ateatro
(speciale
satira politica)
numero 8 - 25
aprile 2001
a cura di Oliviero
Ponte di Pino
INDICE
In
anteprima il programma di "teatri90 danza", a
Milano dal 18 maggio al 3 giugno.
Invece di un corsivo
di
Oliviero Ponte di Pino
Due pezzi su Daniele Luttazzi
scritti
in tempi non sospetti da Oliviero Ponte di Pino
La satira politica
un
capitolo dell'Enciclopedia pratica del comico
Qualche citazione ulteriore
Imperdibile: Chi non legge questo libro è un . I misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, Garzanti, Milano, 1999. |
Invece di un corsivo
di
Oliviero Ponte di Pino
Ancora una volta, in questa campagna elettorale i gesti più
"politici", i rari momenti emozionanti sono arrivati dalla satira. Il primo luogo,
la raccolta dei manifesti elettorali con il faccione di Berlusconi
rivisitati dagli italiani e raccolti da Mark Bernardini nel suo
sito: un curioso esempio di creatività diffusa e di uso di nuove tecnologie da parte delle masse. E poi l'intervista di Daniele Luttazzi a Marco Travaglio,
andata in onda in seconda serata nella trasmissione di Raidue Satyricon,
rappresenta (purtroppo) il punto più alto della lunghissima e
squallida e reticente campagna elettorale della primavera 2001. Son cose che
fanno pensare.
Le informazioni
che hanno raccolto Travaglio e Veltri nel loro libro non sono
certo una novità. Le domande sulle origini della fortuna del
Cavaliere sono già state poste in altre ocasioni e in sedi più
autorevoli (senza peraltro avere risposte convincenti) e vengono
periodicamente riproposte dalle più celebri testate della
stampa internazionale. Il problema è che l'intera questione per
la tv italiana era e resta tabù: quando uscì qualche anno fa la
biografia di Silvio Berlusconi di Giuseppe Fiori, Il
venditore, che poneva molte di quegli stessi interrogativi, la
consegna in Rai era di non nominare né il libro né l'autore (lo
ha rivelato il senatore Leopoldo Elia proprio in occasione del
"caso Travaglio"). Dunque quelle cose (nei libri, sui
giornali, forse anche alla radio) si possono dire, quelle domande
si possono fare, ma non in televisione, neppure in seconda serata,
neppure in una trasmissione satirica. In televisione sono ammesse
solo le interviste addomesticate di Vespa o, al massimo, le
impertinenze di Biagi. Questo già la dice lunga sul modo in cui
la politica considera gli italiani: sa benissimo che a leggere (libri
o giornali) è una minoranza (la solita minoranza di rompiscatole)
e che la maggioranza dei nostri concittadini utilizza come
principale strumento d'educazione politica il piccolo schermo o, se va bene, il bar. (Questo
getta una luce inquietante su un "dopo 13 maggio" in
cui il Cavaliere & soci gestiranno oltre alle reti Fininvest
anche quelle della Rai, mentre la nascita di un eventuale terzo
polo viene preventivamente bloccata.)
Se in questo
quadro appare evidente perché gli altri non abbiano posto il
problema, bisogna chiedersi perché qualcuno (in specifico Daniele
Luttazzi) abbia avuto il coraggio (o l'incoscienza, o l'astuzia)
di farlo. Intanto andrebbe premesso
che si tratta di un serio professionista (uno che studia, o copia,
i grandi maestri della comicità), di un artista consapevole del
ruolo e delle possibilità della satira, di un artista che sa
benissimo quello che sta facendo, anche e soprattutto quando fa
un uso spregiudicato della provocazione. Dunque tutte le scariche
d'insulti lanciate contro il "terrorista" Luttazzi "nell'immediatezza del fatto" da chi
non sapeva con ogni evidenza chi fosse (prendendolo per
uno psicopatico in libertà, per un pervertito evaso dal
manicomio criminale), da chi non l'aveva evidentemente mai visto
né sentito nominare, sbagliavano grossolanamente il bersaglio:
le gag di Luttazzi, per quanto estreme, non sono gli acting out
di un folle, ma gesti calcolati. Ha clamorosamente toppato, ignorando tutte le regole
del comico, anche il consigliere Rai che, scandalizzato dall'annusata
alle mutandine della signorina Falchi (mmmh, n.d.r.), ha lanciato il suo urletto
scandalizzato: "Ora basta solo che mangi la merda". E
gliel'ha così servita su un piatto d'argento, la merda al Luttazzi, regalandogli un'immensa
pubblicità gratuita.
Dopo di che,
Luttazzi ha fatto semplicemente il proprio mestiere di comico (che
a volte può essere anche pericoloso e politicamente ambiguo - se la situazione politica tutto intorno è ambigua). Luttazzi ha semplicemente avuto il fegato di dire (a destra e a sinistra) che
il re è nudo. Sapendo che avrebbe causato una reazione
spoporzionata (senza immaginare che sarebbe stata così
sproporzionata, a causa dell'ipocrisia generale). Ha rubato ai
giornalisti il loro mestiere (e loro tutti a dirgli che non si fa
così). Grazie a questo exploit è diventato ancora più famoso, e anche autorevole presso buona parte del pubblico. Se per qualche tempo
non farà più irruzione nei nostri salotti attraverso Rai e Mediaset (c'è da sospettarlo), entrerà a
far parte della schiera dei comici che in tv ci vanno il meno
possibile (o non ci possono andare del tutto): da Roberto Beningni a
Alessandro Bergonzoni, da Beppe Grillo a Paolo Rossi. E che però in
televisione ci vanno quando hanno davvero qualcosa da dire - in
genere la stessa cosa che ha detto Luttazzi, che il re è nudo. O
meglio, che i re sono nudi, perché se a dare il tono alla
campagna elettorale sono un povero guitto e un sito internet autogestito, allora c'è davvero del
marcio da queste parti.
Due pezzi su Daniele Luttazzi
scritti
in tempi non sospetti da Oliviero Ponte di Pino
1. (pubblicato su "Comix" nel 1995)
Si vede subito.
Daniele Luttazzi ha studiato. Ha letto dei libri. Ha imparato un
sacco di cose. Ricorda i nomi e forse anche le date. Purtroppo.
Perché Luttazzi, anche se sembra un bravo ragazzo, è un cattivo
soggetto. Garbato, pulito, l'aria intelligente del figlio di
buona famiglia. Un ragazzo così dovrebbe fare la felicità delle
zie suore. Apparenze. In realtà Luttazzi è pericolosissimo.
Da piccolo, a scuola, si dev'essere impegnato molto. Voleva
diventare uno dei primi della classe e forse ci è anche riuscito.
Un sapientino. Ma è un cattivo soggetto. Basta guardarlo, con
quegli occhietti aguzzi quasi come il mento, quelle mani da
criminologo perverso. Se il dottor Luttazzi fosse in una sala
operatoria e chiedesse "Bisturi", l'infermiera
scapperebbe a una velocità da far godere l'autovelox.
All'inizio, alle cose che gli hanno insegnato deve averci creduto.
Forse ha addirittura provato a metterle in pratica. Per esempio
quello che ha studiato per l'esame di ginecologia, all'università,
ha sicuramente cercato di rifarlo con qualche sua amichetta. Lei
dev'essere scappata come un razzo al primo approccio (nuovo
orgasmo dell'autovelox).
Insomma, i risultati non sono stati incoraggianti. Deluso dalla
pratica, Luttazzi si è rifugiato nella teoria. Ha cominciato a
insegnare agli altri quello che non riesce a fare (almeno spero).
Ha cominciato a dare lezioni di sesso. Il problema è che quando
Luttazzi dice "Ogino-Knaus", per esempio, o "Gregor
Samsa", per esempio, sa benissimo chi sono. Molti dei suoi
spettatori sono convinti che siano dei nomi inventati. I
professori universitari, se per caso lo sentono, tremano. Perché
i nomi, loro, molto spesso se li inventano davvero.
Insomma, Luttazzi è proprio un cattivo soggetto. Ha imparato a
mettere il ditino dove non si deve, a dire le cose che non
bisogna dire. Gode un mondo nel vedere le facce scandalizzate e
vomitose dei benpensanti che gli capitano a tiro. Allora, accanto
al sesso, si è occupato delle 101 cose da non fare a un
funerale. Autenticamente, intrinsecamente, giudiziosamente
repellenti. Non so se le cose schifose gli piacciano davvero, ma
certo si diverte a raccontarcele, a far scappare i più teneri (deve
aver un business con l'autovelox).
Luttazzi è peggio di un cattivo soggetto. E' un pessimo soggetto.
Non si accontenta di prendere alla lettera quello che gli hanno
spiegato. Non si accontenta di fare l'esatto contrario di quel
che gli hanno insegnato, di perpetrare ostinatamente tutto quello
che un bravo ragazzo non deve assolutamente perpetrare,
altrimenti la sua mamma piange (ma intanto gli altri ridono). Al
pessimo Luttazzi adesso piace anche mischiare le cose che bisogna
fare con quelle ultravietate, il catechismo con il sette peccati
capitali, il totem e il tabù. Con questo sistema, ha riscritto
per esempio i capolavori della storia universale, trasformandoli
in un grumo d'idiozie. Più altri sacrilegi.
Spero solo che nel suo perverso lavoro ci sia un metodo.
Altrimenti questo miscuglio estremistico di bene e male, di
cultura e ignorantità, rischia di diventare troppo uguale alla
vita, solo un po' più confuso e divertente. E noi non capiremo
più se Luttazzi è davvero un mostro o solo un bravo ragazzo.
2. (pubblicato sul "manifesto nel 1995)
Nel 1994 c'era da
preoccuparsi per il destino dei politici. Il 26 maggio di quell'anno,
Alessandro Natta rilasciò un'intervista al "Giornale":
"Occhetto mi sembra uno di quelli che di professione fanno
gli spiritosi. Come i comici. Che a volte fanno ridere, a volte
hanno cadute infelici. Ogni minuto è una battuta e naturalmente
nei momenti di difficoltà accelera. Ma le battute non sono mai
una seria via d'uscita". Pochi giorno dopo il povero Achille
abbandonava la segreteria del Pds per un precoce pensionamento
politico. Pochi mesi dopo, di fronte all'ennesimo tracollo della
lira, Silvio Berlusconi - grande fan di La sai l'ultima? -
parlò al popolo italiano. Commento di Mario Segni: "E' la
prima volta che nel pieno di una drammatica crisi valutaria il
presidente del Consiglio va alla televisione, non per annunciare
provvedimenti, ma per raccontare barzellette". Era il 13
agosto e il governo del Polo imboccava un rapidissimo viale del
tramonto. Morale della favola (così almeno sembrava): forse è
meglio che i politici la smettano di far gli spiritosi.
In queste settimane, c'è invece da preoccuparsi per il destino
dei comici. Sabato al Teatro Ciak di Milano era di scena il
bravissimo Daniele Luttazzi. Nel pomeriggio Aldo Busi,
perfettamente travestito da Nonna Aldo, ninfomane in menopausa,
aveva letto le pagine iniziali del primo romanzo del comico
romagnolo, Va dove ti porta il clito, feroce parodia hard
del best seller della Tamaro. La sera era di scena Sesso con
Luttazzi; lo spettacolo inizia con un ringraziamento agli
elettori di Forza Italia: "Votando Forza Italia, avete
eletto Berlusconi presidente del Consiglio, che a sua volta ha
eletto il nuovo consiglio d'amministrazione della Rai, che a sua
volta ha cancellato Magazine 3. Dunque grazie a voi sono
disoccupato da 8 mesi. A buon rendere". Logicamente, segue
una serie di freddure contro il Cavaliere e la sua corte. Ma dopo
qualche minuto Luttazzi viene interrotto: "Basta! Vogliamo
lo spettacolo! Basta con la politica, vogliamo il sesso!".
Spettatori forzisti (probabilmente irritati dalla sconfitta sulla
sfiducia a Dini) non accettavano che si potesse ridere di Fede e
compagnia, usando oltretutto come supporto alcuni gustosi ritagli
stampa con dichiarazioni dello stesso Berlus-kaiser. Luttazzi fa
alzare le luci in sala e organizza un minisondaggio a base di
applausi: la mozione "prima la politica e poi il sesso"
vince a larga maggioranza e lo spettacolo può proseguire.
Sono questi i giorni in cui Berlusconi-Biancaneve va ogni giorno
in tv a riciclare quelle vecchie barzellette che colleziona con
una passione da filatelico: dove una volta si diceva Mussolini,
Stalin o Nerone, adesso Berlusconi dice Berlusconi o D'Alema.
Tanto per cominciare, mi chiedo cosa sarebbe successo se gli
spettatori di Mara Venier, da Bruno Vespa in giù, avessero
reagito come i berlus-fans del Ciak, interrompendo le
spiritosaggini politiche del Silvio: probabilmente sarebbe
esplosa una crisi istituzionale.
Poi mi chiedo se alle prossime elezioni non sia meglio sostituire
Prodi con Paolo Rossi o Roberto Benigni. Per quanto riguarda la
par condicio, basta eliminare tutte le Tribune Politiche e
trasformare la campagna elettorale in un gigantesco La sai l'ultima?,
con scontri a eliminazione diretta tra i candidati-barzellettieri.
Il milione di posti di lavoro come battuta di umorismo surreale
non era gran che: hanno già fatto di meglio Luttazzi (pompini
gratis) e Claudio Bisio che in Tersa Repubblica promette
una legge che garantirà una ragazza per tutti. Chi offre di più?
Che per la satira politica stessero arrivando tempi grami, che il
grande pubblico si stesse stufando del teatrino della politica,
molti comici l'avevano capito da mesi: e infatti avevano deciso
di occuparsi della vera religione nazionale, il calcio, lasciando
la politica ai suoi sacerdoti. Ma forse il problema è un altro.
Di questi tempi Forza Italia non ha un programma politico se non
l'occupazione del potere e l'attacco ai giudici. E la destra non
sa fare satira politica. Al povero Silvio tocca fare anche il
comico, sostituendo i programmi con le barzellette. Che
miliardario simpatico.
La satira politica
un
capitolo dell'Enciclopedia pratica del comico
Il comico - quando si sente in dovere di essere la bocca
della verità - ha una pericolosa, irresistibile tendenza a
parlare (oltre che di sesso) anche di politica, a mescolarsi con
l'attualità, a mettere il becco in faccende più grandi di lui.
Naturalmente ci sono tanti modi per farlo.
Uno è, per esempio, quello del francese Tim, che da 35 anni
disegna vignette per il settimanale "l'Express":
"Cerco di non avere un approccio sistematico a priori. È
per pormi in piena libertà di giudizio per ogni problema,
avvenimento o uomo politico e di non avere tabù. È stato un
processo graduale fatto con grande tranquillità di spirito, ma
anche con un maggior impegno personale senza pararsi dietro una
dottrina".
Sente di avere un punto di vista coerente nel tempo?
"Lo spero. Nel tempo ho cercato di non introdurre
troppo il mio punto di vista personale e di non sposare alcun
dogma. Da quando ho cominciato a lavorare all'Express
ho sentito un maggiore obbligo di prendere posizione in quanto
individuo, quali che fossero le diverse posizioni dei partiti
politici".
Quali sono per lei gli argomenti più importanti del momento?
"I diritti umani, le libertà individuali, la
tolleranza reciproca, la difesa delle minoranze, per dirla in una
parola, la democrazia". ("il manifesto", 22
settembre 1994)
In Italia la situazione sembra leggermente diversa. A discolpa
dei nostri eroi, dobbiamo aggiungere che da noi i ruoli tendono a
confondersi (non solo in questo campo). Sempre più spesso i
comici vengono interrogati come maestri di vita e di saggezza,
oltre che scambiati per segretari di partito; e sempre più
spesso i leader politici vanno in televisione a raccontare
barzellette ed esibire la loro (discutibile) simpatia.
"Il presidente Cossiga ha detto di apprezzare molto il
genere comico, nello storico incontro con Chiambretti. Quindi
possiamo permetterci di essere prodighi di riconoscimenti con lui.
Ha dimostrato di essere una grande spalla; non meno grande di
Mario Castellani, l'immortale onorevole dei vagoni di Totò".
(Beniamino Placido, "la Repubblica, 3 marzo 1992)
"L'intervento dei politici era una piccolissima parte di Saluti
e baci. Dieci o otto o nove minuti su 120. È vero che
volevano venirci tutti. Il nostro rapporto con loro stava in
quell'iniziale intervento di Pippo Franco che diceva sempre:
Fino ad ora abbiamo riso di voi, adesso fateci ridere voi.
Ma non succedeva mai. Non hanno mai fatto ridere". (Leo
Gullotta, "La Stampa", 7 agosto 1993)
"De Mita e Craxi hanno impiegato anni per diventare
famigliari al grande pubblico: e se ci sono riusciti devono anche
ringraziare la nostra parodia. Abbiamo contribuito e renderli più
popolari". (Pier Francesco Pingitore, "Televenerdì",
13 gennaio 1995)
"Con la mia satira io rendo così grande certa gentuccia che
finiscono per diventare degni oggetti per la mia satira e nessuno
può aver niente da rimproverarmi". (Karl Kraus, Detti e
contraddetti)
"Certi personaggi mediocri li abbiamo fatti crescere fin
troppo, noi che facciamo la satira. Non lo meritano. In futuro,
per squalificarli, dovremmo cominciare a ignorarli". (Antonio
Ricci, "l'Espresso", 5 gennaio 1995)
"Trovo triste abitare in un paese dov'è un comico a dover
spiegare la politica in tv o sulle piazze". (Beppe Grillo,
"la Repubblica", 1° luglio 1994)
"Non c'è nulla di più comico dell'economia, un filone
inesauribile. E andando avanti così non mi mancherà certo il
materiale per far satira". (Beppe Grillo, "La Stampa",
13 agosto 1994)
"Possibile che le informazioni ai giudici debba darle un
comico?". (Beppe Grillo, "la Repubblica", 7
febbraio 1995)
"Scopo della satira sono i difetti e non i delitti, ai quali
provvede il codice". (Carlo Dossi, Note azzurre)
"Ormai i giornali mi chiedono l'opinione anche sulla
proporzionale, si vede che in un momento di vuoto politico la
linea politica la dettano i comici". (Paolo Rossi, "il
manifesto", 16 dicembre 1992)
"La figura dell'intellettuale è cambiata. Fantozzi, per
esempio, è presentissimo, insieme con tutti gli altri opinion
makers adorati dalle masse: Funari e Zuzzurro, Greggio e Magalli.
Lo constata Asor Rosa, lo ammette, con lucida disperazione, anche
Rossana Rossanda". (Giuliano Zincone, "Corriere della
Sera", 10 ottobre 1992)
"Occhetto mi sembra uno di quelli che di professione fanno
gli spiritosi. Come i comici. Che a volte fanno ridere, a volte
hanno cadute infelici. Berlinguer prima di dire una parola ci
pensava un giorno. Occhetto è esattamente l'opposto. Ogni minuto
una battuta e naturalmente nei momenti di difficoltà accelera.
Ma le battute non sono mai una seria via d'uscita". (Alessandro
Natta, "il Giornale", 26 maggio 1994)
"Quando all'indomani delle elezioni politiche, il segretario
del Pds Occhetto ha fatto votare Spadolini per la presidenza del
Senato mi son cadute le braccia: chiuso! basta! finito! Questo
Partito democratico della sinistra non esiste più. Si dice che
Berlusconi ha messo in piedi un partito che non c'è. Ma non c'è
nemmeno il Pds". (Sergio Staino, "Corriere della Sera",
15 giugno 1994)
"Quando ho saputo che Occhetto si era dimesso ho pensato,
istintivamente, che era evaso. Me lo sono visto, come in certi
film americani, con il vestito a righe e la lima in mano che
corre verso il confine del Messico". (Michele Serra, "l'Unità",
14 giugno 1994)
"Tra Massimo D'Alema e Walter Veltroni scelgo Roberto
Benigni. Bisogna anzitutto attirare la simpatia dei giovani verso
il partito e per questo credo che Roberto Benigni sia la persona
adatta al ruolo di segretario del Pds, almeno per un po', in modo
da rendere il partito più simpatico e tradizionale". (Oliviero
Toscani, "la Repubblica", 16 giugno 1994).
"È la prima volta che nel pieno di una drammatica crisi
valutaria il presidente del Consiglio va alla televisione, non
per annunciare provvedimenti, ma per raccontare barzellette".
(Mario Segni, "la Repubblica", 13 agosto 1994)
"Quando Berlusconi era presidente della Fininvest seguiva
con attenzione La sai l'ultima?. È un grande esperto di
barzellette e ne tirava sempre fuori qualcuna che non conoscevo".
(Pippo Franco, "22 settembre 1994)
"Dieci anni fa, al tempo di Quelli della notte. Una
sera arriva una telefonata sbigottita della presidenza Rai. Mi
dicono: Prodi vuol venire a vedere una trasmissione, in
diretta, senza essere visto. Era pazzo di Ferrini,
Pazzaglia e Frassica, rideva moltissimo... Mi ricordo che, quella
sera, per evitare che fosse ripreso, lo spostavo a gesti dietro
le telecamere. Con i modi sbrigativi, tipici della diretta, lo
sbattevo di qua e di là per lo studio... Da quella sera ci diamo
del tu". (Renzo Arbore, "la Repubblica", 7
febbraio 1995)
"Io non avevo mai fatto satira perché, per citare Mao, mi
sembravano più importanti le contraddizioni in seno al popolo,
la solitudine della gente, i problemi di cuore... Però, ora,
siamo in tempi in cui bisogna dire la propria, esporsi, come lo
fanno, dall'altra parte della barricata, gli Sgarbi, i Funari. Io
nemmeno mi ci sento a posto in questo ruolo, quando il pubblico
ride sulle battute politiche di più facile satira mi arrabbio
anche un po'". (Claudio Bisio, "la Repubblica", 8
gennaio 1995)
"Gli impegnati mi daranno addosso, ma per me la satira non
può sostituire il mitra, io non mi sento un militante politico.
Per me la satira è una valvola di sfogo per il malcontento della
gente, la mia funzione è quella di additare gli scompensi, le
contraddizioni che ci sono nel governo e anche nelle opposizioni.
In questo senso, certo, è omogenea al sistema". (Pier
Francesco Pingitore, "la Repubblica", 2 dicembre 1994)
"Non mi sono mai spostato dalle mie posizioni. Penso oggi
quello che pensavo una volta, che i partiti sono la nostra
sciagura, che i partiti pensano ai loro piccoli giochi e che all'interno
dei partiti ognuno fa il proprio gioco: lo sapevamo tutti che
Veltroni era il segretario del Pds e non l'hanno fatto... Negli
anni Settanta ero un extraparlamentare di sinistra e lo sono
ancora, sono per un movimento di sinistra e non per i partiti. Io,
insomma, sono ancora sulle barricate, sono gli altri a non
esserlo più". (Giorgio Gaber, "la Repubblica", 18
gennaio 1995)
"Non mi è mai piaciuta la condizione dell'attore che stando
sul palco sa già che quelli di sotto sono d'accordo con lui, per
cui basta stimolarli con la nota giusta perché scoppi un
applausone... Anche quando mi trovo a lavorare su uno come
Berlusconi che ha tutte le caratteristiche del personaggio cattivo,
ho sempre il dubbio che le cose siano più complicate di quel che
sembrano. È un problema che vale per tutta la satira: un genere
sempre obbligato a semplificare troppo la realtà". (Sabina
Guzzanti, "la Repubblica", 17 luglio 1994)
"È più facile sfottere Berlusconi che prendere di mira chi
ha votato Berlusconi". (Andrea Brambilla alias Zuzzurro,
"Corriere della Sera", 16 luglio 1994)
I nostri film, ci ricorda Enrico, "come ha scritto Lietta
Tornabuoni, hanno raccontato una certa realtà italiana, attenti
a come la gente parla realmente e a quello che la gente dice".
Film come Yuppies o Via Montenapoleone.
"Film", sottolinea Carlo, "che rispecchiano
fedelmente la piccola borghesia italiana, così come la vediamo e
conosciamo. Con mio fratello, ci siamo divertiti per anni a
prendere in giro gli arricchiti metropolitani, quelli che appena
fanno quattro soldi si comprano il Rolex e si fanno la settimana
bianca a Cortina (dove i Vanzina, invece, hanno una bella casa, ndr).
Non abbiamo fatto altro che riportare quelle facce e quegli
atteggiamenti nei nostri film". (Enrico e Carlo Vanzina,
"Il Venerdì di Repubblica", 20 gennaio 1995)
"Sto ancora studiando il nuovo tipo di coatto. Il bullo
della Seconda Repubblica è molto confuso, non ha più punti di
riferimento. Quello degli anni Settanta inseguiva un po' i miti
del decennio prima. Quello di adesso è meno logorroico. E io sto
ancora prefezionando il suo linguaggio". (Carlo Verdone,
"il Venerdì di Repubblica", 10 febbraio 1995)
"Il protagonista di Aspettando Godo si interrogava
sugli anni '80 e soffriva della Sindrome di Qui. Cinque anni dopo,
in Tersa Repubblica lo stesso personaggio è immerso nella
Seconda Repubblica ma ha un problema: si sente osservato,
studiato, spiato. Dorme poco, sta perdendo l'appetito. Alla fine
scopre di avere la Sindrome del Sondaggio, la nuova malattia di
questi anni '90. Ma come fanno i sondaggi? Fanno delle domande a
un campione. Però, a lui, nessuno gli ha mai chiesto niente, e
allora non è un campione, e allora sta ancora più male...".
(Claudio Bisio, "Comix", 27 dicembre 1994)
"È Di Pietro la new entry del '95. Se ne starà buono per
un po', poi rientrerà, E diventerà un soggetto satirico molti
interessante. Finora Di Pietro era, semplicemente, troppo buono.
Se farà politica si sporcherà le mani inevitabilmente. Sarà
lui l'uomo del destino. Un oracolo temutissimo. Ogni tanto tirerà
fuori delle date, dirà magari: 6 febbraio 1989!.
Nessuno di noi capirà. Ma Agnelli capirà benissimo. E così via...".
(Gino Vignali, "l'Espresso", 5 gennaio 1995)
"Benigni ci dice che non è cambiato nulla: ci fa ridere
sempre alla stessa maniera, per le stesse cose contestando un
Potere che riesce a cambiare tutt'al più (e neanche sempre)
qualche nome ma che rimane insopportabilmente odioso e uguale a
se stesso. Benigni di ieri era uguale a quello di oggi: persino
la giacca secondo me era la stessa. Stessi abiti, stessa irruenza,
stessa malinconia, stessa meravigliata incredulità e identica
presa di distanza da quel Potere". (Fabio Fazio, "l'Unità",
27 aottobre 1994)
"La satira diretta ai potenti ha mostrato di non provocare
reazioni. La controparte è immobile". (Altan, "La
Gazzetta del Mezzogiorno", 27 marzo 1992)
"In Italia la satira politica finisce per cadere negli
stereotipi di sempre, noiosi, anche repellenti a volte". (Emanuele
Pirella, "La Gazzetta del Mezzogiorno", 27 marzo 1992)
"Io ne sono ormai sicuro: uno, dieci, cento sberleffi non
fanno un graffio al potere. Non oggi, non al potere di oggi.
Facciamo ridere di Berlusconi? Tra quelli che ridono, una
minoranza trova conferma dei suoi dubbi e delle sue critiche, la
maggioranza invece digerisce tutto come una barzelletta, innocua
se non benefica per i personaggi principali della storia. Una
volta l'ironia poteva far sobbalzare il potere, c'era infatti un
triangolo: il potere, poi la cultura e poi la maggioranza
silenziosa. Adesso invece la maggioranza silenziosa e il potere
sono la stessa cosa, ed entrambi hanno in antipatia la cultura
che c'era. Se scherzi, sghignazzano anche loro, se fai sul serio
si incazzano". (Paolo Villaggio, "la Repubblica",
27 ottobre 1994)
Se i comici non possono scalfire il potere, resta sempre
aperta una strada: far concorrenza ai politici sul loro stesso
terreno.
"Smetterò di fare politica quando i politici smetteranno di
fare i comici". (Michel Colucci, in arte Coluche, 1945-1986,
comico francese, più volte candidato alla presidenza della
repubblica)
In Italia, dopo gli effimeri trionfi di Giannini e dell'Uomo
Qualunque, dopo le candidature di Paolo Villaggio, Enrico
Montesano, Ombretta Colli eccetera, il comico francese sta
trovando sempre nuovi imitatori: Massimo Loche a Tunnel,
ma non solo...
"Domani fondo un nuovo partito, il partito del Come va?
Bene, grazie. E alle prossime elezioni mi candido.
Scommettiamo che batto tutti?". (Beppe Grillo, "Corriere
della Sera", 30 giugno 1994)
"Quando eravamo a Viterbo, sui muri della città c'erano dei
manifesti del mio spettacolo dove mi si vede in una immagine
bella patinata, vestito di tutto punto, sorriso a trentadue denti,
lo sguardo rassicurante. Un po' in stile Seconda Repubblica,
insomma. Quando il sindaco, credo democristiano, li ha visti si
è allarmato: Bisio? Chi è 'sto Bisio? Sarà mica il
candidato di Forza Italia?, pare abbia chiesto ai suoi
collaboratori. Che fa? Comincia già ora la campagna
elettorale? È sleale". (Claudio Bisio, "la
Repubblica", 8 gennaio 1995)
Enzo Biagi: "Qual è l'aspetto più comico della vita
italiana?".
Roberto Benigni: "Il fatto che siamo il popolo di san
Francesco e votiamo sempre il più ricco. Horca miseria zozza,
come si presenta uno con un sacco di soldi, zac!, vince".
Enzo Biagi: "Fa un augurio agli italiani".
Roberto Benigni: "Io vorrei tanto metter su un partito con
lei, Biagi. Ora va di moda gli alberi, si prende per simbolo un
bel pero. Slogan: fate una pera, e come va a finire va a finire".
(Il fatto, 21 febbraio 1995)
"Grazie a Dio la politica è diventata spettacolo. Non è più
quella cosa incomprensibile guidata da una minoranza fumosa che
ne parlava bene per non farsi capire". (Renzo Arbore, "la
Repubblica", 7 febbraio 1995)
"Io sono soltanto una cosa, e nient'altro che quella: un
clown. Questo mi mette su un livello superiore a qualsiasi uomo
politico". (Charlie Chaplin, "The Observer", 17
giugno 1960)
Prima un paio di fatti.
Novembre 1996. Chiude "Cuore", il settimanale di satira più famoso d'Italia. "Il declino non è cominciato quando io sono andato via. Già nell'ultimo anno della mia gestione, 1993, abbiamo cominciato a perdere colpi. Qualcosa si era già interrotto. Purtroppo in Italia abbiamo il mito del 'Canard Enchainée' che esce da 70 anni e vende. Ma non si capisce che il 'Canard' non fa satira. La vera satira, infatti, è balle allo stato puro. Scatta nel momento in cui si sparano frottole con alto significato metaforico. Purtroppo questi fenomeni hanno vita breve, andando avanti diventa manierismo. La vera sfortuna è che in Italia non ci sono i rincalzi capaci di rilevare il testimone passato da 'Cuore'" (Michele Serra, "Corriere della Sera", 5 novembre 1996).
Dicembre 1998. La Corte di Cassazione riconosce il "diritto
di satira", annullando la sentenza di condanna a Vauro Senesi
e al giornalista del "Venerdì di Repubblica" Sergio
Frau, in seguito alla querela presentata dalla senatrice Alberti
Casellati dopo la pubblicazione di una vignetta che peraltro era già apparsa
su "Cuore". La Suprema Corte sentenzia che la satira è
"un diritto a sé", e che al suo linguaggio non si può
applicare il metro di correttezza dell'espressione. "La
satira politica, secondo la Cassazione, è libera espressione
della cultura delle istituzioni (cultura da non intendere
soltanto come quella ufficiale, ma più in generale come sintesi
di nozioni e sentimenti della vita del paese). Chi fa satira può
dunque usare l'ironia "sino al sarcasmo", e "all'irrisione
di chi esercita un pubblico potere, in tal misura esasperando la
polemnica intorno alle opinioni e ai comportamenti". Inoltre,
poiché la satira è anche "espressione artistica", non
dev'essere soggetta, come tale, agli "schemi razionali della
verifica critica". Attraverso la metafora paradossale dev'essere
comunque "riconoscibile se non un fatto o un comportamento
politico", almeno la presunta opinione del personaggio
pubblico, "secondo le sue convinzioni altrimenti espresse,
che per sé devono essere di interesse sociale". Quanto al
linguaggio della satira, è "essenzialmente simbolico e
frequentemente paradossale", e dunque "non si può
applicare il metro consueto della correttezza d'espressione".
Ma anche la satira ha un limite: al pari di ogni altra
manifestazione di pensiero, essa non può superare il rispetto
dei valori fondamentali, esponendo, oltre al ludibrio della sua
immagine pubblica, al disprezzo della persona".
Novembre 1999. Massimo D'Alema chiede tre miliardi di danni a
Giorgio Forattini per una vignetta apparsa su "Repubblica"
l'11 ottobre e dedicata al "caso Mitrokhin". "Evidentemente
il capo del governo vuole farsi una barca più grande",
commenta Vauro ("Corriere della Sera", 11 novembre 1999).
E Altan: "Dare notizie e fare satira sono due cose diverse:
non si possono applicare all'uno le regole dell'altro. Altrimenti,
per la satira è davvero la fine". Una puntata di "Porta
a porta" dedicata alla satira politica, che avrebbe dovuto
prendere spunto dall'episodio, viene annunciata e improvvisamente
annullata. In seguito alla vicenda il vignettista abbandona, dopo
più di vent'anni, il giornale. "Ha fatto bene Forattini a
rifiutare la dichiarazione assolutoria chiesa da D'Alema. E' D'Alema
che ha sbagliato e quindi era semmai lui a dover dichiarare
qualcosa: mi rammarica che continui invece a insistere nell'errore",
dichiara Sergio Staino al "Corriere della Sera" (30
dicembre 1999).
"Molti
autori satirici hanno la fierezza di essere dei veri e propri
opinionisti politici. Ma allora si può avere senso dell'umorismo
e ridere di una vignetta cattiva e nello stesso tempo contestarla
dicendo che l'umorista aveva politicamente torto. Altrimenti l'umorista
è un buffone che qualunque cosa dica non fa male a nessuno.
Bisogna decidersi: è un buffone o un opinionista?". (Umberto
Eco, "Corriere della Sera", 29 ottobre 1998)
"La satira (...) è sempre a rischio di scivolare nel
conservatorismo, nella reazione, nel qualunquismo (...) ha sempre
un fondamento reazionario, contro il nuovo". (Valentino
Parlato, "il manifesto", 27 dicembre 1997)
"Valentino Parlato è molto sincero. Usa il termine 'reazionario'
perché lo ritiene il maggiore insulto, ma le stesse cose
potrebbero dire il Papa, Stalin, Craxi, Mao, Mussolini o Fidel
Castro, tutti coloro che hanno bisogno di seminare certezze nel
mondo. Diffidano della satira e hanno ragione perché questa è l'antitesi
delle certezze, la sua natura è spargere dubbi, guardare dietro,
rovesciare le cose. Uno spirito laico e veramente nuovo bada a
esprimere ciò che non gli verrebbe da una lettura tradizionale
della realtà". (Sergio Staino, "Corriere della Sera",
28 dicembre 1997)
"La vera satira dovrebbe essere sempre nel mirino della
censura, tanto da essere annullata dai 'poteri forti', che però
non sono quelli che si vedono o che crediamo di sapere. La satira
oggi graffia senza sangue, è un genere 'reazionario'". (Enrico
Ghezzi, "Corriere della Sera", 14 agosto 1997)
Lei non censurò mai nulla?
"Dario Fo (...) E chi se l'immaginava che arrivava al Nobel?
Comunque non me ne sono mai pentito (...) La satira politica alla
Rai entrò con me. Contro i dorotei, che non la volevano. Ma lei
deve capire i tempi. Si camminava sulla lama del rasoio. E le
assicuro che quello sketch non faceva ridere. C'erano stati degli
scontri di piazza dirussimi tra gli edili e la polizia. Erano
giorni di tensione (...) altissima. E Fo faceva una scenetta con
un imprenditore edile che, mentre gli davano la notizia che un muratore era caduto da un'impalcatura ed era morto, pensava solo a
un enorme brillante che regalava a un'amichetta. Non faceva
ridere per niente. Ed era, in quei momenti, incandescente. Gli
chiedemmo di cambiarla, lui si impuntò: me ne vado. Gli dissi:
vai". (Ettore Bernabei, "Corriere della Sera", 21
settembre 1998)
Quando costruisci il tuo monologo non è che fai un proclama
politico: la satira politica è istintiva, ti aiuta a prendere le
distanze dalle certezze del governo, colpisce chi vuole e dove
vuole. E' una valvola di sfogo contro ogni forma di politically
correct". (Paolo Hendel, "Corriere della Sera", 15
maggio 1998)
"In teatro la satira politica puoi ancora farla, vengono a
vederti per scelta, in tv invece parli a tutti, l'imitazione per
essere efficace dev'essere riconoscibile (...) La satira non ha
il compito di distruggere nessuno. Può, deve, essere cattiva, ma
non ha il potere di scalzarlo dal piedestallo: Martelli non è
caduto perché io ne facevo l'imitazione. Il compito della satira
è un altro, riavvicinare i cittadini alla politica, creare
partecipazione. Se nessuno si interessa più di quello che
succede nel Palazzo, chi ci sta dentro il Palazzo fa quello che
gli pare". (Sabina Guzzanti, "Corriere della Sera",
3 dicembre 1998)
"Anche se vincesse la sinistra, non ci appiattiremo certo su
governi progressisti nati da mille mediazioni e opportunismi, in
un clima politico dove tutti tendono a volere le stesse cose
facendo la corte agli stessi Di Pietro e Dini". (Sergio
Staino, 1996, "Corriere della Sera", 28 luglio 1998)
"Prima c'era la sinistra che sosteneva gli autori di satira
quando erano attaccati dal potere. Poi arrivò il governo dell'Ulivo,
e noi lì contenti a sognare: chissà che begli spettacolini ci
preparano. E invece niente. La Rai che ha fatto? Ha comprato uno
spettacolo di Beppe Grillo e non l'ha mai mandato in onda: per me
è un gravissimo caso di censura. Intanto ritornavano la Carrà e
perfino la Zingara. Oggi che la Rai ha un solo spettacolo di
satira (La posta del cuore), lo stanno massacrando (sotto
tiro l'imitazione di Daniela Fini da parte di Cinzia Leone, n.d.r.).
Usano la scusa del politicamente corretto, ma è un'assurdità:
la satira per definizione è scorretta. Non vogliono la satira,
lo dicano. Ma l'idea di mettere i paletti è proprio sbagliata".
(Antonio Ricci, "Corriere della Sera", 17 novembre 1998)
"Striscia la notizia sfotte spesso Berlusconi o
altri uomini di potere, ma in fondo è di regime. Lo stesso i
Guzzanti: nei travestimenti e nelle imitazioni sono straordinari,
ma nulla di più. Ai politici fa solo piacere essere presi in
giro: una cosa che ho imparato fin dai tempi di Alto
gradimento. In tv non solo non si fa satira politica, ma
neppure di costume, c'è soltanto molto qualunquismo". (Gianni
Boncompagni, "Corriere della Sera", 14 agosto 1997)
"Vorrei vedere Ricci alzare il bersaglio, vorrei che se la
prendesse con certi magistrati che impugnano lo spadone, con
certi finanzieri all'arrembaggio, con i Prodi, con i Veltroni,
con gli Agnelli, con i Ciampi, con quelli che veramente
gestiscono il potere". (Giampaolo Sodano, "Panorama",
15 agosto 1997)
"A Striscia facciamo controinformazione in maniera
provocatoria, noi siamo evidentemente falsi. Non utilizziamo
giornalisti, l'impianto della trasmissione è quello del varietà
di ballerine e i conduttori sono dei comici così come gli
inviati sono dei cabarettisti. Tutto questo per dire che non
siamo nella verità ma nel varietà, appunto, con tanto di risate
finte di un pubblico fantasma e un ideologo che è il Gabibbo, un
pupazzo". (Antonio Ricci, da un'intervista di Arianna Di
Genova, "Alias", 3 marzo 2001)
"Striscia la notizia, nonostante i suoi ascolti, è irrilevante. (...) La partita è truccata. Se fossero veramente coraggiosi andrebbero in Rai: troppo comodo fare i situazionisti da Berlusconi. In Rai ti ostacolano per motivi politici. Di là ti bloccano solo se fai poco share". (Daniele Luttazzi, "l'Espresso", 1° febbraio 2001)
"Fino a 10 anni fa i politici rappresentavano dei miti,
quindi se ne poteva fare la satira. Ora sono solo dei signori
messi alla prova su cose tecniche e la satira se la fanno da soli.
Oggi non fa differenza fare la parodia di Bertinotti o la Carrà,
non sono mondi poi tanto lontani". (Corrado Guzzanti, "Corriere
della Sera", 8 gennaio 1999)
"Io sono 55 milioni di italiani. Ho, per fortuna, la stessa
sensibilità che ha la massa (...) per cui quando devo dire una
battuta, la dico solo se prima rido io. E non è mai successo che
se rido prima io, gli altri non ridano dopo". (Adriano
Celentano, 1982, ripreso da "Il Venerdì di Repubblica",
20 aprile 2001)
"A me sembra che la satira politica mi vada stretta, sia violenta, limitativa, troppo facile: non rinuncio a dire la mia, ma con altri mezzi". (Antonio Albanese, "Corriere della Sera", 2 novembre 1996).
"La satira politica mi annoia". (Diego Abatantuono,
"Corriere della Sera", 28 dicembre 1998)
Appuntamento al prossimo numero.
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