A Fabrizio Pozzilli,
amico carissimo,
indimenticabile editore del testamento artistico di Julian Beck.
In memoria
Paradise Now.
A Pisa! A Pisa!
Ho cominciato a occuparmi del Living quando avevo vent’anni, alla fine degli anni Ottanta, dopo la morte di Julian Beck. O per meglio dire, a vent’anni ne sentii parlare per la prima volta a lezione all’Università di Pisa da Fernando Mastropasqua quando ancora qualcuno dentro il nostro Dipartimento si preoccupava di spiegare la grande stagione della neoavanguardia teatrale. Con me Giovanni Guerrieri dei Sacchi di sabbia e tra quelli della generazione successiva, Mauro Aprile e Erica Magris che hanno intrapreso o la carriera di registi teatrali e cinematografici o quella dello studio e della ricerca. La mia generazione ha imparato a conoscere il Living dalle repliche di Mysteries, da Utopia, dai laboratori con Judith, Hanon e Tom Walker, quelli di Cathy Marchand e quelli di Gary Brackett. Dai video e dai film degli spettacoli e dai libri. Nel 1995 Mastropasqua ospitò a lezione Judith e Hanon in una giornata che fu davvero memorabile, professori e studenti per la calca si sedettero insieme per terra o sui banchi. Judith spiegò che “viviamo sempre in epoca pre-rivoluzionaria”e raccontò degli incontri nel Teatro della 14a strada con Cage, con i poeti Beat, il suo lavoro con Piscator e l’impegno anarco-pacifista a teatro e nella vita. Ricordo quel bel pranzo preparato al termine della mattinata universitaria dal mascheraio e studioso di teatro greco Ferdinando Falossi nella sua casa pisana. Pranzo rigorosamente vegetariano allestito con una cascata di colori che Judith apprezzò molto.
Paradise Now.
Memorabilia
La passione suscitata dai racconti del loro teatro da Mastropasqua mi convinse a compensare questo ritardo occupando le sale teatrali che ospitavano il nuovo Living o quelle cellule staccatisi negli anni dalla loro costola. Ma non ho mai voluto iscrivermi ai laboratori, pur partecipandoalla loro organizzazione. Osservavo e appuntavo, registravo o tenevo a mente, fotografavo e riprendevo. In maniera caotica, accumulando materiali che diventavano sempre più ingombranti da trasloco a trasloco: cataloghi di Festival, monografie e volumi stranieri, diari, fotocopie di recensioni, tesi di laurea e tutti i video, anche quelli non ufficiali, “non catalogati”.
Bellaria-Theandric
Nel 1994 "Living Picture", la retrospettiva in film e in video dedicata al Living, di cui fui informata da un trafiletto sul "manifesto". Era in maggio, a Bellaria, collegata al Festival di Riccione e al Dams di Bologna, da un’idea di Cristina Valenti una delle studiose di teatro più seriamente impegnate sul fronte Living. Sarebbero stati presenti oltre a Judith e Hanon anche l’editore della Socrates, Fabrizio Pozzilli che proprio quell’anno aveva pubblicato in una veste ricchissima di fotografie inedite, l’edizione italiana di Theandric, curata da Gianni Manzella, con un’appendice di immagini dei quadri di Beck. Scattai varie foto nel gazebo all’aperto in occasione della presentazione di Theandric e presi molti appunti; trovai queste stesse note straordinariamente utili per il mio libro sul Frankenstein anni dopo. Da quell’anno Mastropasqua divenne il “presentatore” ufficiale di Theandric a Milano, a Prato, a Modena, a Roma, alla Spezia, oltre che amico carissimo di Pozzilli.
Quella retrospettiva fu l’inizio del mio viaggio verso il Living Theatre. Antonio Costa, responsabile della sezione audiovisivi ci permise di visionare in privato durante la manifestazione, l’Antigone. Credo che fu proprio quella visione “pirata” dentro una piccola sala non oscurata, dell’Antigone televisiva di Bari che sostituiva l’amaro ricordo della versionemalconcia della Biennale di Venezia, a folgorarci e a convincere me e Fernando a inseguire con maggiore ostinazione la meravigliosa storia di questo gruppo.
Un paio di anni dopo mentre tornavo da un concorso di dottorato a Bologna, in treno lessi sull’Unità che Fabrizio Pozzilli, era morto, stroncato da un male incurabile. Compresi il motivo del silenzio a tante nostre lettere. Io e Fernando ci impegnammo per anni a mettere in programma d’esame Theandric e a comprarne copie da regalare ad amici e biblioteche. Fabrizio aveva fatto in tempo a vedere realizzato il suo sogno: quello di pubblicare le biografie degli artisti che amava. Tra questi Julian Beck e John Cage.
Christmas Cake for Hot Hole and Cold Hole (Torta di Natale per buco caldo e buco freddo) in una favela di Rio de Janeiro (1970).
Biblioteche e “Lost and Found”.
Ho sempre amato cercare materiali del Living in ogni biblioteca in cui mi trovavo. Alla Biblioteca di Arti dello Spettacolo dell’Arsenal di Parigi, nel quartiere della Bastiglia ho consultato alcuni dattiloscritti dell’epoca della presenza del Living a Parigi nel Sessantotto, mentre la direttrice mi metteva a disposizione un leggìo in legno e un segnalibro in stoffa imbottita. A Montréal, alla Biblioteca Cittadina e in quella universitaria di Québec City fotocopiai alcuni testi tra cui una tesi di laurea degli anni Settanta su Marcuse e il Living.
Gli amici poi, negli anni mi hanno aiutata a racimolare materiali sul Living: Fernando si separò dalla locandina di Paradise Now con il famoso diagramma, Andrea Balzola mi lasciò un’edizione rarissima stampata in numero limitato da una tipografia anarchica di un libretto sul Living datato novembre 1966; un bibliotecario di New York mi lasciò il diario di Judith The enormous despair destinato al macero con ancora annotate le persone che negli anni lo avevano preso in prestito. Giacomo Verde mi fece avere il libretto sulle Sette meditazioni e mi rilegò il copione del Frankenstein che mi ero fatta spedire da New York. Luca Fregoso, fotografo spezzino presente alla Biennale di Venezia negli anni Settanta, mi regalò incorniciata, una stampa in bianco e nero di un suo ritratto inedito di Julian Beck, fotografia che ho portato sempre con me in ogni trasferta. Almeno fino a quando non decisi di regalarla così com’era, con il suo vetro e la sua polvere, a Judith che a sua volta l’appese per due anni nella cucina di Rocchetta e una volta smantellata la sede, la foto è finita nell’archivio torinese dell’Orsa.
Judith Malina celebra il Shabbath al Centro Europeo del Living; al suo fianco Hanon Reznikov.
Viaggi di oggetti! Maurizio Maggiani mi ha regalato la sua copia di Paradise Now comprata quando uscì negli anni Settanta, molto sottolineata e con la copertina tenuta insieme al resto del libro da un elastico. Judith mi ha regalato invece il suo libro di poesie, Love and Politics con una dedica che mi commuove ancora ogni volta che la leggo.
Il Living Theatre a San Francisco alla fine degli anni Sessanta.
Maschera e rivoluzione
Con Mastropasqua abbiamo organizzato conferenze, incontri, proiezioni, retrospettive e pubblicato saggi. A Pisa per due anni di seguito la Biblioteca di storia e cultura anarchica Franco Serantini ci permise di mettere insieme un calendario fitto di appuntamenti sul Living a cui partecipò anche Cristina Valenti (presentando Antigone e Le sette meditazioni sul sadomasochismo politico), che da poco aveva licenziato il libro-intervista a Judith Malina. Il volume Maschera e rivoluzione, testimonia queste conferenze dedicate alla loro storia, anche quella più recente.
Ospitammo poi Judith e Hanon alla Spezia e introducemmo una serie di incontri che coinvolgevano anche le scuole superiori. Organizzai l’evento con una piccola associazione e mi aiutò un assessore che era anche professore di filosofia. Non sapevamo come avrebbe risposto la città. Ci colpì la folla intervenuta in un luogo dove gli eventi culturali e specialmente teatrali sono evitati come la peste! Venne anche mia madre, coetanea di Judith. Tra gli spettatori il professore di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, prof. Fabio Trombetta che alla fine dell’incontro mi chiese di “venire ad affascinare i suoi studenti” con delle lezioni sul Living Theatre. La proposta era allettante e il modo con cui fui “precettata” davvero originale, proprio nello “stile Living”!
E poi la presenza per tre anni del Living a Livorno con laboratori su Mysteries e spettacolo al Nuovo Teatro delle Commedie dentro il progetto di Mastropasqua “La casa del teatro”.
Livorno accoglie tutti gli anni presentazioni del Living o opere a loro ispirate. Il tecnoartista Giacomo Verde ha creato in occasione dell’inaugurazione del Teatro restaurato nel dicembre 2003, l’installazione interattiva Inconsapevole macchina poetica, in cui il visitatore poteva rispondere con la tastiera di un computer ad alcune domande e le risposte si “combinano” sullo schermo alle parole delle poesie di Beck, rendendo così lo spettatore “poeta inconsapevole” perchè “Ognuno è un artista sublime” (J. Beck).
Resistance a Beirut di Marco Santanelli.
Frankenstein, 1995
Per l’Accademia di Carrara decisi di occuparmi del Frankenstein. Hanon mi fece avere una copia della cassetta e passai mesi a decifrare il testo dello spettacolo e a tradurlo. Era il 1995, anno della morte di mio padre e la notte del 14 settembre di quello stesso anno, ad Amman mentre ero ospite in un albergo nel quartiere delle ambasciate, sognai Beck (erano 10 anni esatti dalla sua morte).
La difficoltà più grande nel mio studio fu riuscire a fare un’analisi del Frankenstein completa e storicamente coerente ma ero consapevole che sarebbe stata “filologicamente scorretta” perché prendeva spunto da tutte le versioni differenti di questo spettacolo elaborato dal gruppo collettivamente. Avevo creato un “mostro” Frankenstein che osservavo continuare a crescere e ad alimentarsi di quella “vita inevitabile” a cui un materiale drammaturgico e scenico così intenso era stato sottoposto. Non era scorrettezza filogica. Era la vita organica che si imponeva sul rigore libresco... Quando Gary dice che una delle imprese più straordinarie del Living è stata la “creazione collettiva” rende onore a una modalità tra le più irripetibili inventate dal Living ma anche tra le più difficilmente comunicabili! Ne ho fatto esperienza proprio con il Frankenstein. Una volta avuto il direction book cominciarono i guai: le diverse mani, i ripensamenti documentati dacancellature, riscritture successive e soprattutto le firme collettive impedivano di capire a fondo il procedimento creativo. Che, ho l’impressione, potrà diventare patrimonio di conoscenza reale solo per chi è parte integrante del processo artistico. Qualche anno dopo ho pubblicato un libro che radunava queste ricerche e che per me vale più di ogni altra cosa che ho scritto fino ad oggi perché lo ha stampato non una casa editrice teatrale ma una cooperativa anarchica (la BFS di Pisa) e soprattutto perché porta un’illuminante nota introduttiva scritta da Judith. Conservo ancora la lettera spedita da New York con un post it giallo di saluti e il simbolo della pace: “Ad Anna, Per amore e Pace”.
Seguite il Living ovunque esso sia
Andai a salutare il gruppo alla fine dello spettacolo Capital changes a Empoli nel 2001 alla sala teatrale del Giallo Mare minimal teatro di Renzo Boldrini e Vania Pucci. Ero con Giacomo Verde, chiesi cosa potevamo fare per loro, ci dissero: “Venite a teatro ovunque siamo”. E così la lunga catena del Living si rigenera e si alimenta con le nuove generazioni di spettatori come un fuoco inestinguibile. Siamo decine di migliaia in tutto il mondo che hanno questo compito di “andare a vedere il Living, ovunque esso sia” ed è una promessa “capitale”!
Rocchetta Ligure, 30 novembre 2000
Per il lavoro sul Frankenstein andai a trovare Judith e Hanon a Rocchetta Ligure, in un autunno di alluvioni del 2000. Mio figlio Tommaso aveva già compiuto un anno. Mi domandavo cosa ci trovavano in questo posto così sperduto tra i monti. Ma mi dovetti ricredere: lo spazio affidato al Living era grande, caldo e accogliente, con varie stanze e sala prove, tutto ricavato all’interno dello storico Palazzo Spinola. Un panorama incantevole. Hanon prepara il caffé, Judith prima di venire nella sala si sistema addosso una giacca molto colorata. Mi canta l’Inno alla gioia che faceva parte del Frankenstein. Spero che Giacomo la stia riprendendo. Un momento di grazia. Molta tranquillità. Il pomeriggio si preparano ad accogliere bambini delle scuole per il laboratorio su Resistance. Mi dice che lo porteranno in forma di oratorio col titolo Resist Now! a Genova 2001.
The Moloch Machine a Genova.
Né io né Judith né Giacomo potevamo immaginare in quel momento quale carneficina ci sarebbe stata, la morte di Carlo Giuliani, il ferimento da parte della polizia di tanti attivisti pacifisti.
Il laboratorio del Living Theatre a Livorno
Qualche foto.
Resist! e la sincerità di Dirk
Ho conosciuto Dirk Szousies, che mi ha molto colpito per la sua forza e la sua sincerità. Uscito dal Living alla morte di Beck, ne lascia forse il ricordo più straziante nel suo film Resist!, uno deidocumentari più belli che siano mai usciti non solo sul Living ma sulla storia di una compagnia teatrale. Le immagini di Judith sulla tomba di Beck. Non riesco a non abbassare lo sguardo rivedendo quei passaggi così drammatici. Dirk spiega il suo allontanamento dal gruppo: “Pensavamo che il Living fosse finito con Julian”. Una grande sincerità e poesia guida questo film. La povertà del Living non rendeva possibile mantenere una compagnia così numerosa e i tentativi di rifare il repertorio fallirono miseramente. Molti, dice Dirk, abbandonarono il gruppo e tornarono nei loro Paesi; il Living non poteva neanche assicurar loro un biglietto aereo...
The Rite a Genova.
Sign 0 the time
Ora ricomincio da Mysteries. Ormai l’ho capito. Quanto più mi allontano dal Living tanto più forte sento la necessità di tornare a loro. Ha ragione Gary. Quanti geni nascono con quella capacità di spezzare la forma artistica tradizionale? Oltre a Beck, Kandinsky, dice Judith.
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Nota
Per chi non ha familiarità con il Living Theatre e i suoi fondatori Julian Beck e Judith Malina, allora, benvenuti in un nuovo universo! Teatro politico, della gioia, teatro di liberazione, teatro della rivoluzione, il Living nasce dal distacco della mondana Broadway, influenzando generazioni di artisti e attivisti, dai poeti della beat generation degli anni Cinquanta fino a Jim Morrison, presente nei turbolenti e selvaggi anni Sessanta, nelle prigioni del Brasile negli anni Settanta, e ancora oggi in Europa, i componenti del Living continuano ad esplorare, sfidare e definire ciò che significa essere un artista.
I, Thou, Gary Brackett.
Quello che segue è un articolo richiesto per il ventesimo anniversario della morte di Julian Beck che voglio anche condividere su Internet. Un articolo sull’eredità del Living e la storia più recente del gruppo. Ci sono letteralmente, centinaia di siti da controllare su google, per saperne un po’ di più sul Living Theatre legati anche a chi è interessato non solo al teatro ma anche alla poesia, al pacifismo e alla politica.
Bologna, settembre 2005
Julian Beck, Untitled, 1944.
L’eredità di Julian Beck e il Living oggi
Forse il test che misura l’influenza di una persona può essere quello di considerare quanto le sue idee continuino a ispirare, a dare esempio di un sentiero che altri possano percorrere. In modo non dissimile, la vita e il lavoro di quella persona fornisce una misura del nostro proprio lavoro: un punto di riferimento nella sperimentazione, nell’impegno e nelle possibilità di successo. Il 14 settembre 2005 sono vent’anni dalla scomparsa di Julian Beck eppure il Living Theatre continua. Noi del Living, come ogni altro gruppo o artista che lavora oggi in teatro, nella poesia, nel cinema abbiamo sempre un punto di riferimento, che sia un genio o un modello di artista completo.
Non soltanto questa è un grande sfida per la ricchezza e ampiezza del suo lavoro, ma personalmente sento anche una certa responsabilità nel cercare di arrivare al livello della sua passione, della sua competenza, della sua profondità intellettuale, della sua efficacia come artista e anche come essere umano. Non ho dubbi che egli fu uno dei più importanti artisti del secolo passato e se aggiungiamo l’altro straordinario membro del Living, cioè Judith Malina, sono certo che la storia della combinazione di queste due grandi forze sarà studiata a fondo in questo nuovo secolo se non oltre. Fortunatamente per noi ella è in ancora ben in attività (a ottant’anni!) e continua a creare, sempre alla ricerca del prossimo spettacolo, della prossima forma che realizzi “la bella rivoluzione anarchica non-violenta”.
Certamente un elemento chiave in questo teatro meravigliosamente ricco è il lavoro di gruppo. Troppo spesso quando si parla del Living c’è un elemento che manca, e quell’elemento è la dialettica non solo tra Julian e Judith (tempestosa certe volte, così mi hanno detto) ma anche, cosa forse più importante, la dialettica tra quelle due energie dinamiche e la compagnia. Il teatro, più delle altre arti, è uno sforzo collaborativo e con il Living non si può minimizzare l’importanza del gruppo: quegli spettacoli che hanno portato il Living alla sua più grande notorietà non possono che essere stati prodotti dalla presenza stimolante di un ensemble. Stimolante, perché come spiega Judith, c’è una correlazione dinamica tra un movimento sociale e quello di una avanguardia di artisti politici: spesso il movimento segue gli artisti; un’altra volta sono gli artisti che hanno bisogno di raggiungere il movimento.
E questo vale anche per il rapporto tra autorità vera e propria dei registi e il gruppo.
E’ sufficiente dare un’occhiata a uno spettacolo come Paradise Now: dall’incredibile mole di energia e di sperimentazione della generazione degli anni Sessanta Judith e Julian trovarono ispirazione e a loro volta ispirarono quel grande movimento.
Julian Beck, Complete_Diagonal, 1944.
Forse io sono in una posizione privilegiata per parlare di questa eredità del Living dopo la sua morte perché incontrai il gruppo mentre egli era in ospedale scrivendo i suoi ultimi meravigliosi testi. Non avendo mai lavorato con lui personalmente, si potrebbe dire che sono parte della generazione “successiva”: se si vuole si può suddividere un periodo “con Julian” e un periodo “dopo Julian” quando si studia il Living, ma c’è il rischio di un eccesso di semplificazione, come molti tendono a fare. Se solo la vita fosse così semplice. Questo perché soprattutto, la storia del Living si sta ancora scrivendo. Molti hanno anche cercato di cancellare il Living come se avesse esaurito il suo contributo al teatro. Eppure quelli che esprimono questa idea sono davvero poco informati e costituiscono quella che io definisco la “generazione cinica”: quelli delusi o critici degli anni Sessanta sebbene ne parlino spesso. Guardando il Living di oggi per esempio, o anche altri artisti politici, quella gente si lamenta: “ma è già stato fatto!”. Questo tema dell’essere una “leggenda vivente” (gioco di parole tra living= vivente e living theatre, ndt) e il problema dello stile (lo stile Living) e del creare un lavoro nuovo e vigoroso è un tema attualmente in corso con cui noi costantemente ci confrontiamo. Certi ‘disobbedienti’, per esempio, commentando una performance in Piazza Verdi (Bologna) criticavano che il nostro stile ‘peace and love’ non era più appropriato- come se le loro tattiche di contestazione e di scontro con la polizia fossero qualcosa di nuovo!
Tuttavia dal nostro pubblico, a New York City e altre parti dell’USA, dall’Europa dell’Est (Belgrado, Sarajevo, Praga) a quella dell’Ovest, dal piccolo villaggio e dalla grande metropoli nel Medio Oriente (Libano), in teatri eleganti, o in Centri sociali dell’Italia e soprattutto nelle strada dove portiamo sempre i nostri spettacoli, il lavoro vecchio e nuovo del Living è stato accolto entusiasticamente. E ancora di più, abbiamo incontrato nei laboratori molte persone che continuano a testimoniare che il Living è ancora un teatro nuovo e vivace che dà loro una valvola di scarico di cui hanno urgentemente bisogno per le loro energie e uno strumento per andare avanti nel loro lavoro. Non c’è dubbio, dal coinvolgimento e dalla partecipazione attiva conseguente di questi partecipanti così come dal nostro pubblico, che l’eredità di Julian Beck e il lavoro attuale del gruppo è ancora vivo e vibrante.
La Creazione collettiva è un esempio di Procedimento di Autogestione Anarchico-comunista che per il popolo ha maggior valore di un lavoro teatrale. Creazione collettiva come una arma segreta del popolo.
Julian Beck, La vita del teatro
Tratterò brevemente di vari periodi successivi alla morte di Julian per sottolineare questo aspetto cruciale del nostro lavoro: il teatro come veicolo per la mobilitazione. Talvolta gli studenti mi chiedono se sia possibile oggi creare nuove forme a teatro. In genere rispondo: No. O, come dice Judith “Solo ogni cent’anni più o meno qualcuno irrompe con una nuova forma”. Ma ciò che può accadere in maniera emozionante, e ciò che è più importante per me, è lo sviluppo della sua funzione sociale. Per chi facciamo teatro? Chi viene a vederlo?
Julian Beck, Woman_Reclining_in_Sun, 1944.
Third Street Community Center
Non ci chiamiamo Il Living Theatre della Terza Strada di Manhattan ma in effetti questo è ciò che è diventato. Neanche quattro anni dopo la morte di Julian abbiamo inaugurato un ‘storefront’(un ex-supermercato) nell’East Village. Un quartiere coinvolto in una lotta tra residenti di lungo periodo, per la maggior parte poveri e “di colore” e il nuovo fenomeno della ‘gentrification’ (l’avanzare della cementificazione per la costruzione di nuovi edifici, ndt. Su questo aspetto della gentrification nell’East Side a Manhattan vedi M.Maffi, Nel mosaico della città. Differenze etniche e nuove culture in un quartiere di New York, Feltrinelli, 1992, ndt) che cercava di rimuovere queste famiglie e i molti artisti poveri che avevano fatto per decenni la loro casa qua. Gettati nella mischia molte persone senza tetto, attivisti del movimento per gli alloggi e vari altri attivisti politici dai comunisti dalla linea dura agli Anarchici e molti gruppi sociali che appoggiavano la causa, tutto questo con uno sfondo di club di Rock’n’Roll, bar, locali after-hours illegali, tossicomani e spacciatori e la polizia che dava la caccia a entrambi, squatters, gruppi dell’Anonima Narcotici, poeti, musicisti di strada, gang e varo elementi criminali, Hare Krishna, Cristiani fondamentalisti, studenti, punk, yuppies: questo era l’East Village e questo era il nostro pubblico. La maggior parte della ‘gente che va a teatro’ era troppo spaventata per avventurarsi fino nell’Est e nel Sud, dove noi eravamo, e venire a vedere il nostro lavoro. Più di una notte c’erano più attori sul palco che tra il pubblico!
Dopo aver tirato giù mura e alzato il soffitto, con molta eccitazione, lanciammo il nuovo Living Theatre. L’idea fu di mettere nuovi lavori in un repertorio a rotazione. Per quasi quattro anni creammo quattro nuovi spettacoli l’anno, molti testi adattati da poeti in diretta collaborazione con noi. In più, una volta alla settimana avevamo la nostra serata di poesia dove venivano presentati persone come Allen Ginsberg, Herbert Hunkie e Taylor Mead, tra gli altri nomi famosi, e anche molti poeti meno conosciuti e ‘Open mic’, notti in cui ognuno poteva presentare il proprio lavoro. C’erano anche Festival jazz, letture di nuovi testi, rassegna di danza, gruppi esterni con nuove produzioni, e molti gruppi dal quartiere con i loro eventi, party, o meeting. Non c’è bisogno di dire che c’era sempre attività fino a tarda notte con persone che bevevano, si drogavano, dormivano, facevano l’amore, organizzando, facendo prove, parlando, litigavano. Molto simile ai centri sociali qui in Italia, lo spazio della Terza Strada aveva qualcosa per tutti; tuttavia la sua attenzione era rivolta al teatro politico e ogni cosa che era presentata là aveva quel sapore di evento politico.
Julian Beck, White_Cracklings, 1945.
Non c’è spazio qui per elaborare la linea di sviluppo della forma del Living Theatre. Eppure forse le prime radici di un agire senza finzione trovano posto nel suo primo attivismo politico nelle strade di New York negli anni Cinquanta contro la bomba atomica, dove era presente in un senso elevato e si presentava nella strada come nella vita di tutti i giorni ma nella modalità teatrale della protesta. Così è stato nella Terza Strada, quando insieme con un gruppo di senza tetto da un ricovero locale creammo lo spettacolo, The Body of God. Ancora una volta queste erano persone, non attori- “sul palco” ma senza recitare- all’interno di una cornice di una presentazione teatrale. E di fatto quello non era una finzione, non più, forse, di una narrazione onesta e sincera; la vita si mescolava al teatro e il teatro diventava un evento.
Questo aspetto della vita come teatro, teatro come vita c’era in The Connection (1959) con i musicisti jazz che suonavano dal vivo sfidando gli attori bianchi a non “fingere”; o The Brig (1962) con una messa in scena così reale e crudele che era impossibile “recitare”; o Mysteries and Smaller Pieces, (1964), puro rituale, senza personaggi o trama; o Paradise Now (1968) dove con il confronto, attraverso la partecipazione, con il pubblico distruggeva ogni separazione tra arte e vita; questo iper-realismo dell’evento fu la grande scoperta del Living. Quelli che oggi fanno ‘Performance’ or ‘Performance Art’ forse non si rendono conto del contributo del Living a quella stessa forme. Eppure ciò che si mantiene della forma del Living (ed è ciò che manca alla maggior parte delle performance) è una ricchezza di stili e forme con radici profonde: il teatro epico-politico di Piscator, l’espressionismo, Artaud, la biomeccanica da Meyerchol'd, il teatro brechtiano, il teatro di parola e di poesia, specialmente i poeti Beat, e anche la grande influenza del jazz e persino della danza moderna.
Forse a causa del nostro profondo coinvolgimento nelle lotte locali all’East Village, l’amministrazione cittadina trovò la scusa necessaria (e facile) per costringerci a chiudere quello spazio. Bisogna capire che c’era poco pubblico per finanziare le produzioni in quel periodo (e in tutto quel periodo!), e per gli attori; nella Terza Strada nessuno aveva un salario tranne il sottoscritto (come tecnico e organizzatore generale) e uno o due amministratori. Così di fronte all’impossibilità di far fronte ai conti (licenze, messa a norma dell’edificio, ecc), insieme agli alti costi delle spese di organizzazione, abbiamo dovuto chiudere il teatro.
Julian Beck, Untitled, 1945.
Ancora nomadi
A questo punto il Living conta circa 30 membri attivi. Abbiamo ancora contatti con l’Europa e l’Italia, facendo tournée e laboratori intensivi, in questo periodo. Ancora una volta senza una casa, il Living fa affidamento agli amici che hanno teatri e spazi di prova a New York, e produttori in Italia che possano organizzare il lavoro. Eppure, con le molte difficoltà per la compagnia e i suoi singoli membri che hanno lottato per stare a galla, questo periodo ha prodotto spettacoli notevoli come Utopia, Capital Changes, Anarchia, il revival di Mysteries and Smaller Pieces (1964), e il nostro importante lavoro contro la pena capitale, Non In Mio Nome.
Julian Beck, Untitled, 1948.
Forse si potrebbe parlare di un processo particolare del Living: la creazione collettiva. La maggior parte dei capolavori del Living durante gli anni Sessanta e Settanta sono stati tutti creati collettivamente e questo processo continua ancora oggi. L’equilibrio dinamico tra regia, scrittura del testo, creazione della messa in scena, design e musica può essere descritta al meglio come un fluido, che dipende dalle necessità della rappresentazione. (Hanon Reznikov per esempio ha scritto quattro delle nostre recenti produzioni, e la sua ispirazione spesso è il risultato delle discussioni del gruppo). Senza dubbio nessuno, osservando una delle nostre prove comprenderebbe immediatamente il processo poiché apparentemente cinque o sei o più voci dirigono come un comitato. Nel Living ciascuno può dare una nota critica a un altro attore: un processo difficile e talvolta frustrante eppure uno si sente parte del processo di gruppo e qui il Living porta a termine una certa prassi della sua filosofia anarchico-pacifista. Questa processo conta anche quando uno si chiede: come si entra nel Living? Senza audizioni formali, per lavorare con il Living si deve semplicemente stare con il Living. Come ogni comunità il processo è organico, dipende dal luogo e dal tempo, dalle circostanze e dalle necessità di una produzione. Uno deve solo venire a trovarci.
Spesso i membri del Living sono disseminati qua e là. Sopravvivere come artisti a New York o in Europa è un’impresa tremenda e lavorare con il Living implica contemporaneamente molto sacrificio. Però questa difficoltà produce un lavoro fertile: sono molti i gruppi teatrali nati dal Living, o membri che hanno compagnie parallele. Siamo tutti registi, scrittori, poeti, musicisti, coreografi, produttori e attivisti impegnati in lavori anche fuori dal Living, che è così alimentato e reso più ricco da questo lavoro e a loro volta loro prendono sostentamento dal Living. Qui in Italia ci sono poche città o centri sociali che non hanno ospitato un laboratorio del Living Theatre o uno spettacolo. Talvolta si sente dire- “Quale Living Theatre?”- perché da Napoli, a Roma e Bologna c’è stata una presenza continua dei membri del Living che creavano e mantenevano ‘cells groups’. E questi stessi gruppi hanno più volte rotto il ramo che li legava al Living per rimanere autonomi e proseguire per la propria strada.
Julian Beck, Untitled, 1950.
Sede in Europa
Dal 1999 al 2004 il Living ha trovato una casa qua in Italia, al Centro Living Europa, a Rocchetta Ligure (AL). I successi e i problemi di questo periodo sono documentati nel film Resist dell’attore del Livng Dirk Szuszies e si può fa riferimento per questo periodo a un link con numerosi articoli (see: http://garyliving.blogspot.com/). In breve, abbiamo creato Resistenza, sulla lotta partigiana contro il fascismo Resist Now, presentato in occasione del G8 in Genova, ‘Love and Politics’, con J. Malina and H. Reznikov and Enigmas, basato su uno degli ultimi testi di Julian Beck. Anche il lavoro a New York è continuato con The Water Play, Resist Now (versione Americana), Quality of Life Crimes, and The Code Orange Cantata, per (contro) la Convention Nazionale Repubblicana(2004). Continuiamo a fare tournée per L’Europa e anche in Libano. Io ho anche ri-creato le Seven Meditations on Political Sadomasochism (1972) del Living e ho scritto e prodotto altre nuove produzioni Siddhartha, il sorriso del Fiume (da. Hesse), and Giovanna la Mariposita (basata sulla vita di Giovanna D’Arco) e tutti sotto gli auspici del Living.
Julian Beck, Untitled, 1954.
Ricominciando sempre
Oggi ancora una volta il Living sta ricreando se stesso. Perduta la sede di Rocchetta in Italia e invischiati in difficoltà legali, burocratiche e finanziarie per l’apertura di un nuovo teatro a Manhattan, il Living, in questa ricorrenza per il 20° anniversario della morte di Julian Beck sembra stia ricominciando di nuovo! Così, dove siamo adesso? Tornando alle parole di Julian, la domanda rimane sempre: perché vai a teatro? E se poi la nostra risposta è affermativa, che si, dobbiamo andare a teatro, allora quale teatro, e dove?
Julian Beck, Romeo_and_Juliette, 1957.
L’unico teatro possibile è il teatro di emergenza
Il libro di Julian Life of the Theatre si lascia leggere in maniera più efficace come manuale personale per il suo teatro di emergenza. Là troviamo, come nel suo ultimo libro e testamento artistico Theandric, due forzieri essenziali e assoluti ricchi di testi, idee, proposte e consigli per artisti e per la gente in lotta: per un teatro politico. Come può un artista di oggi non dirigere le proprie energie alla creazione di lavori che parlino della crisi fondamentale che ci troviamo di fronte in questo tempo di emergenza? Della continua guerra, dell’imminente disastro ecologico, delle economie fatte di ricchezze enormi e privilegi contrapposte a povertà insopportabili e carestie, di una cultura il cui cuore è interamente corrotto e che alimenta solo la sua stessa corruzione. Anche dalla voce di Julian, che fa ancora eco, facciamo esperienza dell’unico possibile antidoto a questa fine: la speranza. La funzione del teatro oggi, il suo ruolo nella vita, può solo essere realizzato se è impegnato a minare quella cultura antiteticamente opposta alla speranza. ‘Come possiamo fare un teatro che valga la vita dei suoi spettatori’, chiedeva Julian. Noi ci mostriamo e come dice Judith, cerchiamo di unificare gli aspetti divisi della vita, che sembra impossibile unificare: familiari, politici, sociali, religiosi, spirituali, sessuali, psicologici, artistici e economici- dentro e lungo tutta la vita quotidiana. Se nel teatro tradizionale l’attore che attende nelle quinte è una persona, e solo come scende nel palco diventa ‘consapevole della sua grande arte’, cioè diventa un’ altra persona, quello che desideriamo noi invece, e lo troviamo specialmente in Julian Beck, è questa possibilità del teatro totale che incontra una vita totale. L’una è inseparabile dall’altra Una è sempre accesa- non ci sono quinte in cui nascondersi dietro nella vita. Living: la vita è l’evento e l’evento è Living (vivente).
Sito del Living Theatre: www.livingtheatre.org
Sito (blog) del Gary Brackett: http://videoweekly.blogspot.com/
e-mail: garyliving@yahoo.com
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Mysteries and Smaller Pieces venne allestito per la prima volta dal Living Theatre il 26 ottobre 1964; il testo verrà trascritto soltanto nel 1969.
Mysteries and Smaller Pieces, The Chord.
L'occasione per un nuovo spettacolo che partisse dalle esercitazioni tecniche quotidiane della compagnia, dopo il successo di The Brig, l'allontanamento forzato dal loro teatro per inadempienze economiche e l'approdo in Europa come "esiliati", è data dalla richiesta di una nuova creazione a opera dell'American Centre for Students and Artists di Parigi.
The Brig (foto di Riccardo Orsini).
Lo spettacolo è articolato in nove scene che coinvolgono i corpi e i cinque sensi di attori e spettatori: The Brig Dollar; il Raga; l'Incenso; Street Songs; il Coro; il Respiro; Tableaux vivant; Suoni e movimento; la Peste. La trama insegue sottilmente ma senza dialoghi o finzioni narrative, il tema dell'individuo incatenato in una società retta da rigidità militari, violenza e denaro, all'eterna ricerca di una trasformazione interiore.
Mysteries and Smaller Pieces (Rufus).
Mysteries dalla première di Parigi del 1964, durata tre ore e terminata con un pezzo di free jazz, è anche l'unico spettacolo rimasto ininterrottamente in repertorio sino a oggi, con riprese "parziali e non ortodosse" e con modifiche anche sostanziali quali l'introduzione dell'apporto diretto del pubblico a partire dalla versione di Bruxelles (1965), secondo la testimonianza di Cathy Marchand, membro del Living Theatre dal 1980. Concepito inizialmente non come spettacolo ispirato a un testo ma come semplice visualizzazione di esercizi tecnici teatrali e per la meditazione e come montaggio di scene da spettacoli precedenti, Mysteries è attualmente utilizzato dal gruppo per seminari e dimostrazioni di lavoro attoriale: viene usato infatti come riferimento per la tecnica dell'improvvisazione e per l'addestramento all'ensemble, il cosiddetto "passaggio del movimento" presente nella sezione centrale dello spettacolo, che ha come riferimento una tecnica artistica ideata da Lee Worley e Joe Chaikin - quest'ultimo ex membro del Living Theatre e fondatore dell’Open Theatre - che ne avevano insegnato la tecnica ai Beck.
Certamente ogni ripresa dello spettacolo equivale a una sua modificazione di senso, o meglio a una sua attualizzazione e ridefinizione nel tempo storico: nella versione del 1991 ad opera di Serena Urbani in occasione della Prima Guerra del Golfo, per esempio, lo slogan Stop the War! assunse le caratteristiche di una rivolta antimilitarista fondamentalmente antiamericana.
Mysteries and Smaller Pieces.
Centrale nel lungo percorso biografico e artistico del gruppo la data di nascita dello spettacolo, cronologicamente collocato tra l'incarcerazione dei fondatori Julian Beck e Judith Malina al Passaic County Jail del New Jersey per debiti fiscali, l'allestimento di The Brig, ispirato ai principi del teatro della crudeltà artaudiana - e di cui rimarrà significativa memoria nella prima delle nove sezioni dello spettacolo - e l'allestimento del Frankenstein, inno anarchico alla creazione dell'Uomo Nuovo. Fondamentale per la storia del teatro il rivoluzionario principio formale fondativo appena inaugurato (la creazione collettiva rispondente alle esigenze della neo nata formazione del numeroso gruppo in comune anarco-pacifista ispirata agli ideali enunciati in Communitas da Paul Goodman) e potente il motivo ispiratore (la rigidità del sistema equivalente alla rigidità cadaverica del teatro-peste di Artaud). Il Living Theatre sarà in Italia - diventata loro terra di adoazione - quasi stabilmente a partire proprio dal 1964: Mysteries verrà rappresentato tra il 1964 e il 1966 in numerose città italiane: Roma, Trieste (dove diversi membri del gruppo verranno arrestati per oscenità), Napoli, Firenze, Venezia (all'interno della Biennale del 1965, dove proporranno anche la prima di Frankenstein), Parma, Catania, Bologna, Reggio Emilia, Trento, Milano, Torino, Bari, Genova, Rimini, Lecco.
Mysteries and Smaller Pieces (foto di Riccardo Orsini).
Si parlerà per Mysteries come di un brillante esempio di "spettacolo-che dura" secondo una bella espressione di Ruffini, di "teatro totale", di “spettacolo-manifesto” (P. Biner, Il Living Theatre, Bari, De Donato, 1969, p. 115).
Antigone.
Ma quale spettacolo del Living non è stato un manifesto? Antigone, manifesto del pacifismo; The Brig, manifesto del teatro della crudeltà artaudiano, Paradise Now, la Rivoluzione a teatro.
Paradise Now (Judith Malina).
Mysteries non ha un vero testo, così come non ci sono ruoli, ma oltre ai famosi slogan pacifisti, al suono del raga indiano, al contagio endemico da attore a spettatore della peste - immagine dell'invivibilità della società contemporanea secondo Artaud - e ai Tableaux vivants degni di un teatro-immagine, contiene alcune presenze poetiche: il poema The Brig Dollar (che enuncia le parole contenute nella banconota da un dollaro scritta da John Harriman) e le Street Songs di Jackson MacLow.
Forse vale la pena ricordare che la prima sede del Living Theatre, quella del magazzino della 101a strada (marzo 1954-novembre 1955), era caratterizzata proprio dalla presenza di serate poetiche di cui erano protagonisti come autori, lo stesso Jackson MacLow o William Carlos Williams.
MacLow, tra i principali artisti Fluxus statunitensi, è di fatto, una presenza importante nella vita e negli spettacoli del Living, come autore e come amico nelle lunghe discussioni sull'anarchismo a partire dal 1950, anno molto significativo per la formazione politica e ideologica dei Beck perché a seguito della lettura di articoli e testi dalla rivista "Resistance" sposeranno definitivamente le tesi libertarie. Paul Goodman, filosofo e scrittore anarchico (autore di libri tra cui Autorità e individuo che molto influenzerà i Beck) era chiamato da Julian Beck “il nostro poeta in sede” (J. Malina, Diaries, p. 25). Un periodo decisamente ricco di collaborazioni, di connubbi artistici e umani, poco conosciuto ma riccamente documentato dai Diari della Malina datati 1947-1957 e dai primi scritti di Beck. L'amicizia con i poeti della Beat Generation, soprattutto Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac, Michael McClure e John Giorno, aveva creato successivamente intorno alla seconda (e mitica) sede del Living, quella della 14a strada inaugurata nel 1957, un clima davvero creativo e “underground”, soprattutto se pensiamo che era collocato nel Greenwich Village, adiacente a vari locali storici della nascente cultura alternativa. Dunque Mysteries mantiene con la prima fase del teatro del Living, il cosiddetto "teatro di poesia" (De Marinis, 1995), un primo significativo legame; mentre la folgorazione dei Beck dal libro di Antonin Artaud tradotto in America da M.L. Richards (che sarà una degli artisti presenti al famoso Untitled event del 1952 ideato da John Cage alla Columbia University) produrrà la memorabile scena della peste descritta da Artaud non in un testo teatrale ma all'interno del saggio Il teatro e il suo doppio.
Bernando Bertolucci sul set di Amore e rabbia.
Il regista Bernardo Bertolucci assistette alla prima di Mysteries a Parigi nel 1964 e il suo incontro con Julian Beck fu importante: chiese agli attori del Living di interpretare, con la tecnica di improvvisazione vista proprio in Mysteries, Agonia, episodio del film collettivo Il fico infruttuoso che parlava degli ultimi attimi di vita di un santone con i tentativi da parte dei suoi adepti di riportarlo in vita.
Questo il ricordo di Bertolucci:
Volevo lavorare con il Living Theatre sin da quando fui abbastanza fortunato da essere presente alla prima di Mysteries nel 1964 che, ricordo, produsse in me la più profonda e forse l'unica emozione reale che io abbia mai provato a teatro. Quando incontrai Julian Beck fui immediatamente e irresistibilmente sedotto dalla sua straordinaria intelligenza come da una specie di spiritualità che egli trasudava fisicamente.
Questo lo schema dei seminari che il Living Theatre propone ancor oggi in tutte le parti del mondo a partire da Mysteries:
MYSTERIES
I direttori del Living, Judith Malina e Hanon Reznikov, annunciano la creazione di un laboratorio di cinque giorni che offre ai partecipanti la possibilità di studiare diverse forme di espressione teatrale per poi poter recitare per un pubblico uno spettacolo "classico" della compagnia. Mysteries and Smaller Pieces, che esplose sui palcoscenici dell'Europa nel 1964, fu il primo spettacolo visto al mondo che eliminò tutti gli elementi tradizionali del teatro. Si tratta di uno spettacolo essenziale, senza personaggi fittizi, senza trama, senza scenografie, senza costumi, senza effetti luci. Invece, gli attori del Living presentarono una serie di riti drammatici, creata dal gruppo in maniera collettiva, sotto la direzione della stessa Malina e di Julian Beck, il co-fondatore del gruppo, che scomparve nel 1985.
Mysteries and Smaller Pieces: "The Body Pile".
Il laboratorio, condotto da Malina e Reznikov, propone Mysteries come un ottimo veicolo per insegnare la pratica del teatro di ricerca a quelli che desiderano un'esperienza diretta nel campo. Lungo l'arco dei cinque giorni di lavoro (per quattro ore al giorno), i partecipanti impareranno l'improvvisazione, l'espressionismo artaudiano, il teatro politico di Brecht e di Piscator, l'uso dello yoga in scena e l'importanza primaria dell'ensemble nella recitazione. E siccome è sempre stato il parere del Living Theatre che non si può arrivare a capire il significato fondamentale del teatro senza l'incontro esistenziale con il pubblico, il laboratorio finisce con una vera e propria rappresentazione dello spettacolo, recitato nella sua forma originale e integrale dai partecipanti stessi. Il programma di lavoro è il seguente:
giorno 1 - introduzione al Living Theatre - il respiro yoga - l'improvvisazione
giorno 2 - l'espressione corporale - tableaux vivants - i cinque sensi nel teatro
giorno 3 - il teatro politico - l'addestramento dell'ensemble vivente - il canto indiano
giorno 4 - il teatro e la peste - l'incontro diretto con il pubblico - il mistero del silenzio
giorno 5 - prova generale e spettacolo
Mysteries come Misteri medioevali, come la ritualità dei Misteri cristiani senza la liturgia della parola ma unicamente del corpo. Corpo collettivo, corpo sociale.
Di Mysteries abbiamo alcune documentazioni con firme "eccellenti", tra cui quelle del filmaker e critico lituano Jonas Mekas, regista indipendente, fondatore del Filmakers' cooperative e già regista di The Brig e di altre registrazioni, alcune delle quali mai riversate in forma di film. Il film Street Songs girato in 16 mm (del 1966, ma montato soltanto nel 1983) documenta brevemente la sezione più poetica dello spettacolo; quella - su stessa ammissione di Mekas - che lui più aveva amato nella rappresentazione del 4 agosto 1966 al Festival di Cassis:
Street Songs è la registrazione realizzata in Francia di una sezione dello spettacolo Mysteries and Smaller Pieces del Living Theatre. Basata su uno scenario determinatamente cambiato scritto da J. McLow nel 1961, Street Songs, mischia canti politico-militanti attraverso suoni mantra. Julian siede a gambe conserte in mezzo ad un palco vuoto; le frasi che ripete: ‘Liberate tutti gli uomini! Bandite le bombe! Fermate la guerra! Liberate i neri! Cambiate il mondo!’ sono sia meditazioni sia richiami all’azione, come una folla di voci che rispondono a ogni frase mentre gli attori salgono sul palco e si mettono in cerchio, battendosi uno con l’altro la schiena e intonando collettivamente ‘Om’... L’insieme dell’urgenza politica con la misticità umana è data dalle immagini drammatiche in bianco e nero di Mekas che pulsano in modo vitale date dal movimento e dagli zoom della cinepresa che si alterna nel mostrare sia la parte più sociale - il gruppo - sia quella più personale - una faccia, una mano. (Sally Banes, "The Village Voice", 18 ottobre 1983, traduzione di Patrizia Daturi)
Recentemente Jonas Mekas ha montato in film nuovi materiali d'archivio sullo spettacolo accompagnandoli con la musica originale di Philip Glass: Mysteries 1966-2002.
La fondazione del New American Cinema a opera di Mekas e di cui farà parte John Cassavetes (autore di Shadows uno dei massimi successi underground, e soprattutto Shirle Clarke autrice di The Connection ispirato all'omonimo spettacolo del Living Theatre), il nascente clima underground, i film-diaries e i documentari di Mekas e compagni su tematiche di disagio spesso senza sceneggiatura e a basso costo, ben si adattavano all'ideologia politica e artistica del Living, che spesso ne era addirittura protagonista o soggetto ispiratore. La posizione di rifiuto di Julian Beck rispetto al teatro commerciale di Broadway, come si legge dal suo libro La vita nel teatro, ha evidenti analogie con i proclami anti-hollywoodiani presenti nei quattro saggi pubblicati da Mekas su "Film culture" agli inizi degli anni Cinquanta, che inneggiavano a una nuova generazione sperimentale di filmaker indipendenti. Una nuova linea artistica produttrice di istanze rivoluzionarie contrarie alle logiche mercantili dell'arte accomuna il cinema e il teatro di questi anni: dal free theatre al free cinema. Così Mekas:
Oggi, il bisogno di una approfondita ricerca riguardo gli standard estetici che raggiunga sia i film-makers che il pubblico per una completa revisione delle attitudini delle funzioni del cinema, ha assunto proporzioni più che mai di sfida. Le creazioni cinematografiche tendono ad essere avvicinate primariamente come merce, e gran parte del pubblico - per il quale andare al cinema è ancora semplicemente un passatempo - rimane spogliato del pieno significato dell’arte filmica. ("Film culture", gennaio 1955; sul cinema underground, vedi A. Leonardi, Occhio mio Dio, Milano, Feltrinelli 2003 (nuova edizione); e inoltre http://web.tiscali.it/cinema_underground/)
In Meditazione I, 1962 Julian Beck sostiene la nascita di un nuovo teatro che rompa con la letteratura e con la produzione di beni per piaceri effimeri:
La falsità degli ideali. Morte da Broadway. Abiti ideali, conversazione ideale. Morte da compromesso. Morte sicura da lusso e da mancanza dello stesso. Aspetti della scena che non rappresentano il mondo ma vanità. E' contro questa vanità della scena che ci siamo trinceratti, ancora senza sapere che utensili usare, né come usarli, insicuri, senza spirito, armata scalza di sbandati.
Il teatro di Broadway non mi piace perché non sa come dire Ciao. Il tono della voce è falso, i manierismi sono falsi, il sesso è falso, ideale, il mondo hollywoodiano della perfezione, l'immagine asettica, i vestiti bel stirati. Il culo ben strofinato, inodore, inumano, dell'attore di Hollywood, della star di Broadway. E' il terribile falso sporco di Broadway, i bassifondi di uno sporco, imitato, impreciso.
Una testimonianza di Mysteries è presente anche nel film Se l'inconscio si ribella di Alfredo Leonardi, regista e protagonista della stagione del cinema sperimentale romano degli anni Sessanta e Settanta. Mysteries è una presenza emblematica all'interno del film, che testimonia l'interesse e l'affetto di Leonardi (come già in Living and Glorious) per una comunità di artisti che hanno rivoluzionato il linguaggio teatrale con un nuovo approccio che tentava di coinvolgere gli spettatori nel modo più intenso, diretto e autentico possibile.
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Ferancesco Rutelli, oltre che vicepremier con Massimo D'Alema di Romano Prodi, è anche ministro dei Beni Culturali: una poltrona a cui teneva molto, e che ha soffiato a diversi cadidati eccellenti, anche se politicamente meno pesanti di lui (da Asor Rosa a Minà, da Borgna a Bettini).
Su Francesco Rutelli è inutile dilungarsi. Sui tre sottosegretari possono essere invece utili alcune informazioni (ricavate dalla rete...).
Inutile ripertevi che i forum sono a dispo per ulteriori precisazioni e commenti.
Elena Montecchi
Nata e residente a Reggio Emilia, è deputato e Vice Presidente del Gruppo Parlamentare DS l'Ulivo della Camera dei Deputati. Dal 1996 al 2001 è stata Sottosegretario di Stato, prima al Ministero del Lavoro e poi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Autrice del libro Le bimbe di Kabul, diario di un viaggio compiuto nella città afghana da una missione parlamentare italiana.
Andrea Marcucci
"Ho 41 anni, sono nato a Barga, dove vivo con mia moglie Marianna e i miei figli Giulia, Luigi e Francesco. Sono un imprenditore: mi occupo del settore farmaceutico come amministratore delegato della Kedrion Spa, e di quello turistico in veste di legale rappresentante de Il Ciocco International Travel Service. Ho fatto parte della Giunta dell'Associazione Industriali di Lucca e rappresento il «Settore industria» nella Camera di Commercio. Sono stato membro anche della Giunta di Farmindustria, che ho lasciato quando ho accettato la candidatura al Senato. Per me questo momento elettorale è un ritorno alla politica attiva dopo un lungo periodo: dal 1990 al '92 sono stato assessore alla cultura della Provincia di Lucca; nel '92 sono stato invece eletto deputato nelle liste del Partito Liberale Italiano, assumendo il ruolo di Vice Presidente del gruppo liberale alla Camera. La mia partecipazione diretta alla vita politica si è conclusa con il termine anticipato della legislatura, nel 1994. Ma la passione per la politica e per l'impegno civile non si è mai esaurita. Ho dato, con entusiasmo, il mio contributo alla nascita dell'associazione di cultura liberale Società Libera, di cui sono tuttora presidente, e ho scelto, senza esitazione, di aderire al centrosinistra, prima in Rinnovamento Italiano e poi, dal 2001, nella Margherita. Mi riconosco pienamente nel percorso compiuto da Francesco Rutelli e da tutto il partito per unire laici e cattolici in una comune prospettiva di democrazia liberale e di collaborazione con le forze del riformismo. Oggi mi candido al Senato per la Margherita, nella convinzione di partecipare a una scelta di serietà e di modernità per il Paese e di poter rappresentare, con efficacia, la nostra terra e la sua gente in Parlamento."
(dal sito http://www.andreamarcucci.it/chi_sono.html)
Danielle Mazzonis
Responsabile di Strategie e Sviluppo del Formez (Centro di Formazione Studi) del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio.
A Roma per parlare di "Oltre il riformismo, oltre il liberismo"
Il nuovo intellettuale europeo
di Rina Gagliardi
("Liberazione", 13 febbraio 2005)
Nel convegno promosso dalla Sinistra europea, la proposta di un progetto e di un lavoro: radicale, globale, interattivo. Bertinotti: «l’Europa non nasce senza una diversa statualità» Nasce, sta nascendo, un nuovo intellettuale: la sua dimensione "naturale" è europea, la sua attitudine, quasi altrettanto naturale, è la radicalità. La sua ricerca è la "riscrittura contemporanea" della politica, e di specialismi non separati, ma strettamente irrelati. Il suo impegno è un'unità di nuovo genere, diversa e dissimile da ogni vocazione all'"unitarietà" o a sintesi precoci. Per descrivere l'essenziale del convegno "Oltre il riformismo, oltre il liberismo", che si è tenuto a Roma venerdì pomeriggio (promosso dai componenti dell'esecutivo italiano della Sinistra europea, Graziella Mascia e Gennaro Migliore, ha riempito per quattr'ore l'aula parlamentare di vicolo Valdina), nulla è più paradigmatico di questa figura in divenire, relativamente inedita nel nostro panorama: sono gli intellettuali, i dirigenti politici e sindacali, gli operatori culturali che hanno aderito, quasi un anno fa, al Partito della Sinistra europea. Ora che si avvicina (prossimo autunno a Barcellona) il primo congresso di questo nuovo soggetto politico, loro hanno cominciato a lavorare, a pensare e a ripensarsi, a buttare giù le prime concrete trame di riflessione e ricerca. Il tema, come ben sappiamo, è di dimensioni colossali: l'Europa che vogliamo, che è possibile ed anzi che è necessaria. Contro l'Europa che rischia l'"americanizzazione" ma non nel senso banale che spesso il termine assume - come ha spiegato Danielle Mazzonis nella sua bella e complessa relazione introduttiva - ma in quello dello "sbiadimento" inesorabile della sua identità e dei suoi valori universali, nell'appiattimento progressivo di linguaggi, saperi, messaggi. Un tema ed un impegno, dunque, fortemente politici: ma ai quali non basta, forse neppure serve, una sponda politica tradizionale, un partito, pur di sinistra, come in fondo c'è sempre stato. Ed ecco, da capo, il valore affatto originale della Sinistra europea. Un motore nuovo, che può attivare energie e risorse altrimenti compresse, o "distratte" da scelte "nazional-provinciali" fino ad ieri non per tutti persuasive. Un soggetto nuovo, come ha detto alla fine Fausto Bertinotti, che può dotarsi come proprio orizzonte soltanto della "Grande Politica". Non è un paradosso, e non è neppure un ossimoro: viviamo un'epoca nella quale la catastrofe e l'alternativa convivono, coabitano quasi gomito a gomito, e l'una e l'altra si contendono il futuro: una totale regressione di civiltà, come un "altro mondo possibile". Si capisce, allora, perché la nuova intellettualità che si impegna, oltre gli steccati che finora l'hanno spesso separata dalla politica, è radicale: perché o è radicale o non è. Come si fa a fare cultura in un momento in cui tutta la cultura diventa merce - merce nel senso rigorosamente marxiano del termine? Ed ancora, all'apertura dei lavori, l'appassionata proposta di Danielle Mazzonis: se non vogliamo scomparire come "specie", se non ci affidiamo, com'è giusto, agli "esperti" di Bruxelles, dobbiamo rimettere nelle nostre mani il percorso che può approdare all'altra Europa. Riappropriarsi - come un po' si faceva alla fine dei '70 - il lavoro per un progetto che rompe le barriere tra economia, critica della scienza, lotta per la pace e l'ambiente, scompone e ricompone le soggettività, si struttura per tappe, regole e obiettivi condivisi.
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