutto nella produzione di Not I.
Not I rivisitato da David Salz.
Un’immagine video della grandezza di 8 piedi di una bocca di donna veniva proiettata su un muro curvo in un piccolo spazio per 15 spettatori. La voce della donna amplificata veniva da un altoparlante posto sopra l’immagine. L’attrice che recitava dal vivo era nascosta, su una bassa pedana di fronte al proiettore. Il muro opposto alla proiezione conteneva un buco attraverso cui era possibile spiare: uno spettatore alla volta poteva guardare attraverso il buco per osservare la bocca vera e sentire la voce non amplificata dell’attrice che stava recitando dal vivo di fronte a una videocamera e a un microfono. La proiezione non funzionava come la registrazione di una performance realizzata in precedenza, e non solo come un artificio fine a sé stesso, ma come una prospettiva tecnologica su una azione live. Una visione attraverso un microscopio, una esternazione concreta del sé, un’incarnazione vivida di quello che Beckett descriveva come “veemente abdicazione verso la terza persona da parte di Bocca”.
Ultima motivazione, e per me più importante: volevo sottolineare che le produzioni tecnologiche di Beckett Space evidenziavano che il modo di lavorare dell’ultimo Beckett aveva trasformato radicalmente la relazione tra testo e performance, e così ridefiniva la nozione stessa di dramma (“play”).
Play rivisitato da David Salz.
Infatti si può osservare come la maggior parte delle ultime produzioni non siano affatto opere teatrali nel senso convenzionale. Sono algoritmi per performance. Significativamente, via via che le piéce di Beckett incrementano la loro precisione, aumentano anche le loro restrizioni. I vincoli delle direzioni di scena di Beckett, le descrizioni delle azione fisiche, le pause, le posizioni, sono spesso espressi con precisione matematica e, come in Quad, What Where, Come and Go, and Footfalls, sono accompagnati da diagrammi schematici che ne incrementano il rigore. Quad offre il più puro esempio di algoritmo performativo. Questa pièce non contiene dialogo, solo quattro “interpreti” che si muovono lungo il perimetro e le diagonali di un quadrato. Come un pezzo musicale e diversamente da un testo convenzionale, Beckett definisce costantemente un numero limitato di variabili dentro un intervallo di durata chiaramente definito, e mantiene un silenzio assoluto su tutti gli aspetti della performance non descritti da queste variabili.
Il vocabolario delle coppie di lettere sviluppato da Beckett per descrivere i “percorsi” dei personaggi non è semplicemente in grado di descrivere qualunque movimento che esca dai sei percorsi rettilinei, o qualunque pausa nell’esecuzione di un percorso. La precisione e i vincoli di Quad ricordano quelli di una partitura musicale; e dunque codificare l’algoritmo dei movimenti della pièce in un computer è un processo lineare. In Beckett Space abbiamo dimostrato la natura algoritmica dell’opera implementando l’algoritmo di Quad con diversi programmi di gestione ambienti e strumenti multimediali.
Per esempio, in una versione, un’animazione computerizzata creata con Macromedia Director raffigurava figure incappucciate che si muovevano su una griglia che ricorda quella di una scacchiera; in un’altra i personaggi erano rappresentati da semplici quadrati colorati. Quattro monitor di computer proiettavano simultaneamente quattro diverse animazioni di Quad; i monitor erano posti in un’alta colonna di tende al centro del Beckett Space. Gli spettatori entravano attraverso le tende e osservavano una serie di led luminosi sospesi sopra la loro testa. Un colore differente di luce rappresentava ciascun giocatore e i Led riproducevano i movimenti di Quad in sincrono con le animazioni sul monitor.
In altre opere teatrali come Play, Rockaby e Ohio Impromptu Beckett crea algoritmi che tengono conto di un elemento di mediazione umana. Queste opere costituiscono quelli che definisco “algoritmi interattivi”.
Questi testi sono scritti in maniera convenzionale, con battute di dialogo assegnate ai personaggi e trascritte in sequenza. Tuttavia la logica che li sottende è quella di un algoritmo costituito da due elementi principali: un testo e una regola. La regola governa il modo in cui viene detto il testo, e in ciascun caso il soggetto che emette il testo è diverso da quello che applica la regola. Per esempio in Rockaby la donna è seduta su una sedia a dondolo “controllata meccanicamente senza il suo intervento”. La battuta della donna, “Ancora”, funziona esattamente con un interruttore che mette in moto sia la voce sia il dondolio meccanico; di più, dal punto di vista tecnologico è molto semplice automatizzare il dondolio, il suono e le luci in modo che sia la voce dell’attore ad attivarli elettronicamente.
Il più sofisticato degli algoritmi performativi di Beckett è quello che presiede a Ohio Impromptu. In quest’opera un “Lettore” e un “Ascoltatore”, entrambi con lunga giacca nera e lunghi capelli bianchi, sono seduti uno di fronte all’altro a un tavolo, mentre il Lettore legge ad alta voce da un libro. Non appena l’Ascoltatore bussa sul tavolo, il Lettore interrompe la lettura, ritorna all’inizio della frase precedente, legge fino alla fine della frase e attende finché l’Ascoltatore non bussa una seconda volta prima di continuare. Per la produzione di Beckett Space ho cominciato girando un video del lettore che legge l’intero testo del libro, eliminando le ripetizoini del testo di Beckett, e poi ho trasferito il video su un disco laser. in modo da facilitare l’accesso causale in playback (all’epoca in cui ho realizzato Beckett Space, trasmettere un video di alta qualità e a schermo intero su un computer non era ancora così facile).
La scena consisteva di un lungo tavolo diviso da uno schermo sul quale in retroproiezione veniva proiettata un’immagine a grandezza naturale del Lettore, creando l’illusione che il Lettore fosse seduto all’estremità destra del tavolo (per gli spettatori), così come indicato nel testo di Beckett; tuttavia solo l’Ascoltatore era reale. Sul tavolo era posizionato un interruttore a pressione in grado di cogliere i colpi dell’Ascoltatore e collegato a un computer programmato per iniziare, arrestare e riavvolgere il videodisco, in base all’algoritmo di Beckett. Quando l’Ascoltatore batteva sul tavolo nei momenti giusti (cosa che l’attore aveva imparato a fare), quella messinscena semi-automatizata seguiva il testo e le didascalie di Beckett alla lettera; in particolare soddisfaceva in una maniera fino a quel momento inedita una delle sue richieste: che Ascoltatore e Lettore siano “simili il più possibile d’aspetto”. Grazie a questo legame cibernetico, Lettore e Ascoltatore finivano per “diventare una cosa sola” agli occhi del pubblico.
La produzione portava in scena una riunificazione romantica del sé frammentato, ma solo attraverso l’assorbimento del sé nel sistema cibernetico dell’opera. Il processo portato in scena era allo stesso tempo utopico e distopico. Di qui è nata la sua peculiare combinazione: una bellezza inquietante e una tenerezza segnata dal dolore del vuoto e della perdita.
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Beckett 100: Beckett a I-Mode Visions 2006 All'Accademia di Belle Arti di Macerata di Anna Maria Monteverdi |
Cambio di testimone per le celebrazioni del centenario di Beckett, passato dal Teatro Studio di Scandicci all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Massimo Puliani, direttore della sezione Multimediale, ha coordinato infatti, dall’11 al 13 maggio, un ben articolato e ricco programma di eventi in omaggio al drammaturgo e regista irlandese che va a colmare un colpevole silenzio commemorativo ad opera di Teatri Stabili e Festival. L’occasione era data dalla pubblicazione del volume collettivo curato da Puliani stesso in collaborazione con Alessandro Forlani, della monografia Beckett per la Halley Editrice e dall’annuale esposizione dell’Accademia di Macerata I-Mode visions. Il libro, dalla grafica accattivante nera e blue elettrico, raccoglie testi sia inediti e che editi ma ormai introvabili, relativi al Beckett “multimediale”, ovvero a quella produzione televisiva e di radiodrammi caratterizzata da vere e proprie operazioni di rottura e di radicale innovazione linguistica e considerate a buona ragione da molti artisti soprattutto video, un riferimento obbligato.
Il programma prevedeva proiezioni di rare videodocumentazioni delle più svariate interpretazioni delle piéce beckettiane ad opera di nomi di spicco della ricerca teatrale mondiale oltre ai videplays diretti dallo stesso Beckett per la televisione (da Ehi Joe all’enigmatico Quad, a Ghost trio). Parte integrante di I-mode Visions era il concorso di corti (in video e in animazione) creati dagli studenti dell’Accademia e liberamente ispirati a Beckett; a conclusione delle giornate al Teatro Lauro Rossi di Macerata sono andati in scena: Endgame.End di Fabrizio Bartolucci e Trittico beckettiano diretto da Giancarlo Cauteruccio (Atto senza Parole, Non Io, L’ultimo Nastro di Krapp).
Omaggio a Beckett anche da parte di un docente dell’Accademia e assai noto comunicatore multimediale, Carlo Infante, che ha offerto una performance on line realizzata usando la piattaforma Mondi virtuali.com e invitando presenti e utenti a distanza, a un viaggio virtuale in grafica animata 3D e in chat dentro le opere, o meglio dentro i punti di vista sull’opera di Beckett. Il tour prevedeva soste dentro contributi in forma di clip video incastonati negli ambienti virtuali creati dagli stessi studenti del suo corso, Performing media. Una sorta di dimora virtuale o se vogliamo un palcoscenico da attivare grazie a banche dati spazializzate: un esempio di un diverso e futuribile modo di fare didattica, con temi organizzabili per aree interattive e intercomunicanti in modalità, per definizione, aperta. Naturalmente si tratta di una piattaforma condivisa in connessione remota la cui strutturazione architettonica e le cui modalità interattive devono essere ridefinite e riprogettate ogni volta affinché sia sempre il contenuto –come ricordava Kandinskij - a determinare la forma.
Il concorso I modi della visione ha visto poi, la partecipazione di 14 opere video di studenti dal 1 al 4 anno dell’Accademia. Sono risultati vincitori: Ceci n’est pas theatre di Armando Tesei, un folle non-racconto con citazioni esplicite alla cinematografia comico-grottesca italiana (da Ciprì e Maresco a Trosi a Fellini) con un ritratto di Estragone e Vladimiro tra L’albero degli zoccoli di Olmi e Cinico Tivù. Più aderente alla poetica di Beckett e al suo senso di sospensione e di inutilità o ineffabilità della vita e di ogni agire, nell’opera in grafica 3D animata premiata per la ricerca e l’innovazione: Senza titolo di Marco Menco: scarpe senza gamba vagano in un eterno circolo senza inizio né fine.
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Speciale Torino 2006: la cultura e il teatro rilanciano la città Una intervista a Fiorenzo Alfieri di Mimma Gallina |
Prosegue con questa ampia intervista a Fiorenzo Alfieri, a lungo assessore alla Cultura del Comune, lo Speciale Torino 2006 iniziato in ateatro 97 e ateatro 98.
LA POLITICA CULTURALE DEL COMUNE
Il Comune di Torino sta puntando molto sulla Cultura come fattore di trasformazione della città, una linea rafforzata anche da studi economici in materia. Come è nata e in che cosa consiste questa politica e qual è la funzione specifica del teatro in questo disegno?
Nasce dalle necessità di progettare per Torino un futuro diverso dal suo passato di città monopolizzata dall'industria manifatturiera, quasi esclusivamente automobilistica. Nel 2000 le diversi componenti del sistema-città, dopo due anni di un lavoro che aveva coinvolto più di duemila persone collocate in posizioni “sensibili”, sottoscrissero un “piano strategico” che prefigurava uno sviluppo non più unidimensionale ma articolato in diversi vettori di sviluppo. Uno di questi era la cultura. Perché? Perché la cultura è un valore in sé, perché dà coraggio e speranza ai cittadini, perché produce ricchezza e soprattutto perché è l'unico sistema linguistico capace di trasmettere in tempi brevi e in modi efficaci un'immagine positiva di tutto un sistema sociale e non solo delle sue componenti specificamente culturali. Basterebbe quest'ultima motivazione, che proprio in questa fase post-olimpica sta funzionando in modo clamoroso, a giustificare gli investimenti che sono stati fatti e quelli previsti per il futuro. Il teatro è un valore in sé, dà coraggio e speranza a chi lo ama, produce posti di lavoro e incassi, può contribuire a far sì che il mondo esterno si accorga di questa città. A una condizione però: che abbia le caratteristiche necessarie a raggiungere obiettivi di questo tipo, in particolare l'ultimo.
La città sarà in grado di sostenere anche nei prossimi anni investimenti così importanti, comunque molto superiori alla media nazionale?
Qui non è questione di media nazionale. E' questione di pianificazione strategica. Torino non è confrontabile con altre città italiane: nessuna altra città italiana ha bisogno urgente e irrinunciabile di cambiare completamente pelle come lo ha Torino. La nostra città è invece confrontabile con altre città europee che si sono trovate in circostanze analoghe. Quelle di loro che “ce l'hanno fatta” hanno tutte puntato sulla cultura per far capire al mondo che “stavano facendo sul serio”. Per diventare città di cultura, certamente, ma anche e soprattutto per tornare a essere protagoniste dell'economia e del lavoro. Il museo Guggenheim a Bilbao ha indubbiamente attratto una quantità di turisti che prima quella città non poteva neppure immaginarsi, ma ha soprattutto attratto investimenti e nuove iniziative produttive per il semplice fatto che l'opinione internazionale è stata indotta a pensare: “Se una città come quella ha saputo sorprendere il mondo con una scelta così azzeccata, significa che è coraggiosa, innovativa, affidabile. Allora è conveniente portare lì, anziché altrove, nuove industrie, nuove banche, nuove organizzazioni internazionali, una nuova edilizia di qualità e così via.” Perciò non è la media nazionale italiana che ci serve per decidere come e quanto investire in cultura, ma sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere e l'esame delle esperienze realizzate da quelle città confrontabili con Torino che, come dicevo, “ce l'hanno fatta”.
IL PROGETTO DOMANI
Ci sembra che Progetto Domani (cona la scelta di affidare a Luca Ronconi la parte più qualificante e consistente del programma culturale parallelo alle Olimpiadi) sia stata un po' la punta di un iceberg, la scelta più visibile - ma non occasionale - di un percorso complesso. (su questo vedi Specile Torino 2006: non solo Ronconi. A progetto concluso, quali obiettivi si poneva il progetto e che bilancio trae di quell'esperienza?
L'idea di candidare Torino alle Olimpiadi del 2006 nacque durante l'elaborazione del piano strategico. L'unica candidatura esistente era quella di Venezia (sic!): se ne parlò durante una riunione del gruppo di lavoro su sport e turismo e nell'arco di tre settimane venne elaborato il dossier di candidatura. L'assegnazione a Torino fu un'assoluta sorpresa: fino all'ultimo momento il candidato vincente era la svizzera Sion. L'allora sindaco Castellani spostò voti durante l'ultima presentazione al CIO mostrando con immagini significative proprio i risultati del processo di elaborazione del nostro piano strategico e disse: “Questo è quanto la nostra città dovrà fare per evitare il declino di un'intera conurbazione di un milione e mezzo di abitanti. Se avremo le Olimpiadi il processo verrà facilitato e accelerato; altrimenti dovremo realizzarlo comunque, anche se con molte più difficoltà .” La maggioranza dei membri del CIO decisero di aiutare Torino anziché fare “piovere sul bagnato” di una ricchissima cittadina svizzera di 14.000 abitanti. Per la prima volta, in questo modo, le Olimpiadi invernali si sono tenute in una grande città. Il valore aggiunto dell'edizione 2006 è stato determinato, a detta di tutto il mondo, dall'offerta culturale che Torino è stata in grado di produrre. Noi non abbiamo organizzato un festival culturale effimero, della durata di quindici giorni; al contrario abbiamo chiesto molto per tempo alle diverse componenti del sistema culturale della città di far convergere nella prima metà del 2006 iniziative collegabili ai valori olimpici e capaci di rappresentare il meglio della cultura del paese ospite con linguaggi di carattere universale (come previsto dal contratto tra CIO e Città di Torino, sottoscritto dopo l'assegnazione dei giochi). Ogni componente ha fatto le sue proposte e il gruppo di coordinamento (formato dai tre assessori alla cultura di Città, Provincia, Regione e dal rappresentante del TOROC) ha potuto organizzare un palinsesto che è stato considerato dal CIO il migliore di tutti i tempi, Olimpiadi estive incluse. Noi abbiamo detto a tutti coloro che ci manifestavano ammirazione per un programma di così grande qualità e completezza che in qualsiasi altro momento in futuro fossero tornati a Torino avrebbero trovato un'offerta analoga. Il Teatro Stabile ha preso alla lettera il contratto citato: si è rivolto al più grande regista italiano e gli ha chiesto un progetto capace di parlare al mondo. Ronconi e Le Moli hanno proposto un sistema di cinque spettacoli (come sono cinque i cerchi olimpici) dedicati ai temi che più di altri oggi fanno chiedere all'umanità: “Che ne sarà di noi domani?”. Il sindaco e io abbiamo subito capito che quel progetto sarebbe diventato il simbolo delle nostre Olimpiadi della Cultura e avrebbe svolto una funzione di traino di tutto il resto del programma. Come è puntualmente avvenuto. Quando sento dire che la Città avrebbe fatto meglio a “distribuire” le sue risorse tra cinque registi, mi rendo conto che non è stato capito niente del Progetto Domani. La città non ha mai voluto organizzare cinque spettacoli teatrali: perché mai le sarebbe dovuto venire in mente un'idea del genere? La città ha accolto una proposta del Teatro Stabile di Torino che rispondeva perfettamente ai criteri ai quali si dovrebbero attenere delle Olimpiadi della Cultura. Tutto qui. Così come ha accolto la proposta del direttore artistico di Torino Danza di affidare a Barberio Corsetti lo spettacolo Il colore bianco e la proposta del Teatro Regio e del Teatro Stabile di affidare a Gianfranco Cobelli La Tempesta di Shakespeare-Purcell e la proposta delle compagnie teatrali torinesi riunite di produrre lo spettacolo Interferenze tra la città e gli uomini. A proposito: chi ha detto che nella sezione teatro/danza delle Olimpiadi della Cultura di Torino 2006 ha lavorato soltanto Ronconi?
Quali sono e quali saranno le ricadute?
Il Progetto Domani ha innanzitutto conciliato la qualità con la quantità. Alla faccia di chi diceva che si sarebbe trattato di un'operazione di élite abbiamo avuto le sale sempre esaurite per tutta la durata dell'operazione (40 giorni). Recentemente è stata messa insieme la rassegna stampa sull’iniziativa: sono cinque volumi con un migliaio di servizi di tutti i giornali italiani e di tutti i principali giornali internazionali. Per quanto riguarda i giovani, poi, delle cinquecento persone, tra attori e tecnici, che hanno lavorato da sei a dodici mesi al progetto, la stragrande maggioranza era composta proprio da giovani. Gradualmente parecchi tra i tecnici stanno entrando nel sistema teatrale torinese e piemontese e altri si sono inseriti in ambienti lavorativi di altre località italiane. Il Teatro Stabile ha definitivamente imboccato la strada della compagnia stabile attingendo a larghe mani dal serbatoio fornito dal Progetto Domani. Inutile dire che gli spettacoli verranno ripresi a Torino (la prossima stagione del TST debutterà con la ripresa del testo di Ruffolo) e in altre città (Lo specchio del diavolo è già stato al Piccolo di Milano, mentre Il silenzio dei comunisti sarà a Prato e così via); anche se noi non vogliamo che si ripeta altrove il “miracolo” che è avvenuto a Torino; caso mai si ripeterà a Torino.
Sul forum di ateatro si è scatenato un dibattito con posizioni molto articolate, tanto dal punto di vista artistico, che economico-organizzativo. Su questo secondo punto, anche chi ha difeso con forza la necessità di superare visioni "pauperistiche" del teatro e sottolineato la positività che si fosse investito sul settore, ha criticato il costo dell'operazione, o meglio la concentrazione dell'investimento su un solo punto di riferimento artistico. Cosa pensa di queste considerazioni?
In parte ho già risposto. Se la mettiamo sui costi, allora non avremmo neppure dovuto fare le Olimpiadi nel modo che tutti hanno potuto constatare o direttamente o sui teleschermi di casa. Proprio in questi giorni stiamo constatando la ricadute delle nostre Olimpiadi. Torino è stata presa d'assalto dai turisti e dai media. Gli alberghi (compresi quelli nuovi di zecca) si sono riempiti durante i week-end primaverili. La Fiera del Libro ha superato i 300.000 visitatori in quattro giorni, con 100.000 visitatori in più rispetto all'anno scorso. Durante la manifestazione di apertura dell'anno di Torino Capitale mondiale del libro, Michele Serra ha pronunciato una frase diventata subito famosa in città: “Per quanto riguarda la cultura Torino oggi sta a Milano come New York sta a Saluzzo (con tutto il rispetto per Saluzzo)”. Perché si dicono queste cose? Principalmente per il fatto che le Olimpiadi hanno suddiviso il loro successo in parti uguali tra lo sport e la cultura. E poiché l'offerta culturale è stata leaderizzata dal progetto Ronconi, se ne deduce che quella scelta è stata determinante per la valorizzazione di un'occasione fondamentale per noi come le Olimpiadi in generale e le Olimpiadi della Cultura in particolare. Chi invoca la giustizia distributiva (“se si volevano fare cinque spettacoli, allora si dovevano distribuire le risorse tra cinque registi”) si dovrebbe chiedere quale effetto trainante delle Olimpiadi della Cultura avrebbe avuto una normalissima giustapposizione di spettacoli di media importanza realizzata da registi diversi. Non ne avrebbe avuto nessuno, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Ribadisco che noi non abbiamo mai voluto “fare cinque spettacoli”: ci siamo trovati davanti a un progetto del Teatro Stabile di Torino che ci è parso subito coerente alla superesposizione valoriale, organizzativa e comunicativa tipica di una Olimpiade e quindi lo abbiamo adottato. Sarebbe bene non dimenticare che l’intero Progetto Domani è costato meno della cerimonia inaugurale delle Paraolimpiadi e la quinta parte della sola cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Questi sono i termini di paragone quando si ha a che fare con un evento planetario come le Olimpiadi, non la normale programmazione teatrale in un’Italia sempre più asfittica.
GLI SPAZI PER TEATRO E MUSICA
Nel giro di pochissimo tempo si sono moltiplicati gli spazi per lo spettacolo, e altri ne stanno nascendo:
non esiste il rischio di passare dal troppo poco al troppo? In particolare, qual è il rapporto tra domanda e offerta? Quale dovrà essere l’equilibrio tra qualità e costi di gestione? Qual è la specificità delle singole sedi
in una logica di "piano regolatore" dello spettacolo cittadino?
Per quanto riguarda la musica, a Torino abbiamo il Teatro Regio con la sala grande e piccola, il Conservatorio, l’Auditorium Rai e l’Auditorium del Lingotto. In occasione delle Olimpiadi abbiamo riqualificato il Conservatorio che adesso è all’onore del mondo. La RAI ha concluso i lavori di ristrutturazione del suo Auditorium, che ha riaperto i battenti dopo otto anni di chiusura. Per due domeniche consecutive le porte sono rimaste aperte ai cittadini: sono riusciti ad entrare 12.000 persone per ciascuna domenica e hanno vissuto per più di otto ore per volta in compagnia della musica classica. Questo per sottolineare quanto i cittadini aspettavano la riapertura dell'Auditorium RAI. Fortunatamente oggi disponiamo di tutti i nostri spazi per la musica, anche se non c'è stata alcuna moltiplicazione degli spazi musicali. Ciò che è importante a Torino è che esiste un’associazione chiamata Sistema Musica che riunisce tutte le realtà musicali di un certo peso (Settembre Musica, Orchestra RAI, Lingotto Musica, Regio, Unione Musicale, Conservatorio, Filarmonica di Torino, Stefano Tempia eccetera) e che si rapporta con il coordinamento che tutte le altre hanno messo in piedi. Ogni mese esce una rivista che presenta congiuntamente tutta l’offerta musicale ma anche i dibattiti in corso, i progetti nuovi rivolti soprattutto al pubblico giovanile e così via. La “regolazione” del lavoro e dell’offerta musicale ha quindi una sua precisa struttura di riferimento nell'associazione Sistema Musica.
Per quanto riguarda il teatro, quando ho iniziato questo lavoro la situazione vedeva il TST disporre di sole due sale entrambe antiche: il Carignano con 600 posti e il Gobetti con meno di 200. Per gli spettacoli più grandi doveva affittare dai privati l’infelice sala dell’Alfieri. Solo pochissime tra le altre numerose compagnie operanti a Torino disponevano di sale, ricavate per lo più da spazi parrocchiali. La situazione era disperata. La richiesta più forte proveniente da tutto il sistema teatrale fu non solo di mettere a disposizione nuove sale ma soprattutto di creare spazi di nuova concezione e cioè “parallelepipedi neri, vuoti, con graticcia su tutto il soffitto e tribune a scomparsa in modo da poterli usare per qualsiasi necessità” (parole dei richiedenti). Il Comune di Moncalieri aveva utilizzato fondi europei per ricavare spazi per spettacolo dalle ex Fonderie Limone: una sala grande con 500 posti e una piccola con 150 del tipo sopra descritto, con laboratori e foresteria. Per poterlo utilizzare, quello spazio è entrato a far parte della Fondazione Teatro Stabile portando in dote le Fonderie Limone che hanno subito ottenuto un grandissimo gradimento da parte del pubblico (lì è stato collocato Il silenzio dei comunisti e verrà riproposto Lo specchio del diavolo, entrambi del Progetto Domani). Il TST aveva intanto ristrutturato l’ex cinema Astra, ricavando una sala del tipo di cui sopra con 400 posti, che è stata inaugurata con la trilogia della guerra di Bond per il Progetto Domani; diventerà il punto di riferimento principale per la danza e per spettacoli teatrali interdisciplinari, cioè fortemente collegati alla danza, alla musica, al nuovo circo. Per un colpo di fortuna inoltre siamo stati omaggiati da Zara di una nuova centralissima sala di 180 posti realizzata allo scopo di poter usare a suoi fini commerciali l’ex Cinema Vittoria senza bisogno di una variante urbanistica. In questo caso si tratta di una sala vera e propria, però totalmente smontabile: il Progetto Domani vi ha collocato Biblioetica, un percorso aperto a diverse soluzioni, a scelta del pubblico. Il destino del Teatro Vittoria è il teatro “da camera” e tutto ciò che ha a che fare con il reading, gli incontri con i filosofi, con gli scienziati e così via. Provvisoriamente sono stati utilizzati spazi nella Cavallerizza Reale che stanno ospitando soprattutto teatro di impegno sociale. Infine è stata portata a compimento la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, in zona stadio olimpico, che è bellissima e ha iniziato trionfalmente la sua attività gestita dalla Fondazione che riunisce il Teatro dell’Angolo e altre quattro compagnie del settore. Ci manca ancora una sala da 1000 posti che verrà ricavata nel Teatro Nuovo che Torino Spettacoli (teatro stabile privato) è in procinto di restituire al Comune. Questi nuovi spazi sono a disposizione sia del TST sia di tutte le altre compagnie (più di 40) che sono coordinate dall’AGIS e che fanno parte del STT (Sistema Teatro Torino): si tratta di un tavolo dove sono presenti anche le istituzioni e il TST. Il STT, grazie a un sistema di convenzioni con le sale private (tra cui vanno citate l’Espace gestito dal CSD di Beppe Bergamasco e Ulla Alasjarvi , il Teatro Agnelli di Assemblea Teatro e l’Officina CAOS di Boccaccini alle Vallette) e alla disponibilità di quelle citate, è riuscito a dare una casa a tutte le compagnie e ad accogliere anche quelle nuove, che sono per noi la prospettiva per il futuro. Inoltre è riuscito a favorire la co-produzione dei progetti più interessanti. Mentre cinque anni fa c’era la guerra tra TST e il resto del teatro torinese e tutti passavano parte del loro tempo a polemizzare, oggi c’è una situazione più tranquilla che vede il TST supportare in molti modi il resto del teatro torinese anziché starsene chiuso nel suo comodo castello; e vede il resto del teatro torinese produrre molto di più che nel passato. Non tutti i problemi sono risolti, ma una cosa è certa: il teatro a Torino è tornato a essere molto vivo, a interessare i giovani, a parlare dei fatti che interessano la gente. Il STT presidia costantemente la “regolazione” di ciò che succede; non vedo quale ulteriore piano regolatore sia necessario. Per quanto riguarda le risorse finanziarie, innanzitutto è stato messo al centro del tavolo permanente del STT tutto ciò che le tre istituzioni, le due fondazioni bancarie, il Ministero destinano al teatro torinese non stabile. Lo Stabile a sua volta ci ha messo del suo sia come denari sia come servizi. Così ogni anno è stato possibile ottimizzare le disponibilità e sostenere i nuovi progetti più interessanti. Ovviamente alcune compagnie vorrebbero di più e non è stata completamente superata la sensazione che il TST operi in una situazione di privilegio rispetto agli altri. Sarà comunque difficile superarla anche in futuro, specialmente da parte delle altre realtà teatrali. Ma non c'è dubbio che sia stata imboccata la strada della cooperazione e dello sviluppo.
Abbiamo già aperto il confronto in vista di una diversa impostazione per il prossimo futuro. Per far fronte agli ulteriori probabili sviluppi del sistema sarebbe bene individuare un certo numero di poli (esempio: Assemblea Teatro a Mirafiori, Caos alle Vallette, l'Espace di Bergamasco in Vanchiglia, la Casa in zona S. Rita ecc.) e creare un tavolo per ognuno che “regoli” l'attività di quelle compagnie che vi si sono aggregate. Lo Stabile verrebbe perciò “utilizzato” dai capifila dei poli e non direttamente da ciascuna compagnia. Si richiede ovviamente una presa di responsabilità forte da parte dei suddetti capifila che dovrebbero pensare non solo per sé ma anche per la “famiglia” delle altre compagnie accasate presso di loro.
GLI SPAZI, LO STABILE, IL REGIO E LE COMPAGNIE
La maggior parte dei nuovi spazi sono stati realizzati da (o affidati a) Stabile e Regio. E'convinto di questa scelta e ritiene vada perseguita anche in prospettiva?
Nessun nuovo spazio è stato affidato al Regio, al quale manca da sempre una sala prove per l’orchestra: speriamo di poterla ricavare dalla Cavallerizza quando finalmente il Demanio ce ne venderà una parte. Il TST gestisce tecnicamente (oltre a Carignano e Godetti) le Fonderie Limone, il Teatro Astra, il Teatro Vittoria e gli spazi provvisori della Cavallerizza, ma come ho detto tutto il STT ne fruisce.
Nel documento sull'attività del Comune del dicembre 2005 lei respinge con decisione la critica secondo cui si metterebbe troppo potere nelle mani dei due enti (ma ci è sembrato di cogliere qualche sfumatura fra Regio e Stabile, cioé fra attività teatrale e musicale). Non pensa che questi due enti rischino di essere eccessivamente connotati per funzioni di servizio e perdere una propria fisionomia e funzione artistica? O che alcune fra le numerosissime compagnie presenti in città, alcune potrebbero assumersi anche compiti gestionali con minori costi e favorendo la specializzazione degli spazi (e il rafforzamento delle compagnie)? La sua politica nei confronti delle compagnie andrà anche in questa direzione di "stabilizzazione attiva"?
E a proposito dell'"eccessivo potere" (e mi riferisco in particolare allo Stabile): credo che il suo ragionamento sia corretto e condivisibile quando fa riferimento a politiche pubbliche che trovano negli organismi pubblici un braccio esecutivo. Ma non pensa che scelte come quella del "Sistema Teatrale Torino", che costringe tutte le compagnie a rapportarsi anche in termini di contenuti con lo Stabile, porti le compagnie stesse a una mortificazione della propria autonomia progettuale (dal punto di vista organizzativo e artistico) e anche a forme di "autocensura"?
Quando si pongono i problemi in questo modo è perché non si conoscono o non si vogliono conoscere due fondamentali presupposti. Il primo riguarda l'aspetto finanziario. Come è noto i bilanci di spesa corrente ogni anno vengono drasticamente ridotti, non credo soltanto a Torino. Perciò tutte le principali istituzioni culturali (Teatro Regio, TST, Musei civici, Museo del Cinema, Museo dell'Automobile, Film Commission eccetera) si sono trasformate in associazioni o fondazioni che vengono sostenute anche dalle fondazioni ex bancarie e da altri sponsor privati e possono essere sostenute dalle pubbliche istituzioni tramite la creazione di fondi di dotazione parzialmente disponibili. Per creare fondi di dotazione gli enti pubblici possono utilizzare il bilancio degli investimenti che ha meno vincoli di quello di spesa corrente. Il che significa che soltanto tramite Regio e Stabile sia il Comune sia la Regione sono in grado, di questi tempi, di sostenere attività come quelle di cui stiamo parlando. Se ci rapportassimo direttamente alle compagnie tramite contribuzioni dovremmo usare risorse correnti che non ci sono. Ma il secondo presupposto è ancora più importante. Gli statuti delle nostre due principali istituzioni teatrali, in particolare quello del TST, dicono esplicitamente che tra i loro compiti c'è anche quello di promuovere e sostenere l'attività del territorio. Io tengo molto a questo principio. Non ho mai accettato lo stereotipo che i teatri pubblici siano dei corrozzoni mangiasoldi che pensano solo ai loro interessi e che, in particolare, servono soltanto a soddisfare i “capricci” dei loro direttori artistici. Questi ultimi non devono sentirsi dei privilegiati, ma degli operatori impegnati a difendere l'interesse pubblico. Se noi lasciassimo che i teatri pubblici si limitassero a fare le loro produzioni, con quali strumenti gestiremmo tutto ciò che non è teatro pubblico? Quali progetti dovremmo scegliere e quali scartare? Chi deciderebbe: l'assessore in persona, i suoi uffici? Sulla base di quali professionalità? O dovremmo forse mettere in piedi un'altra struttura (lo Stabile 2, come qualcuno ogni tanto chiede) con tanto di direttore artistico e relativi uffici? Non c'è altra strada, sia per motivi finanziari sia per motivi politico-organizzativi, che quella di ragionare in termini di concertazione tra istituzioni, teatro pubblico e compagnie private. Il fatto che il direttore del teatro pubblico sia un elemento del sistema da attivare in fatto di qualità dei progetti mi pare del tutto corretto. Se non lo facesse lui, lo dovrebbe fare qualcun altro. Chi? Non si possono sostenere tutti i progetti che vengono in mente alle compagnie: se si deve scegliere, la competenza del direttore del TST è una risorsa da spendere non tanto per dire sì o no a progetti già definiti, quanto per dialogare preventivamente. Se non ha la competenza e la saggezza necessarie, allora si cambi direttore artistico; non ha senso crearne un altro con il ruolo di rapportarsi allle compagnie. Ovviamente il teatro pubblico deve stare onestamente al gioco, altrimenti non va bene. Ma oggi i teatri pubblici sono fondazioni i cui soci fondatori sono le istituzioni. Se non sanno stare al gioco la responsabilità è delle istituzioni, non dei presidenti e dei direttori dei teatri pubblici. Sono le istituzioni che devono scegliere presidenti, consigli e indirettamente direttori capaci di far funzionare i teatri pubblici senza costringere le istituzioni stesse a mettere in piedi altre organizzazioni teatrali parallele o magari concorrenti per completare o correggere il loro operato. Nel caso specifico di Torino, mi pare davvero una forzatura parlare di mortificazione dell'autonomia progettuale delle compagnie: ve lo vedete Le Moli che mortifica i Marcidos?
Svincolare il "sistema" dallo Stabile non porterebbe a una maggiore vivacità e dinamicità e non renderebbe più efficace anche il ruolo del Comune? Non mi sembra casuale fra l'altro che le compagnie si siano moltiplicate ma che siano prevalentemente subalterne, che ci siano pochissime realtà "forti".
Il ragionamento mi pare lamarckiano: la funzione sviluppa l'organo. In altre parole, se si facesse una politica diversa verrebbero fuori realtà “forti”. Come si sa è stata la teoria di Darwin a imporsi su quella di Lamarck: Darwin ritiene che l'adattamento all'ambiente non deriva da un'azione modificatoria dell'ambiente sulla specie ma dal fatto che la specie va a cercarsi l'ambiente migliore per le sue esigenze che sono intrinseche, derivate dalla natura profonda di ciascuna specie. Le realtà “forti” devono esserci prima di adattarsi. Il Laboratorio di Settimo è nato in un periodo estremamente più difficile di quello attuale ed è nato perché Gabriele Vacis ha saputo creare intorno a sé un gruppo dotato di una forte identità. In questo momento nel teatro torinese c'è grande fermento, come mai in passato. Continuamente compagnie giovani vengono supportate nella realizzazione di progetti nuovi. Non bisogna però esagerare: è necessario che i progetti nascano da necessità artistiche e morali, per voglia di realizzarli; in caso contrario verrebbero indotti dalla sola disponibilità finanziaria e risulterebbero forzati, appunto non “necessari”. Prima o poi nasceranno realtà “forti” grazie a personalità altrettanti “forti”. Se in questo momento non ci sono, non dobbiamo dare colpa allo Stabile e non dobbiamo neppure sottovalutare la quarantina di realtà esistenti che meritano tutto il nostro rispetto anche se non sono particolarmente eclatanti. Ammesso che non siano “forti” realtà come i già citati Marcido, o come Walter Malosti, Assemblea Teatro, il Baretti di Davide Livermore, Michele di Mauro, Beppe Rosso o la stessa Fondazione Casa Teatro Ragazzi e Giovani, erede del glorioso Teatro dell'Angolo.
LA FUSIONE TRA STABILE E REGIO
Se ne è parlato in questi mesi. Sulla carta l'idea sembra molto buona, e di sicuro innovativa nel sistema italiano. E' un disegno concreto? Quali obiettivi economico/organizzativi si pone? e da punto di vista artistico? Lei pensa che accorpare i due enti possa effettivamente consentire economie di scala? Personalmente ho avuto contatti con diversi teatri nazionali dell'est che per tradizione riuniscono in un solo ente teatro, opera balletto e ho sentito più di un sovrintendente criticare questo sistema, imputando a questa "grandezza" problemi burocratici, sindacali, economici, appesantimenti gestionale.
Sono convinto che non abbia nessun senso creare una fondazione unica per la prosa e la lirica soltanto per motivi economici o organizzativi. La proposta d'altra parte non è venuta dalle istituzioni, ma dai due teatri e in particolare dai due direttori artistici, Tutino e Le Moli. Sono loro che sentono la necessità di abbattere le barriere espressive che oggi spaccano il teatro: la musica da una parte e la parola dall'altra. Quando si vuole innovare, quando si vuole tornare in mare aperto, quando si vogliono aprire le finestre per fare entrare aria nuova è sempre opportuno tornare alle origini, ripensare nel nostro caso a quando e a come è iniziata la storia di quello che chiamiamo teatro. Questo era innanzitutto una priorità sociale, non un intrattenimento per il tempo libero. I greci, quando arrivavano in una nuova località della Sicilia o della Calabria, prima di ogni altra cosa cercavano il posto per costruirci il teatro: prima il teatro e poi le case. Perché? Perché in quel luogo si teneva insieme la comunità e lo si faceva non con delle lezioni cattedratiche o dei comizi politici ma attraverso le forme di comunicazione specie-specifiche (come direbbe Chomsky) dell'uomo: la narrazione di storie, la musica, la danza in luoghi di superba bellezza, al passaggio tra il giorno e la notte, usando fuochi, maschere, immagini fortemente colorate. La specie umana è fatta così: reagisce a questi stimoli e allora quando la vogliamo impressionare dobbiamo usarli tutti insieme. Bisognava, all'origine, che le persone uscissero dal teatro diverse da come vi erano entrate e che portassero a lungo con sé le cognizioni/emozioni che là le avevano fortemente colpite. Non mi pare strano che oggi si desideri ritrovare un senso al teatro e ci si ribelli all'idea che venga relegato tra le forme di intrattenimento per il tempo libero. Per ritrovare quel senso mi pare logico che si cerchi di creare una nuova situazione di partenza che non si ponga barriere, steccati, confini prima ancora di cominciare. Abbiamo la possibilità a Torino di creare una struttura che si occupi contemporaneamente di quelle cose che oggi si chiamano lirica, prosa, danza, musica colta e, cosa ancora più importante, anche di tutto ciò che può interconnettere tra di loro queste diverse forme di espressione mettendosi così in sintonia con ciò che si va sperimentando oggi nel mondo delle arti performative, senza chiedersi a priori in quale casella inserire ogni nuova creazione. O questo ragionamento ha senso o se no, almeno per quanto mi riguarda, non starò certamente a perdere tempo nell'inseguire una nuova formula organizzativa priva di contenuto. Se invece il progetto culturale risulterà fondato, non credo che si incontreranno particolari difficoltà a realizzarlo. Abbiamo alle spalle la creazione della Fondazione Torino Musei, che ormai da quattro anni gestisce in modo unitario i diversi musei civici (il Museo di Arte Antica di Palazzo Madama, la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, il Borgo Medioevale, il Museo d'Arte Orientale), ognuno dei quali aveva un suo direttore e una sua struttura consolidata negli anni. Non solo si sono razionalizzate le strutture gestionali ma si è aperto un discorso culturale completamente nuovo che non ha steccati predeterminati al suo interno. Un unico teatro pubblico capace di elaborare al suo interno progetti aperti e innovativi e di offrire al pubblico un cartellone dove siano presenti ovviamente prodotti tradizionali appartenenti alle diverse categorie ma anche operazioni capaci di antemporre il senso e la funzione sociale e umana del teatro al fatto che si debba necessariamente procedere come si è sempre fatto, per la semplice ragione che si è sempre fatto così, mi parrebbe davvero una bella e buona cosa.
IL FESTIVAL EUROPEO (E I FESTIVAL IN GENERE)
Quale è il suo parere sulla costituzione della nuova fondazione per un festival europeo? Se ne sentiva la necessità?
Noi del Comune non ne sentivamo la necessità, ma siccome l'ha sentita la Regione Piemonte - “che è una regione d'onore” - non vedo perché si debbano avere delle remore. La Regione Piemonte ha bisogno di vivificare tutto il territorio di sua competenza e non solo quello della capitale. Il fatto che collochi in una delle province, per poi coinvolgere anche le altre, non un'esperienza teatrale qualsiasi ma un teatro che guarda all'Europa, che favorisce la circolazione di produzioni provenienti dagli altri paesi, che punta a linguaggi teatrali di facile comprensione malgrado l'ostacolo linguistico, sempre presente nel teatro di prosa, mi pare del tutto positivo. Da parte nostra siamo contenti che nel frattempo il TST sia entrato a far parte dell’Unione dei Teatri d'Europa, perché questo certamente porterà a Torino importanti spettacoli provenienti da altri paesi europei, faciliterà le coproduzioni e faciliterà la ricerca di nuovi orizzonti, quali quelli di cui prima ho parlato a proposito di teatro pubblico unitario. Siamo contenti inoltre che il Festival delle Colline inviti sempre di più durante l'estate spettacoli provenienti da altri paesi e siamo anche contenti che la Casa Teatro Ragazzi e Giovani abbia un taglio fortemente internazionale, dovuto al fatto che soprattutto il Teatro dell'Angolo ha sempre prodotto pensando all'export. Questo ha non solo reso remunerativo il loro lavoro ma ha anche indirizzato la ricerca verso linguaggi e formule nuove rispetto a quelli della prosa tradizionale. Siamo sempre lì: se cerchiamo di abbattere gli inutili steccati che si sono creati nel tempo abbiamo più possibilità di pensare a mente sgombra a come meglio inserire il teatro nella vita e negli interessi degli esseri umani.
Come dovrà rapportarsi a suo avviso questo nuovo ente con il Festival delle Colline?
Si tratta di due cose diverse: la regionale Fondazione Teatro Europeo avrà sede ad Alessandria e svolgerà un'attività permamente. Il Festival delle Colline si tiene tra giugno e luglio a Torino e sulle sue colline. Non vedo particolari necessità di collegamento se non quelle che fanno parte organica nel modo di operare del sistema culturale torinese.
Con la costituzione della Casa, Torino si rilancia come capitale del teatro ragazzi. Anche se non mancano gli scambi internazionali, pensa che questa vocazione dovrebbe concretizzasi anche in una rinascita del festival internazionale dedicato al settore?
Come ho già detto, il teatro ragazzi torinese circola molto nel mondo e quindi, nella logica dello scambio che è molto presente in questo settore, ha sempre ospitato numerosi spettacoli stranieri. Se la Casa, che è gestita da una Fondazione della quale non fanno parte le istituzioni e alla quale il Comune ha dato in concessione la nuova struttura, vorrà fare un festival annuale o biennale di teatro internazionale, o se preferirà invece ospitare durate l'anno spettacoli provenienti da fuori, non lo so. Da parte nostra c'è la massima fiducia nei confronti della Fondazione e non abbiamo motivo di insistere con loro né in un senso né nell'altro. Di tutti i nuovi spazi per la cultura che si sono aperti in questi anni a Torino, la Casa del Teatro Ragazzi è certamente quello che mi entusiasma e mi commuove di più.
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Le recensioni di ateatro: Gli uccelli volano sempre alto La rivoluzione tradita da Aristofane a Lombardi-Tiezzi, passando per Brecht e Pasolini di Andrea Balzola |
Grazie all’arte e all’intelligenza di Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, e della loro eccellente compagnia, il capolavoro di Aristofane, uno dei massimi modelli dell’apologo comico nella tradizione teatrale occidentale, torna a sbattere le sue ali profetiche in faccia al pubblico nostrano. Un pubblico frastornato dalla campagna pre e post elettorale più inquietante della storia recente.
La coincidenza non è naturalmente casuale. Il contenuto del testo di Aristofane si potrebbe riassumere assai brevemente in questo: desiderio di una vera e libera democrazia, incapacità dell’uomo di “essere all’altezza” (nel senso simbolico e letterale del termine) dei suoi desideri. Nella loro rivisitazione del teatro classico ( è recentissimo il loro Antigone sofocleo), Lombardi e Tiezzi hanno voluto affrontare il registro comico scegliendo una chiave drammaturgica brechtiana, sottolineata anche dal sottotitolo “dramma didattico”: si trattava di attualizzare il copione antico concentrandosi sulla sua efficacissima sostanza e ripulendolo da tutti quei riferimenti alla politica ateniese che sono inavvertibili e criptici per gli spettatori di oggi. Aggiungendo a questo un nuovo gioco di connessioni alla storia recente o recentissima, mediante riscrittura e integrazione di alcuni dialoghi e creazione di siparietti o interventi brechtiani (degli attori stessi o del musicista presente a lato della scena) che reinventano anche le funzioni del Coro.
Un lavoro drammaturgico a cui si è dedicato con la consueta profondità e perizia Sandro Lombardi, adattando l’ottima traduzione di Dario Del Corno. Poi, nella messa in scena diretta da Tiezzi, questa rigorosa ossatura ha preso corpo e indossato molteplici abiti che riflettono la formazione e la sensibilità artistiche degli autori , ma anche la stratificazione interpretativa (e qui va segnalata l’importanza della cultura filologica nell’adattamento drammaturgico) che si è depositata sul testo nel corso del tempo.
Come ricorda lo stesso Lombardi, su Gli Uccelli si erano cimentati Wagner, che lo studiò preparando i Maestri Cantori di Norimberga, e Mozart, che ne trasse una diretta ispirazione per il suo Flauto magico, riproducendone il rarissimo connubio tra leggiadria teatrale e acutezza filosofica. Anche le scene di Pier Paolo Bisleri riflettono sul piano iconografico questo spirito filologico, rielaborando paesaggi naturali e noti dipinti rinascimentali delle città utopiche, così come gli sgargianti costumi di Giovanna Buzzi sintetizzano in chiave fantastica motivi orientali e occidentali, valorizzando la dominante rossa che poi esplode emblematicamente nello sventolio di bandiere portate dal Coro operaio. Ma è soprattutto nell’intensità della recitazione, sempre brechtianamente sospesa tra dentro e fuori, tra sottotesto drammatico, registro comico e rilettura colta dell’avanspettacolo nazionalpopolare, e nelle sue sofisticate modulazioni vocali e musicali che lo spettacolo seduce e sorprende per la sua forza. Il protagonista Pisetero (in greco Peiseteros, cioè “persuasore”) e la sua spalla Evelpide sono l’indovinata reincarnazione della coppia pasoliniana Totò-Ninetto Davoli (dai film Uccellacci e uccellini e La Terra vista dalla Luna), con qualche traccia anche beckettiana (Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot) e mozartiana (Pamino e l’Uccellatore del Flauto Magico), affidata alla maestria metafisica di Lombardi e al pirotecnico vitalismo di Alessandro Schiavo.
Pisetero rappresenta la parabola negativa dell’idealista, per noi figli del Novecento tristemente nota, che si trasforma da rivoluzionario in tiranno, una metafora così limpida e atemporale in Aristofane che giustamente Lombardi e Tiezzi non hanno voluto caricare ulteriormente. Pisitero si allontana dunque con il compagno da una democrazia ateniese corrotta e burocratizzata per incontrare uno spirito umano libero divenuto uccello (l’upupa) che vive nella foresta, e apprendere da lui un altro modo/mondo possibile per vivere. Da questo incontro sorgerà nel protagonista l’idea di creare una nuova società, intermedia tra gli uomini e gli dèi, dominata dagli uccelli, veramente libera, democratica e felice, diventandone prima il leader maximo e poi il nuovo tiranno. L’incontro tra i due viaggiatori e l’upupa ex umana è uno dei momenti più divertenti ma anche più intriganti dello spettacolo, infatti l’interpretazione che Massimo Verdastro offre del piumato è straordinaria per la sua capacità di cogliere ironicamente, mediante la gestualità, i movimenti corporei e soprattutto la mimica facciale e l’uso degli occhi (che ricorda certo stilizzatissimo e magnetico teatro balinese), quell’essere ibrido tipico degli uccelli, che pare per certi aspetti e in certi momenti molto prossimo all’umano e poi improvvisamente, col movimento meccanico dell’occhio o del collo, segna la distanza incolmabile, enigmatica, di un altro universo. Una alterità comica ma anche inquietante, perfettamente modulata da Verdastro nella caleidoscopica vocalità, con la quale – usando anche la metrica del greco antico – imita il pennuto che chiama a raccolta tutte le varietà di uccelli per ascoltare il comizio rivoluzionario del suo ospite.
Vocalità ibrida tra umano e “uccellesco” (sono recentissimi gli sudi scientifici che dimostrano le similitudini anche grammaticali tra linguaggio umano e canto degli uccelli) che poi esplode polifonicamente nelle scene collettive del Coro, guidato da Silvio Castiglioni e dove spicca il carisma della grande Marion d’Amburgo, ma anche si apprezzano molto i virtuosismi delle giovani Clara Galante e Marta Richeldi. E qui, confluisce e assume nuove risonanze la sapienza e l’originalità di una ricerca che gli ex Magazzini conducono da sempre sul “linguaggio della recitazione”, come testimoniano anche le illuminanti pagine dell’autobiografia di Sandro Lombardi (Gli anni felici, Garzanti), che non si può mai affidare a modelli precostituiti ma deve trovare e rinnovare ogni volta una sua specificità, dove sottotesto simbolico, metrica e modulazione dei registri vocali, intonazione musicale, creano una tessitura di suoni e di sensi – quel raggiungere il senso attraverso il suono di cui parlava Valery – che assimila le lezioni dei migliori modelli interpretativi ma si smarca dalla loro retorica, che intreccia i generi senza confonderli. Negli “Uccelli”, Francesca Della Monica (illustre pedagogista della vocalità e storica maestra di canto della compagnia), su indicazioni e suggestioni di Tiezzi, elabora e reinventa magistralmente un complesso intreccio musicale tra le songs alla Brecht-Weill, l’Internazionale fischiettata, l’eclettismo di George Antheil, frammenti di Lennon e di Mozart, che raggiunge il suo climax nell’ardita composizione del Coro finale. Un altro momento particolarmente forte dello spettacolo è quello che vede, nella seconda parte, l’edificazione della nuova società utopica degli uccelli da parte di un Pisitero anch’egli ormai fregiato di ali, e si affacciano sulla scena, con ritmo incalzante le efficaci ed esilaranti performances (con espliciti echi cabarettistici, vedi Albanese & C.) di Leonardo Capuano e Ciro Masella, nei panni di truffatori, comunicatori, venditori di leggi e quant’altro, che come patetici vampiri si avventano sulla società nascente per succhiarne il sangue giovane e trarne profitto, senza però riuscire ad ingannare il ben più astuto re dei persuasori, Pisitero, che prima di cacciarli si prende gioco di loro. Ma, come ci insegnano Aristofane e la storia stessa, la più pericolosa corruzione è quella che proviene dall’interno, quel tarlo dell’ambizione e dell’avidità – ben nutrito dal potere - che rode poco alla volta la limpidezza degli ideali e delle buone intenzioni, la cui tragicomica fine è nella nostra “favola dimostrativa” quella che fanno i poveri pennuti ribelli, condannati da Pisitero allo spiedo. Una favola amara condotta da Tiezzi e compagni con esemplare leggerezza, che nella melanconia dell’inevitabile rovesciamento della speranza in delusione suggerisce anche l’impagabile ebbrezza che l’utopia dona agli uomini. Non vogliamo dimenticare infatti che non tutti i rivoluzionari sono diventati tiranni e che molti martiri delle idee (da Gandhi a Martin Luther King…) hanno lasciato con il loro passaggio impronte indelebili, e che come ricordava Deleuze le rivoluzioni non sono inutili perché falliscono ma sono necessarie nonostante il loro fallimento, il fallimento non ci condanna alla rinuncia ma condanna chi rinuncia al cambiamento. Altrimenti perché il teatro, che è intimamente morale (Brecht aveva ragione), dovrebbe ostinatamente tentare di redimere il mondo con le sue parodie dissacranti e le sue tragiche metafore se non credesse a un altro mondo possibile in questo mondo impossibile?
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Ubu incatenato di Roberto Latini in video Un'intervista con Pierpaolo Magnani di Anna Maria Monteverdi |
Sono rarissimi gli esempi di utilizzo della tecnologia motion capture nel cosiddetto “teatro di prosa”, essendo questa una modalità più frequentata dalla coreografia digitale o dalla cinematografia degli “effetti speciali”. Per sperimentare le potenzialità espressive del corpo in-macchinato (armatura esoscheletrica o meccanico-protesica di cattura del movimento) associato ai data glove, occorreva un artista davvero eclettico come Roberto Latini, riconosciuto talento del nuovo teatro di ricerca italiano. Latini è affiancato per questo Ubu incatenato (di cui si è ampiamente parlato su ateatro) da un creatore di elaborate partiture sonore come Gianluca Misiti, dall'interactive designer Andrea Brogi per gli ambienti e personaggi animati in 3D e dal videomaker Pierpaolo Magnani per i video in chromakey.
Latini incatenato a Ubu.
Piepaolo Magnani ha in seguito creato una videoopera autonoma e omonima che ricompone in una narrazione visiva carica e ingombrante e con un montaggio ritmico serrato, la complessa architettura scenica teatrale e la magistrale interpretazione a più voci di Roberto Latini nel suo Ubu incatenato e solitario in scena; il risultato è un video di 14 minuti che rilegge e reinterpreta lo spettacolo in modo coerente con lo “stile Fortebraccio”.
Pierpaolo Magnani nasce artisticamente come danzatore, per poi rimanere attratto alla metà degli anni Novanta dal video e dalle possibili interazioni che potevano realizzarsi con la danza. Tra i video Ipnotic carillon ('98), Il giardino del silenzio('99), Inferno bianco ('01), Anime in nero ('02);
Nel 1999 è tra i fondatori dell'associazione culturale dn@ con la quale sperimenta i modi d'interazione tra media digitali e teatro (gli spettacoli Buio del 2000 e In fieri del 2001 ne rappresentano i primi risultati).
Pierpaolo Magnani.
A partire dal 2001 ha collaborato con Andrea Brogi di XLAB e si è avventurato nel territorio della Motion Capture e ha esplorato le potenzialità creative della tecnologia “real time” a teatro. La prima esperienza di Magnani nell'utilizzazione della motion capture a teatro insieme a Brogi è con lo spettacolo Enigma in collaborazione con l’Accademia d'Arte Drammatica di Roma Silvio D’Amico, presentato qualche anno fa a San Miniato all'interno delle Giornate Internazionali sull'Attore, esperienza confluita poi nella tournée Mutatas Dicere Formas.
Nel 2002 dirige due progetti CEE con oggetto la sperimentazione dell'accesso dei non udenti rispettivamente alla fruizione ed alla partecipazione diretta al teatro.
Quali materiali dello spettacolo Ubu incatenato hai usato e come hai pensato di rendere la complessa tecnologia real time della scena in video?
La decisione operativa sull’approccio e sulle modalità tecniche di realizzazione video come rilettura dello spettacolo teatrale di Latini Ubu incatenato, è venuta dopo la visione dello spettacolo. Avevo già collaborato all’allestimento della stessa opera teatrale, realizzando alcuni clip che vengono proiettati durante lo svolgimento dello stesso e girati in blue screen.
Alla prima visione dello spettacolo ebbi un momento di smarrimento; mi resi conto infatti che sarebbe stato difficile realizzare un video di 10 o 20 minuti, che potesse esprimere in modo sensato la drammaturgia di questo intenso one man show che durava un’ora e 20 minuti allestito per giunta in una scena strutturata in orizzontale su tre schermi con proiezioni eterogenee e continue per tutto lo svolgimento dello spettacolo! L'impressione è quella, in qualche modo, di assistere ad una sorta di "videoclip live", ed il rischio per una trasposizione video, è quello di realizzare un duplicato di quegli stessi video che vanno in scena, ritagliandoli magari qua e là ma privo del pathos della rappresentazione dal vivo e comunque completamente decontestualizzati.
A questo punto la decisione è stata quella di individuare cinque, sei snodi drammaturgici fondamentali insieme ad alcuni oggetti cardine della vicenda che riimandavano a un significato altro (la lavatrice: il turbine interiore) e ricostruire la vicenda "in profondità", sia dal punto di vista compositivo dell'immagine, sia dal punto di vista del percorso interiore che effettua il personaggio durante la storia, che è il vero tema dello spettacolo.
In questo senso l'uso creativo del croma key "in abisso" come lo definisco, è stato fondamentale. Si può far scomparire una semplice porzione di una immagine creando una finestra su un altra scena o su di un immagine che si trova su di un livello retrostante... e così via, in una sorta di immagini in abisso, che vengono a svelarsi l'una all'interno dell'altra. Questo consente una ricomposizione dei piani che da uno sviluppo orizzontale come è dato sulla scena, possono essere sviluppati in verticale, o meglio in profondità, in abisso appunto. Ogni immagine contiene la successiva ed è contenuta dalla precedente.
Da questa possibilità, usata in modo creativo, nasce una diversa frontiera di scrittura drammaturgica del video che poggia in modo pregnante sull'aspetto compositivo dell'immagine.
Latini-Ubu visto da Onofrio Catacchio.
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Piccolo trattato di Sistematurgia A proposito del Disegnatore di Marce.lí Antunez Roca |
Questo testo è il prodotto di alcune riflessioni su Il disegnatore, un film documentario di 60 minuti che riassume la mia carriera artistica. Questo testo trascrive alcune idee che, al giorno d’oggi, sono il motore del mio lavoro.
La mia biografia artistica può essere ordinata in due grandi periodi. Il periodo dei lavori collettivi, nei quali ricoprivo il ruolo di fondatore, attore, musicista e coordinatore del gruppo La Fura dels Baus, collaboravo con il gruppo musicale Errore Genetico e l’Art Total Grup Los Rinos. Sono lavori che occupano tutta la decade degli anni Ottanta. Poi un secondo periodo, come Marce.lí Antunez Roca, che comprende tutti gli anni Novanta sino a oggi, che si caratterizza per l’utilizzo di alcuni elementi tecnici e scientifici e che ha dato come risultato, tra le altre, queste opere teatrali: Il robot Joan l’home de carn 1992, la performance interattiva Epizoo 1994, le performance meccatroniche Afasia 1998 e Pool 2002 e le installazioni Rèquiem del 1999, Metzina e Tantal, entrambe del 2004.
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Quando analizzo il mio lavoro lo faccio muovendomi dal presente verso il futuro. Ho il sospetto che una parte del mio lavoro consista nel rendere visibile quello che non si può vedere, quello che ti piacerebbe vedere, quello che intuisci. Ho sempre mantenuto viva questa pulsione e lo faccio ancora adesso. Dev’essere questo istinto che mi ha predisposto ad aprirmi verso altri orizzonti. Attualmente quest’attitudine è filtrata dal proposito che mi ha lasciato l’esperienza. Guardando al passato percepisco che molte delle cose che ho fatto sono il prodotto dell’impulso dell’età giovanile: indotte dalla necessità di cominciare di nuovo e di dimostrare, così facendo, il mio valore; provocate per riconoscermi come autore, al di là dei progetti collettivi e delle colleborazioni. E, come ho detto, sospinte dall’intuizione. Oggi, sebbene questo impulso sia ancora molto vivo, le cose hanno acquisito un ordine, le esperienze accumulate hanno un nome: strada, universo, favola.
Strada. Nel senso di lavorare in un direzione, seguire un percorso, una traiettoria. Nel senso dell’artista che ricerca, persegue degli obbiettivi e cerca nuovi orizzonti. Vuol dire, in un certo modo, dar forma alla tua volontà.
Universo. Costruire una cosmogonia. Non forzosamente, ma come una riproduzione del mondo fatto a tua misura. Credo che questo lo dia la continua pratica: a poco a poco raccogli gli elementi che configurano il tuo cosmo. Le ossessioni acquisiscono una forma e vanno a costituire il tuo universo.
Favola. Sul come spiegare le cose. Accettare la narrazone come una delle forme per esporre il lavoro. Far indossare all’opera il cappotto della favola. Così, due dei miei lavori più recenti, le installazioni Tantal e Metzina, possono essere letti come due piccole favole.
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Orizzonti. L’orizzonte della mia carriera professionale è esplorare la natura umana e la sua relazione con il mondo che ci circonda. Vuol dire sia quello che abbiamo in quanto animali: il sesso, lo scorrere del tempo, la morte... sia quello che abbiamo in quanto esseri culturali, intendendo la cultura come un’interfaccia che ci permette di capire il mondo e farlo crescere.
Il mio universo si è ampliato con gli elementi che mi affascinano. È sicuramente il mondo che mi piacerebbe vedere. Un mondo popolato da macchine biologiche, da forme che mutano e si trasformano, da oggetti vagamente sessuali... tutto ciò visto in modo poetico e ironico. L’ironia è uno degli elementi che si sono installati nel mio universo; mi piace. L’ironia interroga le affermazioni categoriche, il nichilismo ossessivo della violenza, l’indecenza della sessualità, converte le cose prevedibili in imprevedibili, rompe i generi, apre alla narrazione nuove strade, conferisce dignità a un discorso.
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Professione. Quando mi si associa, secondo i canoni del mio paese, al mondo del teatro, mondo che non nego ma al quale non appartengo, penso sempre ai registi teatrali che copiano un po’ di qua un po’ di là e così realizzano la propria messa in scena. Io non faccio queste cose, non lavoro né come regista né come attore, anche se di tanto in tanto mi riconosco in questi ruoli. Non sono un interprete, cerco di essere una persona che esplora, analizza il mondo e che per questo motivo diventa artista, autore e tutto quello che è necssario.
Il mio percorso di lavoro ha seguito un’orbita strana. Non mi piacciono i convenzionalismi, quasi sacri, che ti obbligano a seguire le norme dell’arte, del teatro, del cinema... preferisco concepire l’arte come un territorio aperto, fluido, libero.
Ma non per questo sono un essere poco socievole, completamente chiuso in me stesso. Al contrario, il mio lavoro si sviluppa in gran parte pubblicamente, con me presente di fronte alla gente.
Nonostante questo la mia opera circola in mercati eccentrici. Penso dipenda dalla società nella quale io vivo, una società che ha tendenze classiche, con patrocinatori storici, ossessionata dalla conservazione del patrimonio. Una società che sceglie di appoggiare le industrie culturali invece della cultura, che preferisce gli attori della televisione ai creatori con buone idee, che intraprende un lavoro di revisione sui suoi artisti quando è ormai troppo tardi o quando sono già morti, che sostiene delle scuole superiori di teatro isolate e chiuse a qualsiasi novità...
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Metodi. Lavorare con la tecnologia ha cambiato il mio modo di produrre. Quello che nel periodo dei miei lavori collettivi era un testo aperto, o delle discussioni attorno a un tavolo, o delle improvvisazioni di azione e musica, adesso è pianificazione, costruzione di prototipi, strumenti, tecnologia. Come ottenere che le casualità fluiscano e il processo creativo si mantenga aperto fino alla fine?
Per ottenere questo utilizzo il disegno. Lo straordinario alfabeto del disegno mi permette la materializzazione concettuale di qualsiasi cosa e il suo tratto leggero permette qualsiasi modifica. La mia pratica tecnologica ha dato come frutto la Sistematurgia. La sistematurgia è il metodo che oggi io utilizzo per produrre ed eseguire gran parte delle mie performance e delle mie installazioni. La sistematurgia riproduce e amplifica l’ambito tecnico che ha origine attorno a un qualsiasi computer: interfaccia, CPU e periferiche. In modo che nella sistematurgia le interfacce trascrivano i comandi degli attori e degli spettatori nel linguaggio binario del computer che li gestisce e si palesa attraverso i mezzi di rappresentazione come l’immagine, il suono e i robots.
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Carne, biologia, organismi. Mio padre, quando era ancora molto giovane, è stato ferito in faccia da un proiettile di mitragliatrice e ha perso l’occhio destro. Accadde durante la guerra civile spagnola. La faccia gli è rimasta mutilata e l’occhio che avava perso è stato sostituito con uno di vetro che restava sempre aperto, come quelli delle bambole. Sono figlio di macellai e credo sia facile immaginare come l’infermiera che salvò la vita a mio padre abbia ricostruito la sua faccia ricucendola. La guerra civile fu nefasta.
E’ logico che uno dei sogni più ricorrenti per molto tempo fosse la ricostruzione di un corpo umano partendo da pezzi di maiale nell’opificio della mia casa di famiglia, Cal Maties. L’infanzia è un libro aperto per tutto il corso della vita e una fonte alla quale ci si abbevera sempre.
Adesso penso a quanto è stata diversa la mia infanzia da quella delle persone che sono cresciute in città. Quelli di paese, tutti quelli della mia generazione e forse anche i bambini d’oggi, siamo nati in un remoto secolo XIX. Sicuramente ricordo la tv in bianco e nero, i primi passi dell’uomo sulla Luna, l’ascolto attento dei dischi dei Beatles e dei Rolling Stones appena usciti sul mercato, ma gli animali da monta procedevano ancora lungo le strade e i rituali religiosi e pagani della mia piccola collettività erano così sentiti che vivevo in un tempo arcaico.
Credo che lavorare con gli strumenti del XXI secolo nella prospettiva di uno che ha vissuto come nel XIX secolo produca questa scala di contrasti nel mio lavoro. Una mescolanza cruda, esplosiva e in certi casi primitiva, che per me è normale.
Provo un’a’ttrazione viscerale verso la natura. La natura sarebbe il mio Dio. Io sono un panteista che a ogni fatto naturale fa corrispondere un suo valore sacro. È così. Sono così per via delle pecore, del cortile, della stalla dei maiali, dei sacrifici dei capretti, del parto delle scrofe, dell’odore dei boschi, delle cose delle mule, dei funghi in autunno, dei bagni nel fiume... e questo fascino dell’infanzia è cresciuto e si è sviluppato in altri ambiti, dalla prospettiva scientifica, da quella della coltivazione degli alberi, della biologia, dei microbi... cavolo! La vita è affascinante, non ha mai fine.
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Macchine. Sarà il risultato dei giochi meccanici della mia infanzia. Una cosa tipicamente maschile, automobili, bricolage, motore, biciclette. O perché no, l’immagine dell’inventore, quello capace di costruire cose che non esistono, di fabbricare meccanismi che si possono muovere. Nella mia cittadina personaggi di questo tipo erano miti della memoria popolare. Può anche essere che sia lo specchio del proprio organismo con quest’indiavolata capacità che hanno le macchine di non fermarsi, di superarci, di emulare la vita. Ho il sospetto che sono tutte queste cose assieme ad avvicinarmi alle macchine.
Però, a prescindere dal fatto che le macchine si siano incorporate al mio lavoro, non è La Macchina la mia opera. Sono, in realtà, una parte del tutto.
Io non costruisco le mie macchine, a volte le immagino, le concettualizzo e le faccio costruire, altre volte le incorporo a guisa di una finestra aperta a collaborazioni con altri creatori. Ritengo che non sia facile costruire delle macchine, dei robot, tanto più queste aggiungono grande valore alle mie opere.
Le macchine appaiono per la prima volta nel mio lavoro con Los Automatic nel 1987, automatismi musicali concepiti come il prologo e l’epilogo della performance Suz/o/Suz della Fura dels Baus. Sono stati la miccia di uno scoppio meccanico che sino ad oggi ha avuto molteplici forme per rivelarsi.
Il Robot JoAn? Nasconde la sua natura meccanica sotto la carne come un falso umanoide. E l’ortopedia Epizoo inverte questo concetto posizionando la macchina sul proprio corpo che si converte così in un falso meccanismo. Questa forma di ortopedia parassita, “parassiteboz” come io la chiamo oggi, è uno degli elementi più inquietanti delle mie opere.
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Sessualità. La sessualità non è una cosa delimitata, rinchiusa dentro a uno specifico sistema riduttivo. E’ un’attività acuta che si estende a tutti gli ambiti della nostra esistenza. Assume forme molteplici, da quelle più impercettibili fino a quelle più oscene. Per sessualità intendo la manifestazione più evidente della vita. È una pulsione animale che ci spinge alla comunicazione sociale con gli altri organismi.
Far parte di una generazione che visse il sesso come una proibizione mi ha forse reso più sensibile a certi temi sessuali. Anche se penso che tutti quanti siamo invischiati in questo tema credo che nessuno può ignorare questa presenza che emerge dal nostro interno.
Come il cibo anche il sesso si adatta costantemente a nuovi argomenti culturali. Ma, come il cibo, anche il sesso ha una funzione biologica, quella di riprodurre la specie. Quest’idea è fondamentale sebbene a volte la si tende a ignorare. È la forza della natura che obbliga gli esseri viventi a riprodursi. Però questo è un terreno scomodo, incontrollabile, animale e difficilmente suscettibile all’analisi, mi interessa della sessualità e anche del cibo. Con il sesso succede che la cultura, la scienza traballano e l’animalità umana rimane scoperta.
Nuovamente le macchine emulano la sessualità e cito chiaramente la mia performance Epizoo. Quell’artefatto, una macchina concepita per dare piacere senza il contatto, si scontra con i suoi obbiettivi iniziali e, senza averlo previsto, apre nuove porte: la manipolazione, la crudeltà, il dolore nascono dal proposito sessuale di questa macchina. Con ciò si dimostra l’enorme capacità che ha la sessualità di impregnare ogni ambito.
Non mi piace la sessualità come prodotto del nihilismo, per me, come ho già detto, la sessualità è la fonte dellla vita e, di conseguenza, un atto di libertà.
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Lo scorrere del tempo. La morte. L’eterna giovinezza, negare lo scorrere del tempo, chiedere sempre lo stesso corpo: non credo in queste cose. Penso che abbiamo una pulsione che ci spinge verso la morte, è come la sessualità, però al rovescio, e ha la stessa forza. Fin dalla nascita è un viaggio costante, è il tempo che scorre. Ogni giorno sei un nuovo corpo: un neonato, un bambino, un adolescente, un giovane, un adulto, un uomo maturo, perdi i denti da latte, ti crescono i peli sotto le ascelle, ti esce lo sperma, germoglia l’acne, sudi, sudi, sudi, appaiono le rughe, cadono i capelli, un giorno ti ritrovi calvo, un altro giorno più grasso, viene fuori la pappagorgia... si tratta di un viaggio costante, divertente finché arriva il tuo giorno e muori. Avere un figlio vuol dire capire questa catena. Quando hai in braccio tuo figlio è come un tunnel del tempo, pensi di essere già morto, di essere già rinato in un altro essere che ti sopravviverà.
Però la morte è un tabù. La morte è occultata, ignorata, mascherata. Come tanti altri aspetti relativi alla nostra esistenza anche la morte è rimasta nascosta nella nostra società e assieme a lei i sacrifici degli animali, le manifestazioni religiose e pagane, le deformità...
La morte è uno dei miei temi come si può comprovare nel robot JoAn? O nell’exoscheletro di Requiem e anche nella necrosi di alcune istallazioni come la Rinodigestio 1997 o in Metzina dove, attraverso il processo di putrefazione, la vita si perpetua sotto forma di nuovi organismi.
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Sono un corpo. Per me non c’è differenza tra corpo e mente, non sono due cose diverse, sono una cosa sola. La coscienza umana è il risultato di un processo biologico e culturale che ha come unico supporto il proprio corpo senza il quale non esiste nessuna possibilità individuale di coscienza.
Pertanto non credo al binomio corpo/mente, né alla divisione religiosa corpo/anima. Ho il presentimento che ciò che chiamiamo evoluzione biologica e che tra un‘infinità di organismi ha prodotto la nostra specie, che si distingue perchè possiede una caratteristica che noi chiamiamo intelligenza astratta, è solamente un processo biologico. Al di là di ogni nostra percezione antropocentrica, ciò che noi chiamiamo cultura e che comprende tra le altre la scienza, l’arte e la tecnologià ha avuto e avrà ancora delle conseguenze sulle altre specie viventi, su noi stessi e sul pianeta. La cultura è parte e conseguenza dell’evoluzione biologica.
La mia non è una causa per negare il corpo e trascenderlo. Questa è un’idea del passato. Il corpo non è obsoleto. Poiché senza il corpo non è possibile la coscienza, senza la coscienza non è possibile nessun assioma, nemmeno quello che dice che il corpo è obsoleto. Gli anni modificano il corpo e questi trasformano la nostra coscienza. Nonostante accetti il fatto che l’incastro di elementi biotecnologici all’interno del nostro corpo induca a pensare alla possibilità della fabbricazione di un robot umano, un cyberg. Ma non alteriamo forse il nostro corpo da molti anni con processi chimici (farmaci) e sociali (la moda per esempio) e non per questo siamo macchine chimiche o sociali.
Alla fine penso che le macchine possono svilupparsi attorno a certi elementi organici, adottando strategie della genetica e incorporando materiali autoriparabili e in grado di riprodursi. Forse questo tipo di macchine rappresentano un nuovo stadio nella rivoluzione biologica.
(traduzione di Alessandro Romano)
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Vivere cento vite: il mestiere dell'attrice A proposito di L’attrice del cuore. Storia di Giacinta Pezzana attraverso le lettere di Ufficio stampa |
MERCOLEDÌ 31 MAGGIO 2006 - ORE 20.30
SALONE DELL’UNIONE FEMMINILE
Corso di Porta Nuova 32
Milano
VIVERE CENTO VITE
IL MESTIERE DELL’ATTRICE
LAURA MARIANI
autrice di L’attrice del cuore. Storia di Giacinta Pezzana attraverso le lettere
(Le Lettere, Firenze 2005)
ne conversa con
RENATA MOLINARI
MARIA NADOTTI
OLIVIERO PONTE DI PINO
SILVIA GALLERANO
(compagnia teatrale Dionisi)
legge alcune lettere di Giacinta Pezzana
Giacinta Pezzana (1841-1919), straordinaria attrice mazziniana e femminista, inizia la sua carriera a Torino, al compimento dell’unità d’Italia, recitando in dialetto, e la conclude allo scoppio della prima guerra mondiale, interpretando per il cinema il suo capolavoro teatrale, Teresa Raquin di Zola. Oggi la sua identità ottocentesca risulta segnata da passioni e pratiche di sorprendente modernità: Amleto recitato en travesti, le Serate Dantesche, concepite quasi come un laboratorio personale, l’attività pedagogica e il ruolo fondativo da lei assunto oltre oceano, nel teatro del Rio della Plata.
Laura Mariani, autrice di numerosi saggi, fra cui Il tempo delle attrici. Emancipazionismo e teatro in Italia fra Ottocento e Novecento (Bologna 1991) e Sarah Bernhardt, Colette e l’arte del travestimento (Bologna 1997), ha rintracciato in numerosi archivi italiani e stranieri e amorosamente raccolto 1.100 lettere scritte dall’attrice fra il 1861 e il 1918 a sessanta destinatari, illustri e non, tra cui le amiche Giorgina Saffi, Alessandrina Ravizza e Sibilla Aleramo.
La serata è organizzata dalla Libera Università delle Donne di Milano
in collaborazione con l’Unione Femminile Nazionale
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Uovo performing arts festival 2006 A Milano dal 10 al 18 maggio di Ufficio Stampa |
IED Moda Lab, Rotonda della Besana, Teatro Dal Verme, PAC, Superstudio Più, Cinema Gnomo, Plastic
14 artisti provenienti da 9 Paesi, 7 “palcoscenici”, 6 artisti per la prima volta in Italia, 8 prime italiane
Uovo – festival indisciplinare e indisciplinato sullo spettacolo dal vivo, sulle nuove tendenze più originali e innovative delle performing arts – giunge alla sua quarta edizione.
Uovo 2006, sul solco della vocazione che il festival ha avuto fin da principio, ovvero quella di scegliere spazi “non tradizionali” di rappresentazione con artisti che sperimentano nuovi linguaggi scenici, liberi dai tradizionali schemi disciplinari (teatro, danza, arti visive), presenta quest’anno molte novità, a partire dalla nuova collocazione temporale (maggio anziché settembre) e dal coinvolgimento di una rete ampia e suggestiva di spazi deputati alle varie espressioni del contemporaneo: IED ModaLab, Teatro Dal Verme, Superstudio, Cinema Gnomo, Plastic, Rotonda della Besana e PAC Padiglione d’arte contemporanea.
L’edizione 2006 conferma la sua attitudine internazionale, nomade e indisciplinare tra le arti contemporanee seguendo suggestioni attorno al tema del confine (tra le arti, tra i formati espressivi, tra le culture) e della sua indeterminatezza. Un percorso, anche geografico, che coltiva la dimensione della memoria, ma rivendica anche quella dell’oblio, in continua ricerca di esperienze artistiche che si interroghino sull’identità contemporanea.
Un’edizione forte e coinvolgente che presenta due tra i più grandi nomi della performance mondiale: Socìetas Raffaello Sanzio e Jerome Bel accanto, tra gli altri, alle rivelazioni del momento come Herman Diephuis e Hooman Sharifi.
Si inizia il 10 maggio con Julie Nioche, una delle più originali giovani coreografe francesi, che fin dalle sue collaborazioni con Meg Stuart e Odile Duboc ha posto al centro della propria riflessione artistica il corpo e i suoi confini. Presenterà in prima italiana H20-NaCl-CaCO3, una installazione-performance incentrata sulla relazione corpo-spazio-spettatore ideata e messa in scena in luoghi dal forte impatto architettonico.
L’11 maggio Herman Diephuis, performer francese, porta a Milano, per la prima volta in Italia, i suoi folgoranti tableaux vivants con D’après J.-C., un itinerario di riscoperta della bellezza attraverso la rappresentazione che ne diede l’arte sacra del Rinascimento italiano, fiammingo e tedesco.
Il 12 maggio Impure Company/Hooman Sharifi, coreografo e danzatore iraniano residente in Norvegia, presenta a Uovo per la prima volta in Italia il “solo” We failed to hold this reality in mind, sintesi di un percorso autobiografico di coscienza civile e politica.
Dal 12 al 14 maggio al Cinema Gnomo occasione speciale per vedere gli undici episodi del Ciclo filmico della Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio, lavoro visivo di sconvolgente e radicale bellezza, realizzato dai videoartisti Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti (il primo videoepisodio creato da Romeo Castellucci).
Il 13 maggio la performance Ballo eccezionale degli incontri e delle esclusioni della Stoa, la scuola teatrale di movimento fisico e filosofico che la Socìetas Raffaello Sanzio tiene da quattro anni. Una performance sulla forza naturale dell’accumulazione, sulle coincidenze del pensiero, sul peso della maggioranza.
Torna in Italia il 14 maggio Jerome Bel, uno degli artisti più irriverenti della scena internazionale. Il geniale performer francese presenta in prima italiana Pichet Klunchun and Myself insieme a Pichet Klunchun, danzatore “classico” thailandese. Un lavoro ironico e filosofico sulle contraddizioni e i paradossi della cultura occidentale e orientale, sui “confini” dei formati espressivi.
Kris Verdonck, performer belga, per la prima volta in Italia con l’installazione Box (15 maggio) esplora i confini “della fine del mondo”. Una stanza bianca, una luce accecante, le parole apocalittiche di Heiner Müller.
Sempre il 15 maggio presentazione del libro Io vivo nelle cose di Motus. Il linguaggio teatrale di Motus viene ricostruito in pagine di forte impatto visivo, dove lo sguardo è portato a confondere finzione e realtà, ora precipitate in frammenti e nell’ingrandimento di particolari, ora còlte in movimento per un concatenamento di fotogrammi, elementi narrativi, assonanze e provocazioni.
La Socìetas Raffaello Sanzio, la compagnia italiana di ricerca più ammirata al mondo, capace di interpretare in modo radicale e affascinante la natura teatrale, che già aveva scelto il festival Uovo per presentare a Milano nel 2004 Crescita – uno degli stadi itineranti del progetto Tragedia Endogonidia – sarà protagonista, insieme al compositore Scott Gibbons, anche con la performance-concerto The Cryonic Chants (16 maggio), partitura di voci che discende dalla primitiva origine classica del canto del capro, in cui l’animale stesso è stato utilizzato come vero e proprio corpo di scrittura ed indica la sequenza di suoni della creazione.
Anna Huber, coreografa svizzera residente a Berlino, e il percussionista Fritz Hauser presentano al PAC il 16 maggio umwege, lavoro “site specific” sulla ricerca spaziale, architettonica, creato per la prima volta alle terme di Vals e presentato anche al Potsdamer Platz di Berlino, al Museo di Arte Contemporanea di Stoccarda, all’Accademia dell’Arte di Berlino.
Due tra gli artisti italiani più innovatori del linguaggio coreografico presenteranno ad Uovo le loro ultime produzioni: Un respiro, riflessione “coreografica” sul testo teatrale “Respiro” di Samuel Beckett (15 maggio) di Virgilio Sieni, figura storica della scena performativa nazionale, e la creazione nero² (in prima assoluta) di Kinkaleri, formazione tra le più presenti nei cartelloni internazionali che predilige una performatività concettuale che mette in discussione l’idea stessa di rappresentazione (18 maggio).
Festa di chiusura di Uovo dedicata all’elettronica francese il 18 maggio al Plastic con Dj Léonard de Léonard, artista eclettico che mixa electroclash e “chanson” francese, techno hardcore e hip hop, vincitore del “Qwartz electronic music awards” nella categoria Discovery, rivolta ai migliori talenti innovativi della scena elettronica internazionale.
Info su www.bymed.org
10 maggio h. 19.00 / h. 21.00 performance Rotonda di via Besana Julie Nioche/Association fin novembre (F) H2O NaCl CaCO3 prima italiana ideazione e interpretazione: Julie Fioche scene: Virginie Mira, in collaborazione con: Yves Godin (luci) musica: Alexandre Meyer realizzazione scene: Sylvain Giraudeau grazie a: Michel Bernard, Alice Daquet, Gabrielle Mallet, Nadine Moëc, Rachid Ouramdane, Julie Perrin produzione: Association fin novembre co-produzione: Bonlieu Scène nationale d’Annecy; Festival d’Automne à Paris; La Maison de l’Architecture en Ile de France, Paris; CCN Le Havre Haute Normandie; CCN de Franche-Comté à Belfort (accueils studio); Le Consortium, Centre d’art contemporain de Dijon, département nouvelles scènes con il sostegno di: La Ménagerie de Verre, Paris and Cité européenne des Récollets; Ministère de la Culture et de la Communication – CNC – DICREAM, aide à la réalisation et de la Ville de Paris durata: 35 min. Una delle più interessanti giovani coreografe francesi, Julie Nioche lavora con corpi, architetture, oggetti, suoni e luci, esplorandone le relazioni e i confini. Tra performance e installazione, H2O NaCl CaCO3 è un gioco di infiltrazioni e ibridazioni, tra il corpo in uno stato fluido, uno spazio carico di segni e la percettiva presenza dello spettatore. Lo spazio-corpo che ne risulta genera un’atmosfera organica, in costante mutazione, che avvolge il pubblico in un intrigante mondo di simboli, memorie e sensazioni. La performer, all’interno di uno spazio-luogo evocativo di forme antiche, interagisce con una forma mutante, luminosa, che si gonfia e scatena incontri e separazioni, cadute e risalite. H20-NaCl-CaCO3 è un progetto “site specific” di volta in volta ripensato e rimodulato per e nello spazio che lo accoglie. E’ sviluppato su tappe successive presentate in luoghi di forte impatto architettonico come il Musée du Chateau d’Annecy, la Cappella di St Lambert a Lovanio o la cappella della Maison de l’architecture di Parigi in occasione del festival d’Automne. Creato a Milano appositamente per la Rotonda della Besana, questo lavoro offre l’imperdibile occasione per un’esperienza suggestiva in uno degli spazi storici di Milano.
Diplomata al Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse di Parigi, Julie Nioche è in seguito stata interprete e collaboratrice artistica di Odile Duboc, Hervé Robbe, Meg Stuart, Emmanuelle Huynh, Alain Buffard, Jennifer Lacey. Nel 1996 fonda insieme a Rachid Ouramdane l’Association fin novembre il cui obiettivo è la condivisione di spazi di ricerca e sperimentazione con artisti provenienti da altre discipline che pongano il corpo al centro della riflessione artistica. Parallelamente Julie Noche si dedica allo studio della psicologia. Il suo tentativo è quello di utilizzare le sue conoscenze teoriche e pratiche acquisite a riguardo del corpo in una prospettiva terapeutica.Questa ricerca la porta a mettere in questione la sua stessa pratica della danza e a sviluppare sempre di più i propri lavori intorno all’immagine del corpo e dei problemi d’identità che questa genera.
11 maggio h 21.00 IED Moda Lab Herman Diephuis (F) D’après J.-C.
prima italiana
coreografia: Herman Diephuis con: Julien Gallée-Ferré & Claire Haenni luci: Patrice Besombes scene: Annie Tolleter collaborazione artistica: Simone Verde & Véronique Defranoux musica: J.S. Bach montaggio sonoro: Frédéric Minière direzione palcoscenico e luci: Sam Mary direzione suono: Alexis Meier coproduzione: Rencontres chorégraphiques internationales de Seine-Saint-Denis, La Petite Fabrique, Centre chorégraphique national de Montpellier Languedoc Roussillon, La Ferme du Buisson - Scène nationale de Marne-la-Vallée con il sostegno di: la DRAC Ile de France grazie a: Théâtre de Saint-Quentin-en-Yvelines, Pascale Houbin/Compagnie Nom de Non, Abbi Patrix/Compagnie du Cercle durata: 50 min.
Con D’après J.-C. Herman Diephuis va alla riscoperta della bellezza, in uno spettacolo di struggente poesia e ironia, tra i più originali e applauditi nei cartelloni internazionali. Con una serie di tableaux vivants, questo straordinario lavoro dell’artista francese fa rivivere le pregnanti immagini dei più grandi maestri dell’arte rinascimentale italiana, fiamminga e tedesca. Da Leonardo a Caravaggio, da Botticelli a Raffaello, da Dürer a Memling, una galleria di pose statuarie fa risaltare i suggestivi contorni e gli espressivi gesti delle icone dell’arte sacra. Le immobili figure della storia della pittura vengono magicamente infuse di vita in danze e gesti frammentati su arie e sinfonie di Bach. Il gioco compositivo dei due performer si apre magicamente anche all’azione coordinata di un gruppo di giovani che si inseriscono e si integrano alle composizioni.
Nato a Amsterdam, vive e lavora in Francia, Herman Diephuis inizia il suo percorso professionale nel 1984 con Régine Chopinot e collabora alle creazioni di Mathilde Monnier, Jean-François Duroure, Philippe Decouflé, François Verret e Jérôme Bel. Lavora con Eszter Salamon et Simone Verde a Répétition publique d'un travail en cours, nella sezione Hors Séries del Centre chorégraphique national de Montpellier. Nel 1992 realizza alcune delle coreografie per la cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Albertville. Del 2003 è la collaborazione con Xavier Le Roy e Alain Buffard, mentre prosegue nel corso degli anni la collaborazione con Mathilde Monnier. Nel 2004 fonda la sua compagnia e rivela allae platee internazionali il suo talento con D’après J.-C ai Rencontres chorégraphiques internationales di Seine-Saint-Denis. La sua ultima produzione Dalila et Samson (novembre 2005) ha debuttato al Festival de Danse di Cannes.
12 maggio, h 17.00 (1a parte) 13 maggio, h 17.00 (2a parte) 14 maggio, h 14.00 ((1a parte) /ore 17.15 (2a parte)
Cinema Gnomo Socìetas Raffaello Sanzio (I) Ciclo filmico Tragedia Endogonidia di: Romeo Castellucci memoria videografica: Cristiano Carloni, Stefano Franceschetti musica originale: Scott Gibbons
Gli undici films che compongono il Ciclo della Tragedia Endogonidia sono stati realizzati da Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti (eccetto il primo, creato da Romeo Castellucci) con le musiche originali del compositore Scott Gibbons, create in collaborazione con Chiara Guidi.
I filmati percorrono l’intera sequenza degli Episodi, con le loro figure principali e ricorrenti, e colgono l’evoluzione di questa Tragedia che stabilisce un nuovo legame con la città e l’attualità. Attraverso la proiezione della sequenza degli Episodi si potrà scorrere lo sviluppo del processo di questa Tragedia; sarà possibile assistere allo spettacolo delle figure principali e dorsali che ricorrono sempre; sarà visibile l’intero piano architettonico costruito lungo tutto il progetto; si potrà, infine, intuire il sistema drammatico che la Tragedia Endogonidia ha inaugurato stabilendo un nuovo legame con la città e determinando una nuova economia dell’arte.
La Tragedia Endogonidia di Romeo Castellucci è un’opera unica che si estende nell’arco di tre anni (2001-2004) e che si evolve in differenti stadi -chiamati Episodi- ognuno dei quali fa capo a una città da cui prende il nome. Il termine "endogonidia" si riferisce a quegli esseri viventi semplici che hanno al proprio interno la compresenza delle gonadi: ciò permette loro di riprodursi senza fine. "Tragedia", al contrario, presuppone sempre una fine e tratta della fine. L’idea di questa Tragedia è quella di un’auto-generazione di idee, figure e concetti originali, organizzati in un ciclo drammatico che riprende il modello della tragedia greca, ma lo riempie di un contenuto rivolto al futuro. Gli Episodi che compongono il Ciclo sono: C.#01 Cesena, A.#02 Avignon, B.#03 Berlin, BR.#04 Bruxelles, BN.#05 Bergen, P.#06 Paris, R.#07 Roma, S.#08 Strasbourg, L.#09 London, M.#10 Marseille, C.#11 Cesena
Romeo Castellucci, Claudia Castellucci e Chiara Guidi costituiscono il nucleo artistico della Socìetas Raffaello Sanzio da loro fondata nel 1981 a Cesena. Oggi è senza dubbio la più importante compagnia italiana di ricerca al mondo, prodotta dalle maggiori istituzioni internazionali. L'orientamento generale che raccoglie tutte le opere del gruppo, pur nelle loro profonde differenze, è la concezione di un teatro inteso come arte che raccoglie tutte le arti, dove la rappresentazione è completamente aperta verso tutti i sensi della percezione, come in un sistema di forze.
Cristiano Carloni (nato a Fano nel 1963) e Stefano Franceschetti (nato a Pesaro nel 1966) hanno studiato cinema d'animazione e pittura ad Urbino. Dal 1993 lavorano insieme nel campo delle arti elettroniche realizzando video e videoinstallazioni. Tra i loro lavori: La camera intorno (1993), Urbino memoriale (1996), Senza foce (1997), Errante erotico eretico (1998). La collaborazione con la Socìetas Raffaello Sanzio, cominciata nel 1999, li porta a realizzare: Voyage au bout de la nuit (scenografia elettronica, 1999), Le pèlerin de la matière (videoinstallazione, 2000), Genesi. From the museum of sleep (video, 2000), A. #02 (video, 2002), Spettrografie (scenografia elettronica, 2002), B. #03 (video, 2003). Tra gli ultimi lavori, tre videoinstallazioni: Witness (2001), Petrolio (2001), Emergenza limbo (2002).
12 maggio h 21.00 IED Moda Lab Impure company/Hooman Sharifi (IR/N) We failed to hold this reality in mind
prima italiana coreografia, luci e interpretazione: Hooman Sharifi collaborazione artistica: Leif Hernes consulenza musicale: Javid Afsrirad titolo: Virginia Woolf direttore di produzione: Elisabeth Hansen musica: Mohammad Reza Shadjarian, Ensemble Aref, Hossein Alizadeh, Kayhan Kalhor, Parviz Meshkatian, Homayoon Shadjarian, Hafez Nazeri, Alireza Faiz Bashipuor, Shahram Nazeri produzione: Impure company coproduzione: Rencontres chorégraphiques internationales de Seine-Saint-Denis, Paris; Monty, Antwerp, Bit-Teatergarasjen Bergen & Springdance/Works, Utrecht.con il sostegno di: The Norwegian Council for Cultural Affairs, The Ministry of Foreign Affairs grazie a: Marianne van Kerkhoven, Bojana Kunst & Kaaitheater Brussels durata: 60 min. Per Hooman Sharifi l’arte è un percorso di coscienza civile, un mezzo comunicativo, di indagine e commento sulla realtà sociale. Il coreografo iraniano residente in Norvegia presenta un solo in cui autobiografia e riflessione politica si fondono in una performance che affronta con sincerità e disillusione temi intimi e cocenti quali la ricerca dell’identità, l’eredità del passato, il pregiudizio. Un lavoro che accetta la sua stessa “impurità” come elemento di forza e che fa leva sulla complicità degli spettatori per aprire un dibattito di grande urgenza e attualità. Entro uno spazio libero, con piccoli segni di decorazione, sullo sfondo immagini proiettate, Hooman Sharifi si mette in gioco con movimenti veloci come arabeschi che nascono su musiche orientali e il suo corpo alterna compozioni uniformi ad evoluzioni morbide e fluenti.
Nato nel 1973 in Iran, Hooman Sharifi si trasferisce definitivamente in Norvegia, da solo, all'età di 15 anni. Lì inizia la sua esperienza nel campo della danza, cominciando dall'hip-hop e dallo street-jazz. Soltanto più tardi, all'età di 21 anni arriva allo studio del balletto classico e della danza moderna. Nel 1997 viene ammesso al National College of Ballet and Dance di Oslo, dove si laurea nel 2000. Da sempre interessato a forme di ibridazione tra la danza e il teatro, dopo gli studi approfondisce il suo percorso artistico nelle arti drammatiche e visive. Nel 2000 fonda la Impure Company con l’obiettivo di indagare la possibilità dell’arte come strumento per la risoluzione dei conflitti sociali. Lo “statement” di Impure Company è ”arte uguale politica”, la politica come presa di coscienza sociale. Il lavoro di Impure Company è un continuo interrogarsi sul presente, sui limiti tra privato e pubblico, interno e esterno, individuo e collettivo.
13 maggio h 21.00 IED Moda Lab Stoa, scuola di movimento della Socìetas Raffaello Sanzio (I)
Ballo eccezionale degli incontri e delle esclusioni concepito e attuato da: Stoa – Sara Angelini, Nicole Arbelli, Stefano Bartolini, Michele Bruzzi, Demetrio Castellucci (che ha curato e creato le musiche), Teodora Castellucci, Giulia Merendi, Ignazio Palazzi, Paride Piccinini, Vincenzo Reale, Eugenio Resta, Giovanni Scardamaglia, Elena Turci, Marco Villani, Sonia Brunelli (coroginnasta), Claudia Castellucci (scolarca)
durata: 50 min
Nelle figurazioni del ballo si verificano eccezioni. Sebbene vi siano percorsi, passi e appuntamenti perfettamente coincidenti, capitano mancanze a queste corrispondenze. L’insieme indistinto della folla, rileva l’eccezione di chi è escluso. Vi sono incontri che determinano legami che possono essere provvisori oppure stabili e progettuali, con il progressivo aumento del loro peso sociale e politico. Sono descritti la forza naturale dell’accumulazione, il peso della maggioranza, le coincidenze del pensiero, le stazioni delle reti comunicanti metropolitane, che realizzano in un istante l’esatto convergere di individui separati. Nel movimento di attrazione capitano momenti di stasi, in cui l’apnea intellettuale espande il tempo e tutto ritorna in primo piano.
Storia della Stoa: La Stoa è una scuola teatrale di movimento fisico e filosofico che la Socìetas Raffaello Sanzio regge da quattro anni e che ha proposto sia ai bambini sia ai giovani. In essa la filosofia non si limita ad essere la storia della filosofia ma una pratica del porre domande e concetti, cioè un movimento che da origine ad una concatenazione del pensiero. Il metodo non è quello dell’impartire istruzioni, ma quello della ricerca pura, attuata nel discorso e nel movimento fisico. Bisogna considerare questa Stoa -che prende il proprio nome dall’antico portico nel quale Zenone soleva incontrarsi con i suoi scolari (in quanto straniero, nessuno, in Atene, gli affittò una stanza)- innanzitutto come un luogo che viene messo a disposizione dei ragazzi sia per le giornate di scuola di danza e filosofia, sia per iniziative prese, progettate e formate da loro. Queste manifestazioni della STOA non possono dirsi un obiettivo della scuola, ma la giusta conclusione di un processo che, coltivato e custodito nella concentrazione e nella riservatezza, ha bisogno, quando è maturo, di manifestarsi all’esterno. Rifuggire un intimismo sterile, correndo il rischio di un’esposizione, pone i ragazzi a contatto con un carattere essenziale dell’arte e della scienza: l’espressione della propria visione del mondo sotto lo sguardo di spettatori.
14-15 maggio h 14.00-17.00
Superstudio Più Dance Point Kinkaleri Dialoghi sul movimento (laboratorio)
Spazio di ricerca per per danzatori professionisti e non, il laboratorio diretto da Kinkaleri si articola intorno a una domanda: quale linguaggio adottare per trasmettere uno stato dinamico? Attraverso la pratica del corpo e l’analisi concettuale, i due incontri svilupperanno dei dialoghi sul movimento e sulle strategie comunicative del corpo. Il laboratorio è aperto a tutti, con un numero massimo di partecipanti.
Kinkaleri nasce nel 1995 come raggruppamento di formati e mezzi in bilico nel tentativo. I sei componenti si incontrano, unendo le loro esperienze e studi precedenti maturati in vari campi, con l’intenzione di realizzare dei progetti specifici, sollecitando quindi la volontà di operare intorno a delle idee concrete e curando sempre tutti gli aspetti necessari alle creazioni della propria attività: progettazione, ideazione, drammaturgia, distribuzione, gestione. I lavori di Kinkaleri hanno ricevuto ospitalità in numerose programmazioni ibride di genere, trovando un importante riconoscimento sulla scena della ricerca italiana e soprattutto estera.
14 maggio h 21.00
IED Moda Lab
Jérôme Bel & Pichet Klunchun (F/T) Pichet Klunchun and Myself prima italiana ideazione: Jérôme Bel di e con: Jérôme Bel & Pichet Klunchun coproduzione: Bangkok Fringe Festival; SACD / Festival Montpellier Danse 2005; R.B. Jérôme Bel, Paris con il sostegno di: AFAA (Association française d’action artistique); French Alliance, Bangkok; Cultural Service of the French Embassy, Bangkok; “The Flying Circus Project”, Singapore grazie a: Frie Leysen, Mark De Putter amministrazione: Sandro Grando R.B. Jérôme Bel riceve il sostegno di: Direction régionale des affaires culturelles d’Ile-de-France durata: 105 min. Lo spettacolo è in inglese senza traduzione
Uno degli artisti più irriverenti e innovativi della scena internazionale, Jérôme Bel torna a Milano con la prima italiana del suo ultimo lavoro, un insolito doppio autoritratto con il danzatore thailandese Pichet Klunchun. In questa performance dalle linee pulite, costruita attorno al modulo del dialogo faccia a faccia, due mondi antitetici vengono messi a confronto: l’oriente e l’occidente, il classico e il postmoderno, la tradizione e l’innovazione, il virtuosismo e l’indisciplina. Con ironia e schiettezza, semplicità e complicità, Bel e Klunchun esplorano il fertile territorio di confine tra due culture e due pratiche artistiche, mettendone a nudo i nodi critici, i punti di incontro e gli affascinanti segreti.
Nato nel 1964, Jérôme Bel si è formato presso il Centre National de Danse Contemporaine di Angers. Inizia a danzare per Angelin Preljocaj, Joëlle Bouvier, Régis Obadia, Daniel Larrieu e Caterina Sagna. Assistente di Philippe Decouflé per la cerimonia dei Giochi Olimpici invernali di Albertville nel 1992, crea la sua prima pièce, Nom donné par l'auteur, nel 1994, seguita da Jérôme Bel nel 1995 e da Shirtologie (1997, una versione per assolo e un'altra per sedici attori). Le dernier spectacle è stato creato nel 1998; seguirono Xavier Le Roy nel 2000 e The show must go on nel 2001. Del 2004 sono invece Véronique Doisneau, che ha aperto la stagione di danza dell’ Opéra National de Paris, The show must go on 2, presentato al festival d’Automne a Parigi, e A house full of music a Vienna all’interno del festival di musica contemporanea Wien-Modern e del suo omaggio a John Cage.
15 maggio h 18.00 IED Moda Lab
Motus (I) Presentazione libro: Io vivo nelle cose Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande presentano il loro diario di viaggio, un volume drammaturgico che dischiude le suggestioni e i temi ricorrenti dei più recenti spettacoli di Motus, il loro percorso nel contemporaneo e la loro originale reinvenzione dei modi e delle forme dello stare in scena. Una raccolta ricca e affascinante che combina parole d’autore, immagini a colori e testi critici, raggiungendo la forza di un libro d’arte. Il volume è suddiviso in sei capitoli che, in ordine cronologico, scandiscono le fasi di un processo artistico avvenuto tra l’anno 2000 e il 2005.
Motus è uno dei gruppi più discussi e più omaggiati della scena contemporanea italiana ed europea. Fondato a Rimini negli anni Novanta - momento di particolare esplosione teatrale - da una coppia d’arte e di vita, ha sviluppato attorno a sé un movimento di presenze fisse o passeggere che ne hanno caratterizzato il volto e lo stile, strutturandone l’identità come nucleo artistico aperto. In un’ottica di promiscuità tra le forme espressive Motus ha prodotto numerosi spettacoli, spesso presentati come eventi speciali nel loro essere concepiti per spazi anomali. Daniela Nicolò è lo sguardo esterno alla scena, Enrico Casagrande lavora con lei all’ideazione e va anche in scena portando il gioco dell’attore a una sfida con l’immagine, in un vortice del narcisismo che, mentre si cala nei canoni di una superficie ben nota al nostro oggi, la mette a nudo rivelandone gli aspetti di feroce solitudine.
15 maggio h 17.00 – 20.00 IED Moda Lab Kris Verdonck (B) Box
prima italiana
ideazione: Kris Verdonck drammaturgia: Marianne Van Kerckhoven allestimento tecnico: Raphael Rubbens suono: Bart Aga voce: Johan Leysen produzione: stilllab vzw coproduzione: Kaaitheater, Bruxelles; KunstenFESTIVALdesarts Bruxelles; Festival La Bâtie, Genève produzione esecutiva: Margarita Production con il sostegno di: Ministerie van de Vlaamse Gemeenschap, Vlaamse Gemeenschapscommissie van het Brussels Hoofdstedelijk Gewest grazie a: De Warande & Philips Lightning Turnhout durata: 10 min. prenotazione obbligatoria/posti limitati Una stanza bianca, un cubo di vetro, una luce accecante, le parole apocalittiche di Heiner Müller: Box è un’installazione sulla fine del mondo. Il lavoro di Kris Verdonck, personaggio eclettico della scena belga, attraversa discipline e codici artistici, dal teatro alle arti visive, all’architettura, testandone i principi e le contraddizioni. La riflessione sul contemporaneo entra nella sua arte sotto forma di oggetti tecnologici, materiali prodotti in serie, complessi meccanismi che interagiscono con la presenza degli spettatori rivelando l’intrinseco dualismo della condizione umana odierna. Box sviluppa il tema del rapporto uomo-macchina invitando gli spettatori in uno spazio in cui una fonte di luce fortissima, elaborata industrialmente da esperti ingegneri, li priva della loro capacità di vedere, al contempo annunciando un evento straordinario, esplosione nucleare o apocalisse.
Kris Verdonck (1974) ha studiato differenti discipline – arti visive, architettura e teatro - e questo si riscontra nel suo lavoro: le sue creazioni si situano al confine tra arti plastiche e teatro, tra installazione e performance, tra danza e architettura. La curiosità artistica di Verdonck si situa al confine delle discipline, non tanto per evidenziarne i punti di contatto quanto per esaltarne i punti di collisione. I performer, spesso attaccati a macchine costruite dall’artista stesso, sottoposti a sostenere limiti fisici estremi, sono come isolati nello spazio, a simboleggiare lo spaesamento dell’uomo contemporaneo. Tra gli artisti più attivi nella scena belga, Kris Verdonck annovera tra i suoi coproduttori alcune delle realtà europee più importanti come il KunstenFESTIVALdesArts, il Kaaitheater, il festival La Bâtie.
16 maggio h 19.30 PAC Padiglione d’Arte Contemporanea Anna Huber & Fritz Hauser (CH/D) umwege prima italiana
ideazione: Anna Huber & Fritz Hauser coreografia e danza: Anna Huber composizione e musica: Fritz Hauser costume: Inge Zysk produzione: annahuber.compagnie con il supporto di: Senatsverwaltung für Wissenschaft, Forschung und Kultur, Berlin; Theater am Halleschen Ufer, Tanzfabrik Berlin
durata: 30 min. La danza e la musica esplorano lo spazio in questa affascinante collaborazione site specific tra la coreografa Anna Huber e il percussionista Fritz Hauser. Le linee duttili e multiformi del corpo e la suggestiva mobilità dei suoni creano un intenso dialogo con la staticità dello spazio architettonico, indagando le relazioni tra queste tre arti e mettendone in discussione i confini. Le distinzioni materialità/immaterialità, immobilità/movimento, solidità/fragilità vengono dissolte e il raggio della nostra percettività ne risulta allargato. Presentato alle terme di Vals in Svizzera, alla Fundació Joan Miró a Barcellona, a Potsdamer Platz a Berlino e in altri spazi artistici di grande impatto e firmati da architetti di fama mondiale, da Jean Nouvel a Zaha Hadid, a Milano umwege trasformerà le sale del PAC con la sua danza minimale e le sue sofisticate sperimentazioni sonore.
In seguito alla sua formazione nell’ambito della danza a Zurigo, Anna Huber lavora con diversi coreografi e registi in Svizzera, Austria e Germania, da ultimo con Jo Fabian e Helena Waldmann. Dal 1989 vive e lavora prevalentemente a Berlino. Nei primi anni ’90 Anna Huber inizia la sua personale ricerca coreografica che l’ha portata ad essere una delle più apprezzate coreografe europee, con un linguaggio al confine tra performing arts e arti visive. Nel 2002 riceve l’Hans-Reinhart-Ring, il più importante premio svizzero nell’ambito delle performing arts. Dal 2002/03 sviluppa, parallelamente ad altre produzioni ed insieme al percussionista Fritz Hauser, le performances umwege (giri lunghi), legate ad una concezione specificamente architettonica. Il lavoro umwege 2006 ha inaugurato la Piattaforma di danza tedesca al Museo di Stoccarda.
15 maggio h 21.00 IED Moda Lab
Compagnia Virgilio Sieni (I) Un respiro
regia, coreografia and luci: Virgilio Sieni con: Marina Giovannini and Ramona Caia opere di: Flavio Favelli collaborazione alle musiche Letizia Renzini a.k.a. dj Molli assistente alla regia Carlo Cuppini tecnico: Lorenzo Pazzagli assistenza costumi: Giulia Pecorari respiro registrato negli studi Tempo Reale musica finale: Joe Hisaishi (dal film Sonatine di T. Kitano) produzione: Fondazione Teatro A. Ponchielli, Cremona; Compagnia Virgilio Sieni con il sostegno di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Dipartimento per lo spettacolo dal vivo; Regione Toscana; Comune di Firenze, Assessorato alla Cultura; Comune di Siena, Assessorato alla Cultura
durata: 60 minuti
Il respiro, atto primario dell’esistenza umana, momento infinitesimale che racchiude l’energia vitale, bolla effimera in cui tutto si anima e tutto crolla. Ispirato all’omonimo testo teatrale di Beckett, che interroga l’indicibile eternità di un respiro, questo lavoro della Compagnia Virgilio Sieni è un’esplorazione del corpo e della sua presenza, una riflessione sulla relatività del tempo e dello spazio realizzata attraverso gesti ordinari e banali, movimenti introspettivi e figurativi, solitudini e incontri. Attraverso una seducente ricerca fisica e visiva, Un respiro affronta domande piccole e grandi sul senso dell’esistenza.
Virgilio Sieni è una figura storica della scena performativa italiana. Ha compiuto studi d’arte e di architettura a Firenze. Dirige la propria compagnia dal 1983 ricevendo numerosi premi per le sue produzioni artistiche e la sua ricerca coreografica. “Il suo sforzo è stato quello di prendere distanza da una forma di danza e di spettacolo ancora sottomessa alle leggi della rappresentazione e della recitazione e, sulla scia di tutto quello che era avvenuto e stava avvenendo nell’arte e nel teatro contemporanei, rendere adulta e internazionale anche la coreografia italiana e la sua messa in scena teatrale. (Sergio Risaliti)”. Da pochi anni il Comune di Firenze ha affidato a Sieni la gestione dei Cantieri Goldonetta, ora trasformati in vero e proprio centro di cultura contemporanea, luogo di residenza e ospitalità, di ricerca e produzione, di studio e documentazione. CAN GO è un centro dedito ai linguaggi del corpo, crocevia per artisti provenienti da discipline diverse, la danza innanzitutto, ma anche il teatro, l′arte visiva, la musica...
16 maggio h 21.00 Teatro dal Verme Socìetas Raffaello Sanzio / Scott Gibbons (I/USA) Concerto: The Cryonic Chants
Canti e poemi oggettivi, tratti da un impassibile animale creato da: Scott Gibbons & Chiara Guidi voci: Claudia Castellucci, Monica Demuru, Chiara Guidi e la partecipazione vocale di: Teodora Castellucci tecnico luci: Luciano Trebbi tecnico del suono: Marco Olivieri organizzazione: Gilda Biasini, Cosetta Nicolini assistente all’organizzazione: Benedetta Briglia amministrazione: Elisa Bruno, Massimiliano Coli, Michela Medri presentato per la prima volta nell’ambito della: Festa Elettronica-Romaeuropa Festival 2004
produzione: Socìetas Raffaello Sanzio courtesy by: Festival d’Avignon; Hebbel Theater, Berlin; KunstenFESTIVALdesArts, Brussels; Bergen International Festival; Odéon-Théâtre de l’Europe & Festival d’Automne, Paris; Romaeuropa Festival; Le Maillon-Théâtre de Strasbourg; LIFT (London International Festival of Theatre); Théâtre des Bernardines & Théâtre du Gymnase, Marseille; Emilia Romagna Teatro Fondazione, Modena durata: 60 min
Il Concerto è una sorta di imbuto sonoro in cui si sviluppa una parte dell’universo musicale del Ciclo della Tragedia Endogonidia che, in particolare, ha per oggetto l’alfabeto e il linguaggio verbale. Il testo è qui considerato come una “cosa” tra le cose e, come queste, soggetto al destino di una forma. Dall’azione sonora sgorga una “poesia” che non fa più affidamento a un Autore, al Poeta. Il testo “discende” da una capra. La parola “tragos”, da cui deriva “tragedia” significa “canto del capro”. L’idea è quella di ottenere una serie di parole “oggettive”, ricavate dal corpo di un capro vero e vivente. Quel capro diventa così un corpo di scrittura, attraverso il quale ci “dona” alcune parole. Si tratta, letteralmente, di far “scrivere” un testo a un capro vivente lasciato libero di pascolare su un tappeto di lettere che si ricompongono casualmente per creare nuove sequenza di fonemi. Per il linguaggio-testo della capra è stato adottato un sistema analogico di ricombinazione di fonemi provenienti dalle sequenze proteiche contenute esattamente nel corpo di “quel” capro, un individuo maschio di quattro anni. Le sequenze delle ammine scelte sono quelle responsabili, nell’ordine, della produzione di sperma, della crescita delle corna e della putrefazione. Le sequenze delle lettere-simbolo di ogni amminoacido delle proteine scelte, sono state riportate su tre tappeti bianchi; il capro è stato lasciato libero di pascolare e il suo percorso ha disegnato una costellazione di lettere che hanno formato una scrittura di base, che Chiara Guidi ha utilizzato per la partitura delle voci. Il carattere “biologico” di questo processo è lo stesso adottato da Scott Gibbons, che riconduce ogni sua elaborazione elettronica a una sorgente organica, e questa condizione conferisce alla biologia una dimensione propriamente abissale.
Scott Gibbons e Socìetas Raffaello Sanzio
L’incontro tra la Socìetas Raffaello Sanzio e il compositore americano Scott Gibbons risale al 1998, in occasione della preparazione della “Genesi. From the museum of sleep”. Il progetto comune successivo fu “Il Combattimento” di Claudio Monterverdi, dove alla musica dell’autore barocco, diretta dal maestro Roberto Gini, veniva affiancata una corrente parallela di suoni elettroacustici concepiti da Scott Gibbons. La collaborazione da quel momento è continuata, e si è sviluppata per tutto il ciclo drammatico della Tragedia Endogonidia. In quest’occasione Chiara Guidi ha lavorato al fianco di Gibbons in un lavoro di trama dell’idea sonora e della sua realizzazione.
18 maggio
h 21.00 IED Moda Lab
Kinkaleri (I) nero² (3° studio) debutto progetto: Kinkaleri coproduzione: Kinkaleri; La Bâtie, Festival de Genève; Festival Internazionale di Santarcangelocon: Carla Bottiglieri, Floor Robert in collaborazione con: UOVO Performing arts festival con il sostegno di: Ministero per i Beni Culturali - Dipartimento dello Spettacolo, Sistema Regionale dello Spettacolo Regione Toscana
durata: 45 min
“Un fantasma color giglio viola fluttua per la stanza color petrolio, il suo pieno si scaglia sulle pareti funeree, una calma apparente contorna la presenza, si muove il fantasma come una falena verso la luce mortale, scivola sulle pareti, nessun trabocchetto, si accascia spossata da tanto fervore. Nuda (St)Eve ringhia. Non ha vergogna. Non conosce tregua. Non ha imbarazzo. Nono era un barista di Brest.”
(Kinkaleri)
Kinkaleri nasce nel 1995 come raggruppamento di formati e mezzi in bilico nel tentativo. I sei componenti si incontrano, unendo le loro esperienze e studi precedenti maturati in vari campi, con l’intenzione di realizzare dei progetti specifici, sollecitando quindi la volontà di operare intorno a delle idee concrete e curando sempre tutti gli aspetti necessari alle creazioni della propria attività: progettazione, ideazione, drammaturgia, distribuzione, gestione. I lavori di Kinkaleri hanno ricevuto ospitalità in numerose programmazioni ibride di genere, trovando un importante riconoscimento sulla scena della ricerca italiana e soprattutto estera.
18 maggio dalle h 23.30 Plastic
Uovo / Défi Fantastique
Non ho sonno party con DJ Léonard de Léonard (F)
prima italiana Léonard de Léonard è un artista eclettico, il cui stile multietnico combina diversi generi musicali, dalla techno all’hip hop, dalla chanson francese all’elettronica. Vincitore nel 2005 del Qwartz Electronic Music Award nella categoria innovazione e originalità, Léonard de Léonard scatenerà il dance floor del Plastic con le sue sperimentazioni sonore.
Nato negli anni 70 nei dintorni di Parigi, Léonard de Léonard comincia a suonare con una chitarra elettrica e una drum machine. Abbandonata la chitarra e dotatosi di un sampler, inizia una collaborazione con il regista Laurent Hart, per il quale compone la musica del videogioco Borderland e la colonna sonora per una serie di cortometraggi, entrambe nominate e premiate in diversi Festival tra Francia , Austria e Germania. Nel 1999 fonda l’etichetta Musiques Hybrides, sviluppando numerose collaborazioni senza distinzione di stili, passando dalla techno Hardcore all’ Hip-hop, dala musica degli chansonniers all’elettronica. Lavora con Louise Vertigo, Gonzales, Rubin Steiner, Roudoudou, Norazia, Peaches. Parallelamente, è dj nei più importanti club di Parigi. Nel 2002 si avvicina al teatro, attraversando la Francia e l’Europa come DJ/Sound Designer per lo spettacolo Cyrk 13 de Philippe Decouflé. In seguito, compone la musica originale della pièce Universal Dance Floor per la compagnia Night Fever. Insieme a Seep e a Mathias Schweizer fonda l’etichetta elettronica Rolax, il cui obbiettivo è di coinvolgere in progetti comuni musicisti e graphic designers.
Informazioni
Ingressi 10 euro/8 euro
Uovo card 30 euro/25 euro
Ciclo filmico della Tragedia Endogonidia 5 euro 1a parte/5 euro 2a parte
Nioche, Huber ingresso solo ad inviti
Verdonck, Motus ingresso libero
Dj Léonard de Léonard ingresso libero con biglietto Uovo fineo alle 01.00/10 euro dopo le 01.00
Laboratorio Kinkaleri costo d’iscrizione 80 euro
Biglietteria IED Moda Lab +39025833645
Prevendita www.vivaticket.it
Call center 899.666.805 (servizio a pagamento)
Costo prenotazione e prevendita 1 euro
Luoghi Rotonda di via Besana via besana 15, IED Moda Lab via pompeo leoni 3,
Cinema Gnomo via lanzone 30, Superstudio Più via tortona 27, Pac
Padiglione d’Arte Contemporanea via palestro 14, Teatro dal Verme via
san giovanni sul muro 2, Plastic viale umbria 120
Sito www.bymed.org
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Pergine Spettacolo Aperto 2006 Dal 15 giugno al 3 agosto di Ufficio Stampa |
Pergine Spettacolo Aperto 2006 31° edizione
VERSO LE INDIE OCCIDENTALI
Due anni di laboratori e spettacoli dedicati alle Americhe
Un viaggio. Attraverso l’oceano, verso le indie occidentali, con le vele al vento gonfie di suoni. Il Festival di Pergine Spettacolo Aperto propone quest’anno un’esplorazione delle Americhe raccontata dalla musica, dal teatro, dall’Opera, dalla danza, dalla gastronomia al circo. I giovani professionisti dei laboratori internazionali del festival presenteranno: “Circus of the Americas“ di Peter Schumann, realizzato in coproduzione con il piùfestival di Brescia; “My Dear Luisiana” con il gruppo Elisa Monte Dance di New York; “¡Macondo! Gran Bazar Latinoamericano”, una notte di follie con tanti ospiti dal Centro e Sud America; “Made in USA”, un grande concerto dedicato al repertorio nordamericano del Novecento, con un’orchestra di oltre 80 elementi; "Storie a mare!", una inedita operazione fra teatro e opera lirica dedicata al Puccini "americano". Ricchissimo e disperato, allegro e malato, lentissimo e frenetico, a ritmo di rock, di jazz, di tango e di salsa, il “nuovo mondo” si spalancherà davanti ai nostri sensi in tutte le sue affascinanti contraddizioni.
Siate pronti a partire: quest’estate, a Pergine, si salpa per le Americhe!
L’incontro tra musica, danza e teatro con spettacoli originali, nati dal metodo del “laboratorio” e orientati verso percorsi tematici e geografici precisi, questa in sintesi è la linea e il metodo di lavoro che caratterizza, da alcuni anni l’attività ultratrentennale di Pergine Spettacolo Aperto.
PSA è, infatti, il più longevo e assieme il più giovane fra i festival trentini, animato da giovani professionisti (musicisti, attori, cantanti e danzatori), che a Pergine trovano una sede dove perfezionarsi attraverso la ricerca e il dialogo fra le discipline.
PSA è anche incontro fra culture diverse: nel 2006 saranno oltre 200 i giovani professionisti coinvolti provenienti da 15 paesi che si confronteranno con maestri di diversa nazionalità, nei laboratori e nelle produzioni conclusive. Il festival ha allargato infatti negli anni la rete delle collaborazioni nazionali e internazionali, senza trascurare il rapporto con il territorio. La creazione ad ogni edizione di un’Orchestra Giovanile Internazionale (che questo anno raggiungerà gli 80 elementi) rappresenta il risultato più significativo di questo percorso.
Dal 2004 il Festival ha scelto come tema di lavoro il viaggio culturalgeografico, individuando percorsi reali e metaforici, che, dopo il Mediterraneo e Le Vie d’Oriente, approdano quest’anno ad Occidente. Le Americhe, dunque, in un lungo viaggio interdisciplinare sulla rotta delle Indie Occidentali: un’esplorazione inedita dalla multiculturalità del Nord all’ allegria e i ritmi del Centro e Sud America, animerà il centro storico e il Teatro Tenda di Pergine da giugno ad agosto.
L’evento inaugurale il 15 giugno è caratterizzato quest’ anno dalla presenza di una delle più note compagnie americane, la Bread & Puppet Company diretta da Peter Schumann con “The big Circus of the Americas” spettacolo parata, in forma di festa dedicato alla storia e al presente delle Americhe. Lo spettacolo coinvolgente e di grande impatto visivo, con pupazzi, musica e danza, secondo l’inconfondibile stile raffinato e popolare del gruppo è realizzato in coproduzione con il piùfestival di Brescia coinvolgerà giovani attori, ragazzi, bande e ...la gente di Pergine.
Nel mese di giugno i giovani artisti di PSA invadono la città (tutti i laboratori saranno infatti in piena attività: danza, teatro, musica e canto); è il momento ideale per presentarsi collettivamente in un’occasione conviviale e spettacolare: WELCOME PSA, giovedì 29 giugno.
“My Dear Luisiana, spettacolo di danza in salsa Cajun“, in programma il 6 e 7 luglio, vede impegnati il laboratorio di danza di PSA integrato dal gruppo Elisa Monte Dance di New York, in una ricerca di musica e danza dedicata alla tradizione Cajun, l’originale cultura nata dall’immigrazione francese in Luisiana. Un melange unico di fantasia latina, pragmatismo americano, passione creola ed eleganza francese. La direzione musicale di questo ricerca inedita affidata a Sam Bardfelds, (musiche dal vivo eseguite da un gruppo selezionato tra i componenti dell’Orchestra Giovanile Internazionale di PSA.
Si resta in Nord America con un concerto sinfonico d’eccezione: “Made in Usa”, dedicato al grande repertorio nordamericano del Novecento, un affascinante viaggio musicale attraverso Gershwin, Copland, Berstein, Ellington, che vedrà L’Orchestra Giovanile Internazionale al gran completo, diretta dall’americano Sergio Bernal, eseguire brani che hanno fatto la storia della musica americana del Novecento. Il concerto a Pine il 10 e a Pergine l’11 luglio si sposterà poi per una breve tournèe nazionale.
Il 20 e 21 luglio: con “Storie a mare! Verso l‘America.
Viaggio in musica e in prosa con Puccini, emigranti, poeti e narratori” PSA rinnova la ricerca originale fra Opera e teatro inaugurata nel 2005 con Cose Turche.
Si Tratta infatti di un’operazione assieme musicale e teatrale, dedicata alle opere americane di Puccini (Madama Butterfly, Manon Lascaut, Fanciulla del West) contaminate con suggestioni ispirate dalla canzone di emigrazione. Nell’operazione verranno coinvolti: giovani attori, cantanti e musicisti diretti da Guido de Monticelli, per la parte registica e drammaturgica e da Roberto di Marino per la rielaborazione della partitura e la direzione musicale.
La quarta e ultima produzione di PSA 2006 è un progetto speciale, una grande festa con musica, danza e teatro: “¡Macondo! Gran Bazar Latinoamericano”.
Parteciperanno all’evento a fianco dei giovani musicisti e ballerini di PSA, numerosi gruppi e artisti ospiti dal Centro e Sud America, dando vita ad un evento composito dedicato alla ricca tradizione di spettacolo dei diversi paesi latinoamericani. L’evento integrerà spettacoli a pagamento, con musica e teatro di strada (gratuiti) e non mancheranno le occasioni gastronomiche e il ballo finale in piazza.
Costituisce parte integrante del programma la rassegna cinematografica, quella tradizionale programmata in agosto (il meglio del cinema recente internazionale) sarà anticipata da un ciclo di film in giugno e luglio sulla via delle “Indie Occidentali”.
Anche quest’anno i partecipanti alle attività formative di PSA saranno selezionati attraverso bandi, audizioni e in collaborazione con Conservatori e Scuole di Teatro.
In particolare annunciamo tre diversi bandi (vedi il forum segnalazioni di ateatro):
The Circus of the Americas Bread &Puppet , rivolto a giovani professionisti e non (vedi allegato)
My Dear Luisiana ¬condotto da Elisa Monte nel quadro del programma di laboratori biennali di danza.
Storie a mare!- Laboratorio di canto teatrale per attori
Ulteriori appuntamenti integrativi del programma e un grande concerto il 3 agosto, verranno successivamente annunciati.
La commissione artistica del Festival PSA è composta da: Mimma Gallina, Julian Lombana e Cristina di Pietrantonio, e fiancheggiata per la sezione cinematografica da Gianluigi Bozza, per il coordinamento dei laboratori di danza da Maria Pia di Mauro e per la direzione dell’Orchestra Giovanile di PSA Julian Lombana.
Il festival si svolge grazie al sostegno di:
Provincia Autonoma di Trento, Regione Trentino Alto Adige, Comune di Pergine, Fondazione Cassa di Risparmio, Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento, Fondazione la Fenice di Venezia, Cassa Rurale di Pergine, Trentino spa, Valsugana Vacanze, Mediocredito Trentino Alto Adige, Gruppo ITAS, Scuola di Musica Camillo Moser, Radio Dolomiti Invisible Site, Shop Center Valsugana, Palcos srl. L’Adige e Publistampa
Un ringraziamento particolare a tutti i volontari che lavorano per il Festival PSA
LE PRODUZIONI DEL FESTIVAL PSA 2006
dal 15 giugno al 3 agosto: eventi, spettacoli, concerti, teatro, cinema
Giovedì 15 giugno
ore 21 Pergine Centro Storico
“Circus of the Americas"
spettacolo parata
diretto da Peter Schumann
Bread & Puppet Company
e i partecipanti ai Laboratori di PSA
in coproduzione con Piùfestival di Brescia
ingresso gratuito
Giovedì 29 giugno
ore 21 Pergine Piazza Municipio
WELCOME PSA
presentazione dei partecipanti ai laboratori di PSA
ingresso gratuito
Giovedì 6 e venerdì 7 luglio
ore 21 Pergine Teatro Tenda
“My Dear Luisiana spettacolo di danza in salsa Cajun “
coreografie Elisa Monte,
direzione musicale Sam Bardfelds
Elisa Monte Dance Company
e i partecipanti al Laboratorio di danza PSA
Lunedì 10 luglio
ore 21 Auditorium Pinè
Martedì 11 luglio
Pergine Teatro Tenda
“Made in USA"
musiche di Gershwin, Copland, Berstein, Ellington
direttore Sergio Bernal
Orchestra Giovanile internazionale
in collaborazione con l’Associazione Pinè Musica
www.perginepsa.it tel 0461 530179 fax 0461 533995
info@perginepsa.it - ufficiostampa@perginepsa.it
Giovedì 20 e venerdì 21 luglio
ore 21 Pergine Teatro Tenda
“Storie a mare!"
Verso l'America. Viaggio in musica e in prosa con Puccini, emigranti, poeti e narratori
drammaturgia e regia Guido de Monticelli
trascrizione per orchestra
e direzione musicale Roberto di Marino
cantanti, attori e orchestra dei laboratori PSA
“Maconda!" Gran Bazar Latinoamericano
26 luglio
ore 18.30 Castello di Pergine
teatro con la compagnia Alma Rosè- Italia
proiezione video di Garcia Rodriguez- Argentina
Giovedì 27 luglio
a partire dalle ore 18 Pergine
Centro storico, Teatro Tenda, Piazza Santa Maria
musica, teatro di strada, danza e gastronomia
con i Laboratori di PSA e
gruppi e artisti ospiti dall’Italia e dal Centro e Sud America
CINEMA PSA 2006
Film rassegna “Verso le Indie Occidentali”
dal 27 giugno al 25 luglio
ore 21 Teatro Don Bosco
Film rassegna Riccardo Pegoretti
dal 1 al 31 agosto
ore 21 Teatro Tenda
Seguiranno ulteriori dettagli sugli spettacoli e concerti ospitati e sul concerto a sorpresa del
3 agosto, nella splendida cornice della Piazza Santa Maria di Pergine.
Il calendario è suscettibile di variazioni
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Bernhard: teatro e altre rabbie Un incontro a Milano di Teatro i |
Teatro i
con il patrocinio di
Comune di Milano- Assessorato Cultura e Musei
MilanoContemporanea
Provincia di Milano- Settore Cultura
Forum Austriaco di Cultura a Milano
BERNHARD: TEATRO E ALTRE RABBIE
Dialoghi intorno a un grande scrittore alla ricerca di un lessico
Lunedì 8 maggio 2006
ore 16.00 proiezione
ore 17.00 incontro
Teatro i - via Gaudenzio Ferrari 11, Milano
A cura di
Sara Chiappori, Federica Fracassi, Renzo Martinelli
Coordinatori
Franco Quadri, Massimo Marino
Suggeritore
Eugenio Bernardi
Interventi di
Alessandro Gassman, Paolo Graziosi, Roberto Herlitzka, Lorenzo Loris, Roberto Menin, Renato Sarti, Massimo Verdastro, Milena Vukotic
Autore di poesie, racconti, romanzi e testi teatrali, Thomas Bernhard (1931-1989) è uno degli scrittori più significativi del Novecento.
Ogni testo di Bernhard è un labirinto, un intero di infinite parti. La sua lingua costringe alla concentrazione, al dubbio, al gioco. Incrina con leggerezza il nostro poco sapere. Non si lascia fruire passivamente e continua a suscitare una notevole risonanza nel pubblico e un'accesa discussione teorica.
In un serrato confronto con l’autore, Teatro Aperto debutta con la produzione di “Prima della pensione” per la regia di Renzo Martinelli, che andrà in scena dal 4 al 21 maggio 2006 presso Teatro i a Milano.
Teatro Aperto, con la preziosa collaborazione di Franco Quadri, Eugenio Bernardi e Massimo Marino, ha pensato a un appuntamento teorico parallelo, un incontro che tenterà di declinare una riflessione intorno all’opera di Bernhard secondo modalità poco accademiche.
Protagonista del pomeriggio di lavoro sarà la scena italiana ed europea nell’esperienza degli attori, dei registi, degli studiosi che hanno lavorato sull’autore austriaco.
Gli ospiti si confronteranno alla ricerca di un possibile, quanto incompleto, lessico bernhardiano.
Il punto di partenza resta uno sguardo teatrale. La necessità è quella di confrontarsi con altri ambiti e altri linguaggi: la filosofia, la letteratura, la politica.
L’incontro sarà coordinato da Massimo Marino e da Franco Quadri, che è anche l’editore delle opere teatrali di Thomas Bernhard nel nostro paese.
L’incontro sarà preceduto alle ore 16 dalla proiezione del documentario di Jean Pierre Limosin "Thomas Bernhard" (Un siècle d'écrivains).
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Il Festival delle Colline Torinesi Dal 7 giugno al 7 luglio di Ufficio Stampa |
XIª edizione
TORINO CREAZIONE CONTEMPORANEA
7 giugno - 7 luglio 2006
Progetto realizzato in collaborazione
con Fondazione del Teatro Stabile di Torino/Teatro d’Europa
Il Festival delle Colline Torinesi 2006 è promosso da
Regione Piemonte
Provincia di Torino
Città di Torino
Consiglio Regionale del Piemonte
Città di Moncalieri
Comune di Pecetto Torinese
Compagnia di San Paolo
Fondazione CRT
Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino
con
Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Fondazione Merz
Spettacoli francesi con il sostegno
di AFAA – Ministère des Affaires Etrangères
Centre Culturel Français de Turin
ONDA Office National de Diffusion Artistique
in scena a
Castagneto Po, Moncalieri, Moransengo, Pecetto Torinese, Rivoli, Torino
AVANT-PROGRAMME
TORINO, FONDAZIONE MERZ
7/8 GIUGNO
Verso Nietzsche Ecce Homo
di e con Valter Malosti
TORINO, CAVALLERIZZA REALE
7/8/9 GIUGNO
Rumore Rosa (short format) – primo studio
Motus
di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni, Nicoletta Fabbri, Emanuela Villagrossi
Motus, Festival delle Colline Torinesi, drodesera>centrale fies, L’Arboreto di Mondaino
con il sostegno tecnico-creativo dell’Istituto Europeo di Design di Milano
TORINO, PINACOTECA DELL’ACCADEMIA ALBERTINA DELLE BELLE ARTI
DAL 9 GIUGNO AL 1 LUGLIO
Nietzsche Ecce Homo – prima assoluta
uno spettacolo di Valter Malosti
in collaborazione con Michela Lucenti e Marzia Migliora
Teatro di Dioniso Festival delle Colline Torinesi in collaborazione con Asti Teatro, Comune di Asti, Residenza Multidisciplinare di Asti
con il sostegno di Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma
MORANSENGO, CASTELLO
9 GIUGNO
Finale di partita
Teatrino Giullare
allestimento da scacchiera per pedine e due giocatori da Samuel Beckett
presentato in collaborazione con Incanti Rassegna Internazionale di Teatro di Figura e Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare
TORINO, CAVALLERIZZA REALE
10/11 GIUGNO
Fairy Queen – prima italiana
regia di Ludovic Lagarde
di Olivier Cadiot
con Valérie Dashwood, Philippe Duquesne, Laurent Poitrenaux
Compagnie Ludovic Lagarde, Théâtre de la Colline, Festival d’Avignon, Le Trident-Scène National de Cherbourg-Octeville, La Chartreuse - Centre National des Ecritures du Spectacle - Villeneuve-lès-Avignon
con il sostegno di AFAA – Ministère des Affaires Etrangères
SPETTACOLO IN LINGUA ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO
TORINO, CAVALLERIZZA REALE
12/13 GIUGNO
Piccoli episodi di fascismo quotidiano
Indagini su Pre-paradise sorry now di Rainer Werner Fassbinder
Motus
di Daniela Nicolò e Enrico Casagrande
con la consulenza letteraria e musicale di Luca Scarlini
con Dany Greggio e Nicoletta Fabbri
Motus con il sostegno di Arboreto di Mondaino, CANGO - Cantieri Goldonetta, Regione Emilia Romagna, Provincia di Rimini,
TORINO, CAVALLERIZZA REALE
13/14 GIUGNO
Io sono
La Girandola
progetto drammaturgico di Remo Rostagno
direzione artistica Mimma Villari
regia Ola Cavagna
scene e costumi Elena d’Agnolo Vallan
Città di Torino, Iter, Centri di Cultura per l'espressività e comunicazione, Laboratorio teatrale Arte e Uomo senza Barriere
CASTAGNETO PO, VILLA CIMENA
14/15 GIUGNO
Bussando alle porte del Paradiso – primo studio
Recital da Cesare Pavese
con Franco Branciaroli
regia Pietra Selva Nicolicchia
Compagnia Viartisti in collaborazione con Pavese Festival
PECETTO TORINESE, CAPPELLA DEI BATTÙ
16/17 GIUGNO
Cosmetica del nemico – primo studio
di Amélie Nothomb
con Michele Di Mauro e Graziano Piazza
e con Irene Zagrebelsky e Mariano Pirrello
elaborazione drammaturgica Stefania Bertola e Michele Di Mauro
MAS Juvarra in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi
TORINO, TEATRO ASTRA
18/19/20/21 GIUGNO
Studio su Medea, capitoli I, II, III – anteprima assoluta
Capitolo I, Medea e Giasone
Capitolo II, Medea e figli
Capitolo III, Medea dea
regia di Antonio Latella
con Nicole Kehrberger, Michele Andrei, Giuseppe Lanino, Emilio Vacca
Teatro Stabile dell’Umbria, Totales Theater International, Festival delle Colline Torinesi
TORINO, CAVALLERIZZA REALE E TEATRO GOBETTI
22/23/24 GIUGNO
Ada, Cronaca Familiare - prima integrale assoluta
Aqua Marina, Villa Venus, Ardis I, Ardis II, Lucinda Museum, Vaniada
Fanny & Alexander
in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi, KunstenFESTIVALdesArts, La Rose des Vents-Scène Nationale de Villeneuve d’Ascq, Ravenna Festival, Espace Malraux-Scène Nationale de Chambéry et de la Savoie
con il sostegno di Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma
RIVOLI, MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA
25/26 GIUGNO
Ada, Cronaca Familiare
Adescamenti
concerto per voci, pianoforte, flauto e macchine del suono
Fanny & Alexander
TORINO, CAVALLERIZZA REALE
27/28 GIUGNO
Amid the Clouds
testo e regia di Amir Reza Koohestani
con Baran Kosari, Hassan Madjooni
Mehr Theatrical Group, Wiener Festwochen, KunstenFESTIVALdesArts, in collaborazione con Théâtre de la Bastille
SPETTACOLO IN LINGUA ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO
TORINO, TEATRO ASTRA
28/29/30 GIUGNO
Concerto, The Cryonic Chants
canti e poemi oggettivi, tratti da un impassibile animale
creato da Scott Gibbons e Chiara Guidi
Socìetas Raffaello Sanzio
Courtesy by: Festival d’Avignon, Hebbel Theater, KunstenFESTIVALdesArts, Bergen International Festival, Odéon -Théâtre de l’Europe con il Festival d’Automne à Paris, Romaeuropa Festival, Le Maillon-Théâtre de Strasbourg, LIFT (London International Festival of Theatre), Théâtre des Bernardines con Théâtre du Gymnase, Emilia Romagna Teatro Fondazione
TORINO, TEATRO ASTRA
2/3 LUGLIO
Aproximación a la idea de desconfianza – prima italiana
testo e regia di Rodrigo García
con Juanjo de la Jara, Anges Mateus, Jean Benoit Ugeux
La Carnicerìa Teatro, Bonlieu Scène Nationale d’Annecy con la partecipazione del Centro de Arte Scenica de Reus
SPETTACOLO IN LINGUA ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO
MONCALIERI, LIMONE FONDERIE TEATRALI
4/5/6 LUGLIO
Questo buio feroce – primo studio
ideazione e regia Pippo Delbono
Emilia Romagna Teatro Fondazione, Festival delle Colline Torinesi, Teatro di Roma, Thèâtre du Rond Point Paris, TNT Thèâtre National de Toulouse Midi-Pyrénées, Maison de la Culture d’Amiens, Le Merlan Scène Nationale de Marseille, Le Fanal Scène Nationale de Saint Nazaire, Thèâtre de la Place Liegi
TORINO, CAVALLERIZZA REALE
6/7 LUGLIO
Sunday Clothes (Ritournelles) – prima italiana
regia e musica di Alexis Forestier
testo e filmati Cécile Saint-Paul
con Marc Bertin, David Besson, Alexis Forestier, Moïra Montier-Dauriac, Antonin Rayon, Cécile Saint-Paul
coproduzione Les Endimanchés, Les Subsistances Lyon, Théâtre de L’Échangeur
con il sostegno di AFAA – Ministère des Affaires Etrangères
SPETTACOLO IN LINGUA ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO
MONCALIERI, LIMONE FONDERIE TEATRALI
7 LUGLIO
Il Tempo degli Assassini
con Pippo Delbono e Pepe Robledo
Compagnia Pippo Delbono, Emilia Romagna Teatro Fondazione
INFO
FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI
Corso Giulio Cesare 14
10152 Torino
tel/fax +39 011 4360895
info@festivaldellecolline.it
www.festivaldellecolline.it
IL FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI AD ATRIUM
PER TORINO CAPITALE MONDIALE DEL LIBRO CON ROMA
Il Festival delle Colline Torinesi inventa ad Atrium Torino un centro alla sua mappa di spazi scenici sparsi in città e in provincia, un Punto Festival per far incontrare pubblico e artisti, per discutere degli spettacoli, per presentare i libri dedicati ad alcune delle Compagnie presenti nel cartellone 2006.
CALENDARIO INCONTRI
GIOVEDÌ 8 GIUGNO - Motus
VENERDÌ 9 GIUGNO - Ludovic Lagarde
LUNEDÌ 12 GIUGNO - Antonio Latella
MERCOLEDÌ 14 GIUGNO - Michele Di Mauro e Graziano Piazza
LUNEDÌ 19 GIUGNO - Valter Malosti, Michela Lucenti, Marzia Migliora
MERCOLEDÌ 21 GIUGNO - Fanny & Alexander
GIOVEDÌ 29 GIUGNO - Socìetas Raffaello Sanzio e Scott Gibbons
VENERDÌ 30 GIUGNO - Pippo Delbono
LUNEDÌ 3 LUGLIO - Rodrigo García
MERCOLEDÌ 5 LUGLIO - Alexis Forestier
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I vincitori del Concorso Italia al TTV Con il verbale della giuria di Rccione TTV |
Ieri sera (sabato 6 maggio) alla Sala Gino Cervi della Cineteca si è svolta la premiazione della nona edizione del CONCORSO ITALIA, competizione che attribuisce il Premio Riccione TTV – Concorso Italia a video di soggetto teatrale di autori, produttori e videomaker italiani..
La Giuria -composta da Giuseppe Baresi, autore cinematografico e televisivo, regista degli Album di Marco Paolini, Felice Cappa, autore televisivo e consulente freelance di Palcoscenico di Rai Due, Luisa Ceretto, critico cinematografico e curatore della Cineteca di Bologna, Daniela Nicolò e Enrico Casagrande di Motus e Paolo Ruffini, operatore, saggista e critico teatrale, - dopo aver esaminato i 15 lavori selezionati dalla Commissione, fra le 121 opere video pervenute al Concorso Italia, ha assegnato:
• Il PREMIO RICCIONE TTV 2006: (millecinquecento euro)
•
a Morning Smile di David Zamagni e Nadia Ranocchi - Zapruder Filmakergroup “per la radicalità delle scelte linguistiche e come segnale di quanto, in questo momento, teatro cinema e arti visive siano reciprocamente intrecciate e interrelate”.
• Il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
•
assegnato ex aequo a “due opere tra loro molto differenti che, rivolgendosi a orizzonti diversi, ugualmente sintetizzano un lavoro creativo rigoroso e compiuto”:
Body Electric #1 di Davide Pepe, per “un solo tra installazione e performance di misurata compiutezza formale, dove il corpo danzato assorbe e riformula la lezione delle arti plastiche”.
Sotto quel che abbiamo costruito – Immagini dal Teatro del Pratello di Silvia Storelli, per “l’opera che meglio rappresenta/racconta, raggiungendo con la massima sintesi e proprietà di mezzi, il processo di un’esperienza teatrale e formativa in termini documentaristici”.
• Il PREMIO DI PRODUZIONE CONCORSO ITALIA: (cinquemila euro da reinvestire in un nuovo video di soggetto teatrale)
•
a Qualcuno arriverà di Pietro Lassandro, “per la capacità di reinventare un’opera teatrale di Jon Fosse in termini fantasmatici e narrativi; un emisfero privato, chiuso, quasi asfissiante, dove i colori si sgranano in termini pittorici e visionari regalando al racconto visivo una qualità materica decisamente potente”.
VERBALE DELLA GIURIA
La giuria del nono Premio Riccione TTV Concorso Italia – composta da Giuseppe Baresi, Felice Cappa, Enrico Casagrande, Luisa Ceretto, Daniela Nicolò, Paolo Ruffini, segretarie Cristiana Agostini e Teodora Cosmidis – ha esaminato i 15 lavori selezionati dalla Commissione di selezione fra le 121 opere video pervenute al Concorso Italia.
Le opere visionate rivelano un’estrema eterogeneità di linguaggi e modalità produttive, uno scenario complesso e disomogeneo che inevitabilmente ci invita a fare diverse riflessioni; si rende dunque necessario ridefinire, ampliandoli, i confini delle opere ammesse, anche in virtù del fatto che il panorama che esse rappresentano è ormai definitivamente più articolato ed esprime una diversificata esperienza creativa - sia in termini estetici che concettuali - di quello che il bando di per sé cerca di definire.
La giuria, nonostante le apparenti contraddizioni di questo panorama (ma anche suggestionata dagli stimoli che il panorama stesso offre), cerca di fare propria questa apertura e quindi valorizzare appieno quelle opere che rappresentano l’eterogeneità e la contaminazione tra tecniche e linguaggi; d’altronde la contemporaneità ci porta oggi a dover superare le barriere e i confini tra linguaggi, generi, scuole, accademie.
Le opere evidenziano la necessità e le molteplici modalità di essere esperienza d’arte fuori dagli schemi e dalla specificità del videoteatro o della videodanza. In questo senso quelle premiate rappresentano una riflessione ulteriore, intorno ad un esercizio artistico ma anche ad una capacità di lavoro fuori dai circuiti istituzionali o dalle grandi produzioni .
Il Premio Riccione TTV 2006 viene assegnato a:
Morning Smile di David Zamagni e Nadia Ranocchi che pur non rappresentando un’opera immediatamente definibile come video teatro convince per la radicalità delle scelte linguistiche e come segnale di quanto in questo momento teatro cinema e arti visive siano reciprocamente intrecciate e interrelate.
Il Premio speciale della giuria viene assegnato ex aequo a due opere tra loro molto differenti che, rivolgendosi a orizzonti diversi, ugualmente sintetizzano un lavoro creativo rigoroso e compiuto:
Body Electric #1 di Davide Pepe, un “solo” tra installazione e performance di misurata compiutezza formale, dove il corpo danzato assorbe e riformula la lezione delle arti plastiche
Sotto quel che abbiamo costruito – Immagini dal Teatro del Pratello di Silvia Storelli,
che è l’opera che meglio rappresenta/racconta, raggiungendo con la massima sintesi e proprietà di mezzi, il processo di un’esperienza teatrale e formativa in termini documentaristici.
Il Premio di produzione Concorso Italia viene assegnato a:
Qualcuno arriverà di Pietro Lassandro, per la capacità di reinventare un’opera teatrale di Jon Fosse in termini fantasmatici e narrativi; un emisfero privato, chiuso, quasi asfissiante, dove i colori si sgranano in termini pittorici e visionari regalando al racconto visivo una qualità materica decisamente potente.
BOLOGNA, 3 MAGGIO 2006
La Giuria
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Primavera dei Teatri 2mila6 Dal 5 al 10 giugno di Ufficio stampa |
Provincia di Cosenza
Comune di Castrovillari
Teatri Calabresi Associati
Scena Verticale
PRIMAVERA DEI TEATRI 2MILA6
nuovi linguaggi della scena contemporanea
Castrovillari, 4 > 10 Giugno 2006
VII edizione
Scena Verticale, col sostegno della Regione Calabria - Presidenza della Giunta Regionale e dell’Assessorato al Turismo, della Provincia di Cosenza, del Comune di Castrovillari e con il contributo dei Teatri Calabresi Associati, presenta Primavera dei Teatri 2mila6, settima edizione del festival dedicato ai nuovi linguaggi della scena contemporanea.
La direzione artistica di Saverio La Ruina e Dario De Luca rinnova in questa edizione la propria volontà di creare fertili occasioni di incontro e confronto, con sensibile attenzione alle nuove generazioni creative, all’evoluzione dei linguaggi scenici e con interesse particolarmente rivolto alla nuova drammaturgia. Una poetica che è già valsa al Festival il Premio dell’Associazione dei Critici di Teatro e il Premio Giuseppe Bartolucci “per avere realizzato e imposto all’attenzione del mondo teatrale un felice appuntamento con la scena contemporanea, dando vita a una rassegna di grande respiro e rigore, in un territorio – come quello del nostro sud, non solo teatrale – geograficamente non facile, ma fertile di proposte e carico di necessità”.
LE RADICI E LA MEMORIA
Ieri e oggi storie di emigrazione e lavoro
Dopo lo straordinario consenso ottenuto con Italiani cìncali, dedicato ai minatori del Belgio, Mario Perrotta con la Compagnia Teatro dell’Argine presenta La Turnàta – Italiani cìncali parte seconda (martedì 6, ore 21.15), ritorno a casa di una famiglia di emigrati in Svizzera nel 1969. “Turnata vuol dire «ritorno» in dialetto pugliese: il ritorno di chi non riparte più, di chi si ferma a casa. Lo spettacolo è il racconto del lungo viaggio verso casa, verso gli ulivi e il mare, per trasportare il corpo esanime del nonno, il capostipite, il primo ad essere emigrato nel 1955: si torna in Puglia, sull'Alfa Romeo, per seppellirlo. È viaggio clandestino, fatto di sotterfugi e tensioni: ma anche viaggio iniziatico per il piccolo Nino, di nove anni, che scopre, piano piano, il mondo. Il razzismo degli svizzeri, l'indifferenza del governo italiano, lo sbarco sulla Luna, i sogni della lotta operaia, il sindacato, il calcio, le paure e l'affetto”.
I Cantieri Teatrali Koreja presentano Via (venerdì 9 ore 21.15). Dai nomi delle strade di un qualunque paese del Salento, lo spettacolo scava per raccontare una migrazione esemplare: dalle vie superficiali, che si perdono nei vicoli e nelle corti, alle gallerie sotterranee, che si rimpiccioliscono in cunicoli alti anche solo trenta centimetri. L’Italia del dopoguerra, gli accordi tra la nascente Repubblica Italiana e il Belgio, le miniere di carbone e la tragedia di Marcinelle, nella quale persero la vita molti emigranti originari di Puglia e Calabria.
Ulderico Pesce firma e interpreta in prima nazionale FIATo sul collo (giovedì 8 ore 21.15), testo vincitore del Premio Marisa Fabbri, sezione del Premio Riccione Teatro 2005. “Dal cuore della Basilicata, il racconto irridente e appassionato, in forma di monologo e nel solco del teatro di narrazione, di una vita costruita sulla speranza di un lavoro che mina ogni legame e sicurezza. Voci, pensieri e sentimenti intrecciati in una scrittura che parte da una base leggera e ironica per affondare nella crudezza cronachistica degli scioperi alla Fiat di Melfi e nella disperazione delle prospettive future”.
OMAGGIO A BECKETT
Una serata dedicata al drammaturgo irlandese del quale ricorre il centenario della nascita.
Il Teatrino giullare presenta Finale di partita (mercoledì 7, ore 21.15), spettacolo che ha raccolto unanimi, entusiastici giudizi da critica e pubblico. Il capolavoro di Beckett è vissuto in una partita a scacchi attraverso le possibilità di movimento di due pedine: la tensione e la partecipazione dei due attori-giocatori che muovono le pedine e pedine personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento. La rappresentazione è una sinfonia di mosse e contromosse, botte e risposte, pause, riflessioni, sospiri, rinunce.
Gogmagog sceglie i due atti unici Quella volta e Teatro II (mercoledì 7, ore 22.30), per accostarsi all’opera del Maestro di cui ha nutrito la propria esperienza teatrale. I due testi, legati da una forte analogia di contenuto e al contempo assolutamente divergenti a livello formale, mettono al centro l’analisi della vita dell’uomo: In Quella volta è il protagonista stesso che si autoanalizza ascoltando le libere associazioni dei suoi ricordi di bambino, di giovane, di uomo maturo, che si susseguono senza soluzione di continuità. In Teatro II sono Morvan e Bertrand ad analizzare la vita del protagonista: un terzo personaggio di spalle rivolto verso una finestra aperta dalla quale probabilmente è intenzionato a buttarsi.
SCRITTURE D’OGGI
Un percorso attraverso le diverse scritture per il teatro
Tino Caspanello della messinese Compagnia Pubblico Incanto presenta in prima nazionale Rosa (giovedì 8, ore 22.30), un lieve racconto che svela gli affetti, le ragioni di un viaggio, le ragioni di una rinuncia. Quattro amici, la loro storia sospesa tra un eterno presente e un continuo vagare temporale, quasi imprigionati in una non volontà, una condizione in cui solo il gioco può alleviare il dolore dell’allontanamento e della perdita.
Emma Dante con la compagnia Sud Costa Occidentale in Mishelle di Sant’Oliva (lunedì 5, ore 21.15), scolpisce un nuovo straordinario ritratto d’interno familiare, grottesco e dissacratorio, crudele e sensibile, casto e carnale. Una madre, chanteuse all’Olympia di Parigi, fuggita. Un padre che vive alla finestra in attesa del suo ritorno. Un figlio che accudisce quel padre da oltre dieci anni e che ogni sera nella piazza di Sant’Oliva si traveste.
Dopo il debutto romano, Francesco Randazzo porta in scena a Castrovillari con gli Ostinati Otello - il Nivuru di Mazzaria (lunedì 5, ore 22.30), testo con cui l’autore e regista ha vinto il Premio Ugo Betti 2005 per la drammaturgia. Liberamente ispirata alla novella del Giraldi Cinzio e a Shakespeare, la nera vicenda di Otello trasposta ai nostri giorni, tra Mazara del Vallo e Lampedusa, nel crocevia d’immigrazione dall’Africa alla Sicilia, nel marasma di sbarchi clandestini, promiscuità e giochi d’interesse, brutalità e gelosie, diviene una grottesca, sanguinaria pittura di una società eccessiva che corre verso la distruzione attraverso la menzogna e l’ignoranzache è trasposta ai nostri giorni.
Marcello Cotugno con la l’Associazione culturale Beat 72 riallestisce per Primavera dei Teatri una delle commedie più “cattive” di Neil LaBute, Bash (venerdì 9, ore 22.30), che ha già raccolto grande successo negli Stati Uniti e in Europa. La commedia ritrae in tre quadri un mondo dove non c’è più posto per gli antichi valori umani, la famiglia, l’amore, dove ciò che resta è solo una vana corsa verso il nulla. Un mondo come quello narrato nelle tragedie greche, che ispirano i tre quadri, efferato, crudele, violento, nel quale l’uomo par essere divenuto estraneo a se stesso.
Fanny & Alexander presenta Vaniada (martedì 6 ore 20.00 e ore 23.00), tappa conclusiva del progetto pluriennale Ada, cronaca familiare, ispirato alla compagnia ravennate dall’opera di Vladimir Nabokov. Ada e Van, al termine della loro storia, ultracentenari, idealmente fusi in un solo archetipico essere, si trovano di fronte al grande dilemma della fine. Il tema del Tempo e della Memoria e dei suoi ambigui riflessi trova nel meccanismo linguistico proprio della sciarada, o più precisamente della “frase doppia”, il suo ambiguo centro nevralgico. La battaglia del senso si gioca sul fronte doppio della ricomposizione del simbolo e dipenderà dall’accanita e solidale collaborazione tra chi guarda e chi è guardato.
SEMINARI, INCONTRI, MOSTRE
La riflessione sui nuovi linguaggi della scena, le nuove regole e le modalità della produzione teatrale offrono nuovi strumenti e nuove occasioni di approfondimento e confronto tra artisti e istituzioni. Il festival, partendo dalle riflessioni già raccolte, prosegue l’analisi nella seconda tappa del seminario avviato lo scorso anno Organismi pubblici e promozione dei nuovi linguaggi scenici, coordinato da Rocco Laboragine, nel quale verranno discussi nuovi temi sull’urgenza di nuove forme di visibilità e di promozione del teatro contemporaneo. Interverranno Carmelo Grassi (Presidente ANART), Raimondo Arcolai, Pierluca Donin (coordinatori ANART), operatori, artisti e studiosi.
Ulteriore importante momento di riflessione e analisi del sistema tearale regionale è la giornata di studio nella quale si raccoglieranno riflessioni e si promuoverà un dibattito su La Legge regionale sul Teatro di Prosa alla luce del suo primo anno di applicazione. Alla Giornata interverranno rappresentanti delle Istituzioni e realtà teatrali regionali.
Compie trent’anni il Centro RAT - Teatro Stabile d'Innovazione della Calabria, una realtà che ha saputo resistere e reinventare le occasioni di pratica e di incontro con i linguaggi della scena in un territorio spesso trascurato dal sistema teatrale nazionale. L’importante anniversario sarà l’occasione per ripercorrerne la storia attraverso mostre e incontri.
In occasione dei vent’anni dei Cantieri Teatrali Koreja la Compagnia Stabile d’Innovazione del Salento raccoglie nel libro Dimettersi dal Sud scritto da Franco Ungaro, di prossima uscita per i tipi di Laterza, le difficoltà e gli ostacoli, l’entusiasmo e il sacrificio di fare teatro oggi nel sud d’Italia, promuovendo la ricca e complessa identità culturale di un territorio tra i più peculiari del nostro paese. Il libro, con prefazione di Goffredo Fofi, sarà presentato nell’ambito del festival.
LA FUCINA DI HANSEL E GRETEL
La sezione del festival tradizionalmente dedicata alla pratica laboratoriale, che offre ai giovani la possibilità di sperimentare le tecniche dell’arte scenica, è dedicata quest’anno a Samuel Beckett, drammaturgo che ha profondamente segnato il Teatro del Novecento. “Parlare di Samuel Beckett significa parlare con Samuel Beckett, parlare con la sua vita e la sua opera che sempre si sono compenetrate”, così scrive Giancarlo Cauteruccio, regista e interprete della Compagnia Teatrale Krypton, che condurrà il laboratorio L’attore beckettiano (5, 6, 7 giugno). Raccontando e analizzando le sue messe in scena di Forse, Giorni Felici, Finale di Partita, dei tre allestimenti de L’ultimo nastro di Krapp, di Atto senza parole e Non io, Giancarlo Cauteruccio condurrà i partecipanti al laboratorio attraverso un percorso che intende affrontare l’analisi della drammaturgia beckettiana e di conseguenza l’approfondimento sul rigore di “esecuzione” che essa richiede.
Al termine del laboratorio, mercoledì 7, Giancarlo Cauteruccio condurrà l’incontro Ancora nei detriti di Samuel Beckett , aperto al pubblico, che affronterà le principali problematiche del teatro beckettiano.
La settima edizione di Primavera dei Teatri sarà inoltre il soggetto del progetto di ricerca e documentazione video di Massimiliano De Simone.
Scena Verticale – via G. Pace, 50 - 87012 Castrovillari (CS) Italy – tel/fax + 39 0981 27734 tel +39 0981 26783
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PRIMAVERA DEI TEATRI
Luogo di svolgimento: Castrovillari (CS) e altri centri dell’area del Pollino.
Periodo di svolgimento: giugno.
Genere: teatro contemporaneo, nuova drammaturgia, giovani artisti.
Direzione artistica: Scena Verticale.
Enti sostenitori: Ente Teatrale Italiano, Regione Calabria, Provincia di Cosenza, Comunità Montana del Pollino, Ente Parco Nazionale del Pollino, Comuni dell’area del Pollino, Università della Calabria, sponsor privati.
Primavera dei Teatri, festival sui nuovi linguaggi della scena contemporanea, fu uno dei tre progetti nazionali vincitori del bando dell’Ente Teatrale Italiano rivolto ai centri e alle compagnie del teatro contemporaneo nel 1998. La sua prima edizione fu promossa nel 1999 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dall’Ente Teatrale Italiano mediante il decreto sulle aree disagiate.
Sostenuto in tutte le sue edizioni dall’Ente Teatrale Italiano (nel 2005 in collaborazione con Arcus spa all’interno del progetto nazionale “Altre scene ’05 – lampi di teatro e danza), conta sul contributo della Regione Calabria, del Comune di Castrovillari, della Provincia di Cosenza, della Comunità Montana del Pollino e dell’Ente Parco Nazionale del Pollino, oltre a una proficua collaborazione con l’Università della Calabria. I soggetti pubblici coinvolti confermano il rapporto instaurato dal festival con gli Enti Locali e le Istituzioni culturali presenti sul territorio.
Primavera dei Teatri ha vinto nel 2001 il Premio Bartolucci “per una realtà nuova” e nel 2003 il Premio della Critica, assegnato dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro.
Pur agendo all’interno di un territorio difficile come quello calabrese, Primavera dei Teatri si è guadagnato negli anni unanimi apprezzamenti all’interno del panorama teatrale nazionale. Seguito da un pubblico numeroso e da importanti critici e operatori, puntando su nomi poco conosciuti ma di grande talento, ha contribuito negli anni all’affermazione di alcuni tra i più significativi gruppi e artisti italiani dell’ultima generazione (Ascanio Celestini, Emma Dante, Davide Enia, Fausto Paravidino, Fausto Russo Alesi, Scimone e Sframeli, Motus e Fanny & Alexander per citare solo dei nomi), alcuni dei quali consacrati in seguito dai Premi Olimpici e dai Premi Ubu. Da questi semi diffusi nel territorio calabrese, sono germogliati e si sono fortificati i gruppi che oggi costituiscono l’ultima generazione teatrale calabrese.
Appuntamento unico nel meridione d’Italia, il festival si apre ai giovani spettatori, riflette sulla società contemporanea, registra idee e interrogativi estetici, punta su giovani artisti anche rischiando molto. Evitando l’intrattenimento commerciale, sceglie proposte originali e accoglie la tradizione per svelarla in prospettive nuove.
Oltre a diversi incontri e convegni su temi specifici, viene dato ampio spazio a percorsi formativi. I gruppi incontrano la realtà del sud attraverso laboratori tesi a coinvolgere i ragazzi del luogo nei processi creativi delle formazioni emergenti.
Col proposito di abbattere le barriere tra attori e spettatori, il festival propone gli eventi in spazi inconsueti, valorizzando il patrimonio storico e architettonico e favorendo canali di naturale comunicazione tra luoghi, spettatori e arte scenica, inserendosi in tal modo anche nel più ampio ambito del turismo culturale.
Dopo alcune ospitalità occasionali proposte negli anni precedenti, l’edizione del 2006 intende aprire una finestra sulla scena europea dell’ultima generazione. Uno degli obiettivi principali sarà quello di creare un confronto tra i giovani protagonisti della scena internazionale. Si tratta di un’altra stimolante scommessa da realizzare in una regione per tanti settori fanalino di coda in Italia.
HANNO DETTO DI PRIMAVERA DEI TEATRI
“[…] una della più interessanti rassegne di spettacolo italiane […]”
Il sole 24 ore – Renato Palazzi
“[…] prezioso festival che, a sale zeppe, riesce a far dialogare un pubblico popolare coi nuovi linguaggi della scena non solo del Sud, impostando anche proficui laboratori […]”
la Repubblica – Franco Quadri
“Il festival calabrese è breve e intenso, con un ottimo riscontro di un pubblico giovane.”
La stampa – Masolino D’Amico
“[…] prezioso festival […]” l’Unità – Rossella Battisti
“[…] piccole realtà diventano punti di riferimento per il mondo intero […] Castrovillari […] grazie a Primavera dei Teatri […] ha avuto un considerevole ritorno in termini di immagine.”
D - la Repubblica delle Donne – Maria Cristina Righi
“[…] un esempio di aggregazione rara nel sud e unica in Calabria […] Il nuovo pubblico cresciuto a Castrovillari ha sviluppato un bisogno irrinunciabile di teatro vivo e lo ha dimostrato affollando i laboratori e gli spettacoli […]”
Il manifesto – Mariateresa Surianello
“[…] prezioso festival […]”
Io Donna , settimanale de Il Corriere della Sera – Antonio Calbi
“[…] massiccia affluenza di pubblico locale, curioso e attento […]”
Primafila – Andrea Nanni
“Merita un’attenzione particolare […] uno dei rari appuntamenti meridionali […] un’occasione unica.”
Il Tempo – Tiberia De Matteis
“[…] importantissimo luogo di produzione culturale […] una realtà troppo importante per il sud”
Liberazione – Carla Romana Antolini
“[…] un articolato progetto di integrazione e confronto col territorio […]”
Il sole 24 ore – Antonio Audino
“[…] un deciso segnale di vitalità […]”
Il giornale dello spettacolo – Andrea Porcheddu
PRIMAVERA DEI TEATRI
Castrovillari (CS), 5 > 10 giugno 2006 – VII edizione
CALENDARIO SPETTACOLI
lunedì 5 giugno
ore 21.15: Chiostro del Protoconvento
Sud Costa Occidentale/Emma Dante – MISHELLE DI SANT’OLIVA (60’)
ore 22.45: Teatro Sybaris
Ostinati Officina Teatro – OTELLO. IL NIVURU DI MAZZARIA (110’)
martedì 6 giugno
Ore 20.00: Circolo Cittadino
Fanny & Alexander – ADA CRONACA FAMILIARE, VANIADA (60’)
Ore 21.15: Teatro Sybaris
Teatro dell’Argine/Mario Perrotta – LA TURNATA (85’)
Ore 23.00: Circolo Cittadino
Fanny & Alexander – ADA CRONACA FAMILIARE, VANIADA (60’)
mercoledì 7 giugno
Ore 21.15: Chiostro del Protoconvento
Teatrino Giullare – FINALE DI PARTITA (60’)
Ore 22.45: Teatro Sybaris
Gogmagog – QUELLA VOLTA – TEATRO II (65’)
giovedì 8 giugno
Ore 21.15: Chiostro del Protoconvento
Centro Mediterraneo delle Arti / Ulderico Pesce – FIATo SUL COLLO (65’) Prima nazionale
Ore 22.45: Sala 14 Protoconvento Francescano
Compagnia Pubblico Incanto – ROSA (65’) Prima nazionale
venerdì 9 giugno
Ore 21.15: Chiostro del Protoconvento
Cantieri Teatrali Koreja – VIA (65’)
Ore 22.45: Sala 14 Protoconvento Francescano
Marcello Cotugno – BASH (100’)
Sabato 10 giugno
Giornata da definire
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PRIMAVERA DEI TEATRI 2MILA6
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Metamorfosi Festival 2006 Alla Città del Teatro di Cascina dal 2 al 12 giugno di La Città del Teatro |
VENERDÌ 2 GIUGNO ORE 18.00/02.00
Electronic live music&VJing
PROGETTO E#DAY
La prima edizione di E DAY, ideato e organizzato da POLIETILENE, FAKE FACTORY e PARALLELO DANCE.
E#DAY vuole sondare, la scena italiana ed internazionale in una giornata dedicata al mondo della nuova composizione musicale, audiovisuale e performativa ed in alcune delle sue variegate espressioni. Creare in un luogo temporale e nello spazio di una giornata il paesaggio naturale per tutte le forme in cui il mondo della nuova musica si connette, accogliendone gli aspetti dell’elaborazione della messa in scena come: workshop, esibizioni live di musica, danza, v.j.set, performance, videoarte, connessioni tra elettronica e cinema, tra spot pubblicitari e mondo elettronico, e ancora il mondo della produzione e della distribuzione dando voce e spazio alle nuove etichette discografiche, editoria di settore. Interviste e pubblici dibattiti tra le varie “Generazioni” di artisti. E#DAY . Sarà inoltre il luogo deputato ideale per ospitare tutti gli interessati del settore per un incontro libero da schemi nell’interesse comune di sviluppare le proprie idee musicali allacciandole a tutti quei settori già contaminati dall’ universo “elettronico”.
SABATO 3 GIUGNO ORE 9.30
Teatro di Pisa
TRASCRIVERE L’INCONSCIO
Giornata di studio su psicoanalisi e arte
Giornata di studi dedicata all’esplorazione del complesso tema dell’inconscio. Il gruppo di lavoro impegnato in questa ricerca é formato dalle psicoanaliste della SPI: Gabriela Gabbriellini, Arianna Luperini, Teresa Lorito, Simona Nissim, Raffaella Tancredi e Grazia Vassallo. Offriranno il loro contributo scientifico al tema in questione: Pierandrea Lussana: Psicoanalista con funzioni di training della SPI e autore del libro “L’adolescente, lo psicoanalista, l’artista”, il cui intervento verterà sullo studio del doppio in Cecov e sull’analisi de “L’isola di Arturo” di Elsa Morante; Amalia Giuffrida: Vicepresidente della SPI e coautrice del testo “Trascrivere l’inconscio” edito da Angeli; Paola Golinelli: Membro dell’Esecutivo della SPI, la quale interverrà come Discussant; Anna Maria Accerboni, Membro della SPI, vincitrice del premio”Musatti” nel 2005, e Rita Corsa, Membro della SPI, che presenteranno un lavoro dal titolo “Il fiore della desolazione fantastica. Autoritratto e psicoanalisi nei pittori triestini del Novecento”. Interverranno inoltre Francesco Vaccarone: pittore, Ugo Riccarelli: scrittore e Paolo Fresu: musicista. Nel corso della giornata di studio sarà presentato in anteprima il video “SINTOMI-è più forte di me” a cura di Giacomo Verde sull’esperienza di lavoro realizzata a Cascina da Fabrizio Cassanelli e Alessandro Garzella con persone che hanno disturbi mentali.
MERCOLEDÌ 7 GIUGNO ORE 21.30
Cantieri Teatrali Università di Siena - La Città del Teatro/Fondazione Sipario Toscana
PEZZI D’AMORE A PEZZI
Studi di messa in scena dal progetto “Amore”
con gli allievi del laboratorio teatrale condotto da Fabrizio Cassanelli e Letizia Pardi
con Deboraha Alessandrini, Claudio Babbanini, Dolma Bornengo, Irene Conti, Palma D’Amico, Francesca Duranti, Stefano Landolfi, Rachele Lodi, Damiano Matticola, Ignazio Martellucci, Gloria Paccagnini, Angela Sgarro.
Su testi originali prodotti dagli allievi nel laboratorio di scrittura condotto da Francesco Niccolini e su testi di P.Valduga S. Kane, R.D.Laing, L. Gozzi, G. Gaber, A. Merini.
Il progetto Cantieri Teatrali promosso dall’Università di Siena in collaborazione con La Città del Teatro, nasce dalla grande attenzione che l’Ateneo senese da alcuni anni rivolge alle attività culturali non curriculari e dal forte impegno nella produzione di cultura non solo teorica ma anche artistica in senso stretto.
Il laboratorio teatrale rivolto agli studenti provenienti da tutte le facoltà che ha preso avvio lo scorso anno, realizzando nella splendida cornice del museo archeologico di Santa Maria della Scala lo studio di messa in scena su Antigone, si sviluppa in un contesto di ricerca teatrale flessibile, nel quale l’apprendimento dei
linguaggi permette all’esperienza creativa dei singoli allievi di evolvere tenendo conto dei meccanismi psicologici e dei bisogni cognitivi della persona.
Essere “attori” significa così diventare protagonisti del proprio itinerario di conoscenza, partecipando all’azione con il proprio stile personale, che si trasforma attraverso la relazione sociale con il gruppo.
Il grande tema che ha fatto da sfondo al laboratorio di quest’anno è stato quello dell’Amore nel tentativo di esaminarne criticamente i possibili scenari sul piano emotivo - individuale, nelle implicazioni legate alle relazioni, all’identità, alla crisi della famiglia, al sesso e ancora per la sua apparizione variegatamene seriosa o banale sui giornali, al cinema, in televisione, nei discorsi della gente.
GIOVEDI 8 GIUGNO - LA CITTA' DEL TEATRO
ore 17.00
narrazione di MAURIZIO MAGGIANI
SCUOTERE LA TERRA – INNALZARE LE MONTAGNE (una storia d’amore)
Maurizio Maggiani, nato a Castelnuovo Magra nel 1951, da genitori di modesta condizione, abita a Genova e vanta un curriculum da scrittore americano dei tempi eroici: è stato maestro carcerario, maestro di bambini ciechi, operatore cinematografico, aiuto regista, montatore, fotografo, pubblicitario, costruttore di pompe idrauliche, impiegato comunale. Legge di tutto, da Dylan Thomas a Stephen King. Ha sempre vissuto nella regione in cui è nato, ma intimamente si sente apolide, un cittadino del mondo. Ha scritto racconti su riviste italiane, spagnole, francesi, tedesche e inglesi. È editorialista per “Il secolo XIX” e scrive per “la Stampa”.
Vincitore del Premio Strega 2005 con Il Viaggiatore Notturno
ore 18.00
ISOLE COMPRESE TEATRO
M.I.L.F. "moments I like to Film"
performance liberamente tratta da "FILM" di Samuel Beckett (1960)
idea Maker Andrea Pagnes
project direction, sound design Alessandro Fantechi
direzione artistica Elena Turchi, Alessandro Fantechi
Laboratorio ASL 10/MOM 5 FIRENZE
In quanto presupposto negativo della ragione e della salute psichica, malattia mentale e disabilità suscitano da sempre importanti interrogativi sul nostro essere, sull’origine e la logica delle nostre interazioni con l’ambiente, sui fondamenti della nostra identità: insomma, ci costringe a metter in questione chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Quando ci si relaziona a tutto ciò che ai nostri occhi appare troppo irrazionale, caotico, eccessivo, bizzarro, fuori dalla norma precostituita, il nostro Sé sembra assumere il ruolo di frontiera estrema da non valicare (nel caso ci si volesse attenere a), da oltrepassare a tutti i costi invece, se si volesse davvero acquisire una conoscenza certa di simili condizioni o categorie.
L’uomo contemporaneo sembra sempre più imbrigliato a vivere per se stesso e con se stesso in un clima di acida incongruenza, di stolida contraddittorietà, di totale inadeguatezza.
Continuamente in fuga da sé, continuamente all’inseguimento di sé.
Beckett, in Film, ripropone il motivo di questa dualità esistenziale in un gioco apparentemente intricato di scissioni e rispecchiamenti del sé sullo sfondo di un clima cupo, angoscioso, ma fortemente vitale.
Soppressa ogni percezione estranea, animale, umana, divina, la percezione di sé continua a esistere. Il tentativo di non essere, nella fuga da ogni percezione estranea, si vanifica di fronte alla ineluttabilità della percezione di sé.
ore 18.45
SINTOMI - È più potente di me
video Giacomo Verde
teatro Fabrizio Cassanelli, Alessandro Garzella
con Ivano liberati, Marco Selmi
produzione LA CITTA' DEL TEATRO - Fondazione Sipario Toscana
con il contributo di Ministero Beni e Attività Culturali, Regione Toscana, Provincia di Pisa, Comune di Cascina (PI), Comune di San Giuliano Terme (PI), ASL 5 di Pisa
Ho seguito per un anno, con la mia videocamera, il laboratorio teatrale che Sandro Garzella e Fabrizio Cassanelli hanno tenuto con Marco Selmi e Ivano Liberati. Un laboratorio tra teatro e disagio mentale. La videocamera non è stata una semplice testimone, ma spesso si è trovata a far parte del gioco, a provocare azioni e ad essere oggetto di reazioni. Il video che è nato da questa esperienza - "Sintomi" - non vuole spiegare o raccontare l'evoluzione di un lavoro creativo ma piuttosto evocare gli stati d'animo e ri-provocare le riflessioni che continuamente scaturivano da questo incontro di "menti" sulla scena e di fronte alla telecamera. Il montaggio procede per analogie mentali o visive, come una sorta di flusso di coscienza, che collegando parole, impressioni, gesti ed eventi riconfigura significati apparentemente diversi da quelli originali ma comunque sintomatici di quello che è accaduto. Per la telecamera la differenza tra il malato e il sano di mente può non esistere, specialmente se viene utilizzata per quello che veramente è: una rielaboratrice di realtà. Ed è proprio utilizzando questa sua specifica proprietà che ho cercato di evidenziare la ricchezza del rapporto tra persone "diversa-mente creative". Grazie anche a un contesto di gioco teatrale dove il rispetto della persona va oltre la propria condizione mentale, e dove il gioco della finzione permette veramente di far emergere verità difficilmente esprimibili. Giacomo Verde
ore 21.30
M'ARTE
VOLEVO DIRTI (prima assoluta)
di Sabrina Petyx
con Serena Barone, Ester Cucinotti, Caterina Marcianò, Sabrina Petyx
regia Giuseppe Cutino
Volevo dirti ciò che vive nascosto dietro i nostri occhi, che si annida in quel breve spazio che va dal cuore al cervello, dalla bocca alle mani, dal fegato ai piedi, dentro quella vertigine in cui riconoscere ed incontrare l’ultima immagine che sia possibile sopportare di sé.
L’uomo si ciba della sua vendetta.
La vendetta è una fame che non si sazia mai. Vorace come un intero branco, ronza dentro le vene come uno sciame.
È la passione la femmina più vorace del branco, una fiera pronta ad uccidere prima di essere tradita. Una mantide capace di svelarsi in segreto, di tessere trame dentro cui nuove prede cadranno vinte sotto un peso eterno come la colpa.
La passione, come la madre di ogni fede. La fede, come una passione che non si vergogna di sé, bisbiglia nelle orecchie formule di veleni letali, esplode nelle viscere di un nemico che si da alla fuga armata delle ragioni dei giusti, trovando quiete nel sangue che altro sangue vorrà vendicare.
Piatto da mangiare freddo, ricompensa da saper attendere.
L’attesa, aspetterà, come un incantesimo in cui poter morire.
Ma, chi sopravvive, nell’attesa, che fa?
Attende.
Irene, Agata, Tina e Lucia. Attendono.
Sedute su una sedia, davanti ad una pentola, dietro ad una porta, sotto una finestra, dentro un ascensore, nello spazio fra un piano e l’altro, imprigionate dentro una improbabile voliera capace di far convivere specie strane, in balia di una giostra senza giostraio, protette dal silenzio ovattato dei salotti buoni, con le coscienze intonse e immacolate come i divani coperti dal cellofan per non farli usurare.
Irene, Agata, Tina e Lucia, iridescenti uccelli del paradiso, piante carnivore e vittime sacrificali, chiuse fra le pareti di un orrore da consumare, da espiare, da trattare con cura, da far cuocere a fuoco lento, immerse fra
parole vuote da ruminare in segreto. Parole sfuggite al desiderio di un cuore senza più colore, un cuore essiccato come un pugno di sale, che si corrode, che brucia e che scuote la testa sussurrando: peccato!
ore 22.45
Compagnia Enzo Moscato
COMPLEANNO
testo, ideazione scenica e regia Enzo Moscato
con Enzo Moscato
voce su chitarra Salvio Moscato
Dedicato alla memoria di Annibale Ruccello, giovane drammaturgo tragicamente scomparso nel 1986, il testo sviluppa il doppio tema incrociato dell’ assenza e del delirio, intesi entrambi come produzioni fantasmatiche fatte di parole, suoni, visioni, gesti, e mirati a colmare il vuoto, l’ inanità dell’ esistenza. O del teatro. Una specie di esercizio quotidiano del dolore, del controllo e di elaborazione della pulsione di morte, senza assumerne, però le condotte autodistruttive, ma sorridendone, talvolta godendone come una festa, un ciclico ricorrere di affinità elettive, di sconvolti, teneri ricordi.
“Uno spazio alquanto disadorno eppur pomposo. Un tavolo, due sedie, forse tre, non si sa ancora. Sedie poste l’una di fronte all’altra e/o d’accanto. Comunque, nella posa di un intimo, forsennato colloquio. Il tavolo invece sembra essere in attesa di un holiday tra amici o un birthday-meeting tra comari cinguettanti. Sulla tovaglia, in numero contato, rose rosse finte con bottiglia di modesto spumante già stappato e una coppa di metallo ordinariamente opaco. Nei pressi della coppa, ma in un angoletto, sfiorato appena dalla luce, dardeggiano diademi di stagnola, orecchini spaiati,rossetti inaciditi.E poi, da qualche parte, in fantasmatica parata, incedonoInes, Bolero,Spinoza, i sorci, le matte, le gatte Rusinella,i mutanti, i maniaci, gli innesti, le ibride bebées-eprouvette, pirati, priori, scrittori,inquisitori, playbackiste, alligatori, razziatori di pistole, pronte ad essere suonate come sax una volta scartocciate da corbeilles d’intricate narrazioni. Materiale infiammabile, e si vede, proveniente da galassie papiriche-tufacee, rigorosamente made in Naples ovvero Babbilonia.”
ore 24.00
TEATRO SOTTERRANEO
produzione LA CITTA’ DEL TEATRO
100° C: COSE DI ANDERSEN
creazione collettiva di Teatro Sotterraneo
con sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli, Claudio Cirri
Una voce misteriosa presenta quattro personaggi dell’immaginario anderseniano. Scarpette Rosse, Sirenetta, Soldatino di Stagno e Brutto Anatroccolo vivono un naufragio raccontato per onomatopee e suoni, costellato di piccole cattiverie reciproche e prove da superare. Gli attori gestiscono direttamente dalla scena giochi tecnici di luci e musiche, sfidandosi fra capitomboli, litigi e corse da cartoon.
Ai bambini si offre un’ironica demolizione del tipico spettacolo per l’infanzia e una rielaborazione divertita dei più controversi temi anderseniani: la morte, vista ora con cinismo ora con spiritualità, la violenza spesso infantile e gratuita, il fallimento e il riscatto, la solitudine dei personaggi e il loro incontro, quasi sempre problematico o conflittuale.
Così come Andersen non rinchiude la propria fantasia entro i limiti della logica e della bontà, 100°C offre al piccolo spettatore la situazione tragicomica di alcuni personaggi celebri abbandonati in un posto inospitale e portati a usare soprattutto “le cattive”, inventando il da farsi in ogni istante, a seconda dei rapporti di forza e degli obiettivi.
Teatro Sotterraneo ha lavorato anzitutto sui testi di Andersen indagando l’uso che l’immaginario collettivo ha fatto dei sui suoi personaggi, cercando di attualizzare questi ultimi e di restituire loro il carattere alogico e poco rassicurante delle origini. A questo si aggiunge uno studio sulla biografia dello scrittore svolto in modo tutt’altro che celebrativo, anzi pronto a immagazzinare stranezze, patologie e difetti del fiabista danese.
Cose di Andersen, appartenute alla sua penna o alla sua persona, che portano ad ebollizione un sistema narrativo un po’ folle e disincantato che mette in dubbio la somiglianza fra il mondo e il racconto che se ne fa. Il bambino osserva tutto questo sapendo, forse meglio di un adulto, che la logica molto spesso non basta.
VENERDI 9 GIUGNO LA CITTA' DEL TEATRO
ore 17.00
Anna Barsotti e Gabriele Rizza presentano il volume
COMICITA' NEGLI ANNI 70- PERCORSI ECCENTRICI DI UNA METAMORFOSI FRA TEATRO E MEDIA
edizioni ETS
a cura di Eva Marinai, Sara poeta, Igor Vazzaz
Il volume, caratterizzato dall'intersezione, raccoglie contributi critici su campi diversi (teatro, letteratura, cinema, Tv) nella prospettiva delle varietà del comico che il mondo dello spettacolo offre, in Italia, dalla fine degli anni Sessanta all'inizio degli Ottanta. Panorama artistico improntato, di per sé da un clima storico-culturale mobile e rischioso: fra contestazione ed anni di piombo, autunno caldo e strategia della tensione, riforme e crisi del sistema.
L'indagine si apre alla riflessione teorica, anche allo scopo di rintracciare le linee d'una tradizione italiana della comicità (Petrolini, Totò) nella storia del teatro occidentale del Novecento. Ma nel periodo focalizzato emergono andamenti "eccentrici" di attori-autori o registi (Fo, de Berardinis, Valeri, Gassman, Villaggio, Moscato, Benigni, Moretti...) che concorrono ad una "metamorfosi" del comico sospeso fra teatro e nuovi media.
Trasmigrazioni e contaminazioni fra generi e spazi performativi, percorsi paralleli o incrociati individuano, alla fine, una figura di attore-creatore funambolo fra "cuore" (Artaud) e "ragione" (Brecht), nelle declinazioni del riso che esprime: vero e folle, ribelle o oscuro, riso-pianto, amaro o umoristico; attore incline al solismo, che procede per accumulazioni o montaggi di scene, frammentazioni del corpo e della parola - tic, gesti spostati, gerghi e dialetti reinventati, grammelot o abissi di silenzio, sghignazzate o "voci soppresse" - nel tentativo estremo di contrastare, con l'arte della visione e della memoria, l'aggressione della falsa realtà, della "società dello spettacolo".
Scritti di: Franca Angelini, Francesco Orlando, Claudio Meldolesi, Anna Barsotti, Paolo Puppa, Melanie Gliozzi, Paolo Bosisio, Eva Marinai, Luca Curti, Concetta D’Angeli, Pier Marco De Santi, Enrico Giacovelli, Igor Vazzaz, Maurizio Ambrosini, Elena Gremigni, Maria Ines Aliverti.
ore 18.00 presentazione del progetto multimediale
XLAB
LA FATTORIA DEGLI ANORMALI
Progetto crossmediale a cura di Xlab-Digital Factory
L’installazione sarà visibile per tutta la durata del festival dalle 17 alle 24
Il progetto si articola in quattro produzioni artistiche incrociate tra loro: Fumetto, Video digitale con animazioni 3D, Piattaforma informativa e creativa e web, Spettacolo tecnologico.
Il lavoro multimediale avanza per step successivi attraverso laboratori pubblici di creazione.
Il soggetto e i testi sono di Andrea Balzola liberamente ispirati a La fattoria degli animali di G.Orwell; l'idea da cui nasce la produzione è la risposta alla domanda: qual è la fattoria degli animali del prossimo futuro nella quale Orwell avrebbe ambientato oggi il suo romanzo? La risposta è: una grande azienda biotecnologica multinazionale che sperimenta e produce ogm, vegetali e animali (e perché no, umani) proprietaria di un network televisivo e di un portale web: la Genetical Animal Farm. La rivolta degli animali in questo caso è motivata e aggiornata dai più recenti e sofisticati abusi che il genere umano infligge al mondo animale. I leader della rivolta sono i più “evoluti animali transgenici” e in particolare i maiali che , geneticamente dotati di organi umani per i trapianti, sono i più prossimi all'intelligenza e alla psico-fisiologia umana.
Fumetto: Sceneggiatura di Andrea Balzola in collaborazione con Riccardo Pesce
Disegni di Onofrio Catacchio.
Video: Sceneggiatura e regia Andrea Balzola, grafica 3D e animazioni Andrea Brogi, sound design Mauro Lupone, postproduzione video Pierpaolo Magnani, direzione progettuale e coordinamento Anna Maria Monteverdi, interprete protagonista Emanuela Villagrossi
con la partecipazione di Paolo Giommarelli, Andrea Omezzolli e Chiara Pistoia
voci off Roberto Latini e Giovanni Guerrieri
inserti video a cura di Andrea Croci e Greta Sorana
ore 19.30
LORENZO GLEIJESES
in collaborazione con il "PROGETTO GIOVANI DEL TEATRO STABILE DELLA CALABRIA"
Dimostrazione di lavoro
Un viaggio ha bisogno necessariamente di tappe, momenti in cui fare il punto della situazione, verificare la rotta e la direzione del proprio cammino; la dimostrazione di lavoro che si propone ha al centro la stessa esigenza, fermarsi un momento per mettere a confronto il proprio lavoro con il punto di vista di un pubblico, ragionare non solo sui materiali a cui si sta lavorando, ma anche sulle modalità, sul “come” li si lavora e li si mette in scena. In questo senso la dimostrazione proposta da Lorenzo Gleijeses rappresenta anche una nuova fase del suo percorso attoriale che lo ha portato, figlio d’arte e di una forma di teatro tradizionale, a confrontarsi con la lezione di alcuni grandi maestri, grazie all’attività didattica del Teatro Stabile di Calabria, quali Lindsay Kemp, Nekrosius, Karpov, spingendolo a cercare di elaborare un proprio percorso eclettico e sincretico. L’incontro con l’Odin Teatret ha rappresentato la fase successiva, fondamentale nella creazione di un metodo di lavoro personale che tende ad appropriarsi di esperienze anche molto lontane tra di loro per rielaborale in un approccio congeniale a se stessi e in una forma di training personale. Dalla lezione di Eugenio Barba e di Augusto Omolù e sotto la direzione di Julia Varley è nato quindi Il figlio di Gertrude, primo frutto di questi tentativi: una solo performance che spazia dalla rivisitazione delle danze religiose brasiliane, gli orixà, alla vitalità del dialetto napoletano rileggendo e reinterpretando la figura di Amleto. Dagli incontri e dagli stimoli ottenuti da questo lavoro sta nascendo un nuovo progetto, che tenta di fare della varietà e della molteplicità degli approcci non più solo un aspetto della propria formazione, ma la cifra stilistica di un gruppo che riunisce artisti di provenienze geografiche diverse e dalle competenze molto eterogenee: danzatori, musicisti e attori che si incontrano cercando, attraverso la messa in gioco delle proprie competenze, di moltiplicare i modi e le forme del fare teatro.
La dimostrazione di lavoro proposta da Lorenzo Gleijeses rappresenta un momento di riflessione nel suo percorso formativo che lo ha portato, figlio di una forma di teatro tradizionale, ad elaborare un proprio originale approccio grazie alla lezione di maestri come Kemp, Nekrosius e Karpov e al fondamentale incontro con l’Odin Teatret. Momenti della solo performance Il figlio di Gertrude, per la regia di Julia Varley, saranno seguiti da frammenti di un nuovo progetto: la creazione di un gruppo di lavoro formato da attori diversi per provenienze artistiche e competenze che mettono in gioco e fanno reagire forme e modi diversi di fare teatro.
ore 21.30
REM & CAP PROPOSTE
ME & ME
scritto e diretto da Claudio Remondi e Riccardo Caporossi
con Claudio Remondi, Riccardo Caporossi, Davide Svignano
Una individualità sdoppiata in due persone, opposte e complementari.
Questi due signori si trovano a compiere un’azione che li costringe a reciproco confronto, accendendosi tra i due non pochi diverbi.
La ragione di questo contrasto è nella loro natura.
Uno parla facilmente, l’altro è taciturno.
Il signore in nero, indomito e confusamente ciarliero.
Il signore in bianco più surreale e pragmatico nella definizione dei suoi pensieri.
Uno di fronte all’altro riflettono, ciascuno a suo modo, con ironia sull’uomo e sugli aspetti delle sue condizioni mentali.
Un terzo personaggio vestito da postino irrompe nel consesso portando una lettera disputata tra i due e non letta.
Presenza di giovane che rivolgendosi loro con un elenco di frasi interrogative solleva dubbi e critiche.
ore 22.45
Giallomare Minimal Teatro
L'OMBRA DELLA TORRE
di Francesco Niccolini e Renzo Boldrini
con Marco Natalucci
operatori multimediali Roberto Bonfanti, Ines Cattabriga
regia Renzo Boldrini
“L’ombra della torre” è un racconto cum figuris, che attraversa una grande linea d’ombra che minacciosa percorre la nostra storia, una maledizione che sembra rendere, ai nostri occhi, “naturale”, preventivo ed intelligente, uno strumento come la guerra. E’ una favola per adulti che non garantisce il lieto fine.
“L’ombra della torre” si ispira alla concretezza della speranza, del desiderio di riuscire a ricordare e scoprire altri modi di proseguire il nostro cammino individuale e collettivo. Durante il percorso di preparazione dello studio costantemente ci è venuto in soccorso il formidabile verso “ci son più cose in cielo ed in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia…” Tesi avvalorata in questo nostro piccolo spettacolo da ciò che legittimamente allo spettatore, fra citazioni bibliche e accenni storiografici, sembrerà la parte più “fantastica” ma che in realtà è ispirata a una notizia riportata da “La Repubblica” di domenica 28 Agosto 2005. Un reportage su una zona dell’Africa del Sud, dove la terra è resa improduttiva da siccità e altre caratteristiche morfologiche - climatiche, e resa fertile da una dinastia di Regine della Pioggia che, tramite un loro magico segreto, hanno prodotto per un lungo tempo un concreto e puntuale effetto di stravolgimento del clima. Risultato non facilmente spiegabile da un punto di vista strettamente scientifico, ma che si è scientificamente interrotto, dopo aver persistito per decine di anni, con la scomparsa dell’ultima Regina. Un miracolo? Il desiderio, la speranza, la memoria, l’ascolto, il dialogo, il lavoro per costruire e non per accumulare, sembrano oggi un miracolo. Un miracolo sempre più necessario.
ore 24.00
Compagnia Katzenmacher
IL SOLE DEL BRIGANTE
regia Alfonso Santagata
di Alfonso Santagata
luci e musiche Tommaso Checcucci
con Compagnia Katzenmacher
video Luca Privitera
I confini tra Basilicata, Campania e Puglia hanno rappresentato per i briganti un triangolo di facile sconfinamento per agguati, fughe e rifugi. Dopo anni di raccolta di materiali sul brigantaggio, il percorso artistico di Alfonso Santagata si rivolge alle tentazioni di questo mondo per cogliere qualcosa che gli appartiene. Crudeltà e poesia nata dalla trasfigurazione della memoria.
Negli anni 1860-1861 con la caduta del regno dei Borboni e l’imporsi dei Piemontesi in tutto il sud d’Italia, si è creata in questi territori una situazione politica debole che ha favorito il fenomeno del brigantaggio di massa. In questa società contadina, che viveva siccità, guerre, tracollo del sistema amministrativo, uomini di azione a volte con doti militari acute si univano non per ideologie politiche rivoluzionarie, ma per vivere una vita individualmente libera che non sottostava al controllo dei nuovi arrivati al potere. I Briganti erano delle bande armate formate da contadini, pastori e militari allo sbando, esausti dalla miseria che la situazione politica aveva creato con tasse ingenti e ingannati dalle promesse di terre mai ricevute.
Le storie dei briganti si tramandavano oralmente, poiché la collettività che li sosteneva, contadini e pastori, era analfabeta. La memoria orale dura a volte dieci, dodici generazioni, in questo modo molte storie sono arrivate fino a noi.
SABATO 10 GIUGNO LA CITTA' DEL TEATRO
ore 17.00 incontro con
OLIVIERO PONTE DI PINO e PAOLO RUFFINI
NUOVO TEATRO - NUOVA CRITICA
Da sempre il teatro si impegna a reinventasi linguaggi, spazi, funzioni. Chi ne scrive deve trovare nuovi sguardi, forme, luoghi - insomma, una diversa sintonia con "il teatro che si fa". Come si è modificato in questi anni il confine tra la scena e chi la guarda (e ne scrive)?
ore 18.00
ALTRI SGUARDI Materiali di riflessione su video e disagio
a cura di SANDRA LISCHI
I diversi modi di rappresentazione del disagio in video, dalla documentazione di laboratori teatrali alla messa in scena, dalla testimonianza dei singoli alla costruzione di un'architettura narrativa. Elementi per una riflessione sui linguaggi fra video, teatro e disagio a partire da estratti dalla produzione audiovisiva recente, sia di esordienti che di autori affermati.
ore 18.30 seminario
TRA NARRAZIONE E STORIA: LA MEMORIA TRADITA
con FRANCESCO NICCOLINI
Dal Vajont a Porto Marghera, dal Mahabharata ai Papalagi, dai Partigiani alla Via Crucis, dalla Torre di Babele a Roncisvalle: da dieci anni Francesco Niccolini dedica una parte importante del proprio lavoro in teatro a raccontare la storia e la memoria. I modi sono i più diversi e, ovviamente, sono legati ai diversi autori e registi per i quali questi racconti sono nati. Ma quale è il percorso che porta alla costruzione di questi spettacoli? Quale è il rapporto con la storia, con la verità e, soprattutto, con l'invenzione? Come si mischiano le esigenze dell'onestà della ricostruzione con la costruzione dell'arte?
ore 21.30
COMPAGNIA ENZO MOSCATO
CO'STELL'AZIONI
( S-concerto enfatico per le saline degli sconfinamenti)
con Enzo Moscato
e con la partecipazione di Giuseppe Affinito junior
testo, ideazione scenica e regia ENZO MOSCATO
realizzazione costumi TRAMONTANO ARTE
musiche Donamos
Già messo in scena – in versione recitativa plurale – dallo stesso autore, tra Natale/Capodanno dell’anno 1995/’96 ( anche allora ispirato dall’installazione in Piazza Plebiscito, a Napoli, dell’incantata, bianca montagna di Mimmo Paladino ),
“ CO’STELL’AZIONI” – liberamente tradotta dall’opera poetica dell’irregolare Jean Cocteau, coll’apporto di un esperantico idioma italo-napoletano, diaccio e al contempo infuocato, passionale, minaccioso – narra, o de-narra, del difficile rapporto tra vivi e morti, parola e sua negazione, libertà e prigionia, come pure della necessità di scavalcarlo.
Tracciando così in scena un percorso, accidentato ed ellittico, tra coppie espressive di opposti: anarchia e rigore, senso e non-senso, dis-ordine e appello disperato al suo contrario.
Per la conquista, forse, o la sua illusione, di uno sguardo autentico all’anima.
Non imperscrutabile ed oscura cosa in sé, ma semmai punto d’inter–sezione, immanente quanto vera relazione, tra l’interno e l’esterno di noi stessi.
ore 22.45
ADARTE
CARNE
di Alice Guadagni, Andrea Omezzolli, Chiara Pistoia
con Andrea Omezzolli e Chiara Pistoia
drammaturgia della scena Alice Guadagni
una produzione Compagnia Adarte, Compagnia del Teatro Lux, Regione Toscana
con il sostegno di Cantieri Majazè - Catania
Un viaggio attraverso le possibilità del corpo. La fatica del restare aggrappati, del credere, del procedere stanchi e ostinati. Lo slancio gratuito che si oppone alla forza di gravità per un unico appello: il pudore della nostra resa.
Carne è uno spettacolo di teatro danza che nasce dalla collaborazione tra Andrea Omezzolli e Chiara Pistoia, danzatori e coreografi, e Alice Guadagni regista e drammaturga. Una creazione a tre mani che ha visto incontrarsi e scontrarsi linguaggi e canoni diversi. La scrittura fisica e la partitura della scena sono frutto di un lungo lavoro d’improvvisazione che è andato sedimentandosi, nelle differenze delle autoralità, a servizio di una sensibilità comune che ha indagato il senso della fatica nelle possibilità di un corpo mortale. La fatica del resistere e dell’esistere, a volte, anche contro la sola forza di gravità. Sulla scena, un uomo e una donna rapiti dal ballo e dall’anonima sequestri della propria identità. L’eco di una risata fragorosa fa da sipario alla danza di queste due anime di carne, che passano dalla sincronia perfetta allo scoordinamento totale, dalla vicinanza alla solitudine. Alle loro spalle due lapidi d’acciaio. Le musiche spaziano da Murcof a Fossati, in un gioco di assonanze e dissonanze. Come le luci, disegnate da Giuliano De Martini, ora brusche, ora accoglienti, che si fanno lente della splendida miseria del corpo, che è il centro di questo lavoro.
ore 24.00
M'ARTE
COME CAMPI DA ARARE
Premio scenario 2003
progetto e testo Sabrina Petyx
con Alessandra Fazzino, Sabrina Petyx, Caterina Marcianò
scena Giuseppe Cutino
costumi Daniela Cernigliaro
disegno luci Franco Marridatore
luci Emiliano Pascucci
collaborazione artistica Sabrina Recupero
regia Alessandra Fazzino, Giuseppe Cutino
Vite solcate come campi da arare. Vite da possedere, vite di cui cibarsi, da lasciare ad ardere al sole. Vite che ad ogni pioggia, piano piano scivolano via.
Storie clandestine, da sempre. Nate in segreto. Vissute per essere dimenticate.
A chi appartengono queste mani e questi corpi calpestati, ignorati, queste terre di conquista fatte di carne e di sangue? Terre di conquista coltivate per diventare la cena dagli altri; numeri da registrare, senza nome, senza ricordo, senza una vita di cui parlare.
Eppure quella vita è lì, appesa ad una speranza, aggrappata ad un sogno, privata di ogni opportunità.
“Come campi da arare” è la storia di un viaggio che forse non inizierà mai, di una fuga senza punto di arrivo. Di un volo verso un luogo che non sarai mai abbastanza “altrove”.
È una storia senza voce. È un paio di ali fatte in casa.
E’ il desiderio di traghettare al dì là del proprio destino con un bagaglio fatto di orrori, rovine, macerie, di promesse infrante, di grandi amori, di piccole cose.
E’ una storia di piccoli affetti, di piccole vite, vite che non contano niente, che la storia rispedisce al mittente e che nessuno riconoscerà mai.
Premio Scenario 2003
LUNEDì 12 GIUGNO - pisa
ore 9.30 AUDITORIUM ANTONINO MACCARRONE pisa
Celebrazione dell'anniversario della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile
"I DIRITTI DEI MINORI" conferenziere DON LUIGI CIOTTI
seguirà la presentazione a cura dell' Assessore provinciale ANNA ROMEI del "COMUNITY PORTAL", strumento di servizio per l'abbattimento graduale dello sfruttamento del lavoro minorile e l'abolizione immediata delle sue forme peggiori.
8-9-10 GIUGNO ore 17.00/24.00 LA CITTA’ DEL TEATRO
VIDEO
Durante il festival sarà in funzione una sala di proiezione dove sarà possibile visionare estratti video sulla storia passata e presente de La Città del Teatro.
UNA VISITA di Beniamino Joppolo
messa in scena Antonio Alveario e Alessandro Garzella
video Andrea Bastogi
AFFRONTI
messa in scena e drammaturgia Alfonso Santagata
di Andrea Bastogi
INCONTRO CON MARISA FABBRI
Progetto Le figlie di Kore
Studio produttivo Festival Mercanti in Fiera
INCONTRO CON FAUSTO BERTINOTTI E FRANCO LOI
Tra politica e poesia
Progetto Il Disordine delle Arti
IL SOTTILE FILO ROSSO
voci e immagini della sofferenza mentale
video film a cura di Roberto Faenza
ideazione, conduzione e regia teatrale di Fabrizio Cassanelli e Alessandro Garzella
regia video Filippo Macelloni
SINTOMI - E’ più potente di me
video Giacomo Verde
teatro Fabrizio Cassanelli e Alessandro Garzella
SMATTATORI prima assoluta
video a cura degli
studenti CMT del laboratorio Teatro e Disagio
Smattatori è un tentativo di mostrare la nostra esperienza e i nostri punti di vista emersi durante i laboratori di Sandro, Fabrizio, Letizia e Francesca, nell’ambito del progetto “Teatro e Disagio”.
Tutto parte da ciò che i nostri occhi hanno visto, dalla nostra prospettiva e dalla voglia di metterci a giocare, anche se con un po’ di timore, insieme ai conduttori e ai ragazzi.
Ci siamo fatti molti domande, siamo sprofondati dentro ai loro giochi e ai loro esercizi, ci siamo interrogati sul Gioco del Sintomo e i suoi effetti ma, spesso, non abbiamo trovato risposte.
E’ anche questa dimensione di dubbio, di questioni irrisolte, che abbiamo cercato di proporre nel video, e che, speriamo, possa forse far nascere, chissà quando, altre domande.
INFORMAZIONI
Ad eccezione degli spettacoli tutti gli eventi sono ad ingresso libero
Singolo spettacolo: intero 10 euro ridotto 5 euro
Intera serata (3 spettacoli): intero 24 euro- ridotto 12 euro
La biglietteria aprirà alle ore 20.30
La Città del Teatro
Via Toscoromagnola 656
Cascina - Pisa
tel. 050.744400-744298
fax 050.744233
www.lacittadelteatro.it
Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Regione Toscana – Provincia di Pisa- Comune di Cascina – Comune di San Giuliano T. - Fondazione Toscana Spettacolo
in collaborazione con PARALLELO DANCE – TEATRO DI PISA – PALERMO TEATRO FESTIVAL
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