ateatro
n. 22 - 27 ottobre
2001
a cura di Oliviero
Ponte di Pino
(& manythanks
to amm)
«In
questo momento mi sento avvilito a pensare al mio Paese, per come gli ho
voluto e gli voglio bene. Da sempre. Avvilito per la bassezza, l'inconsistenza
della disputa politica. Purtroppo a breve non vedo via d'uscita. Ci spero,
non voglio crepare con questa immagine fallimentare e squallida del mio
Paese negli occhi».
Mario
Luzi (da un'intervista di Renzo M. Grosselli,
«L'Adige», 10 ottobre 2001)
Qualche
settimana fa «ateatro» ha presentato la tesi di laurea di Leonardo
Mello sul Patalogo. In questo numero, presentiamo un'altra tesi, di argomento
decisamente diverso e apparentemente più frivolo: si intitola La
drammaturgia dell’attore comico fra teatro e televisione ed è
opera di Alessandra Faiella
(una «comica intelligente», razza più diffusa di quanto
non si creda); in particolare, il lavoro è centrato su tre
percorsi esemplari di artisti di generazioni diverse come Franca
Valeri, Gigi Proietti e Antonio
Albanese. Relatore Claudio Meldolesi (massimo
rispetto!)
(forse
c'è ancora un po' di lavoro da fare per linkare le note, ma abbiate
pazienza).
Vi
ricordo anche che in fondo alla pagina dei link
sono segnalate altre tesi online.
INDICE
Editoriale
un sito e
una webzine
di Oliviero Ponte
di Pino
Sinfonia
per corpi soli. Omaggio a Sarah Kane
di Teatro Aperto
di Sara Chiappori
Teatri
di terra
Appunti dai "Diari
di lavoro" delle Ariette
Libri
& libri
(Grotowski, Miller
su politica e recitazione, Gadda-Ronconi, Banu-Brook)
COMUNICAZIONI DI SERVIZIO
Per i miei fans (ce ne sono?) sabato 3 novembre, alle 14, su Radiotre, riprendo la conduzione del glorioso Grammelot (programma di Patrizia Todaro a cura di Elio Sabella, che guida in redazione Nicola Pedone e Stefania Fioravanti) dallo studio di corso Sempione (Milano) con Gaia Varon. La redazione non vede l'ora di essere seppellita da mail grammelot-spettacoli@rai.it, fax e telefonate (02-34531140).
Per i fans di Claudio Magris (ce ne sono tantissimi) dal 2 novembre è in vendita in tutte le librerie del Belpaese il documentario Fra il Danubio e il mare di Francesco Conversano e Nene Grignaffini. Lo pubblica Garzanti insieme a un testo inedito in cui lo scrittore triestino racconta come nascono i suoi libri. Il tutto costa 29.000 lire.
L'in-folio shakespeariano di cui parlavo nello scorso numero di "ateatro" è andato all'asta da Christie's a New York l'8 ottobre. Nessuno ha pensato di regalarmelo, anche perché è stato battuto per l'astronomica somma di 6.166.000 $...
Si
è inaugurata a Milano (al PAC,
dove resterà aperta fino al 27 gennaio; il catalogo è edito
da Mazzotta) una interessante mostra dedicata a Kurt
Schwitters (Hannover 1887-Londra 1948),
pittore, scultore, poeta, musicista eccetera, profeta del Merz,
capofila dell'Arte Degenerata
messa alla berlina dai nazisti, costruttore dello straordinario Merzbau
- una delle più affascinanti incarnazioni dell'opera d'arte totale
e del rapporto simbiotico arte-vita. Il Merzbau
divenne la principale occupazione di Schwitters
a partire dal 1923, e iniziò a ricostruirlo per tre volte: a Hannover
(quel Merzbau venne
distrutto da un bombardamento nel 1943), poi nel 1937 nell'esilio norvegese
(distrutto da un incendio nel 1951) e infine a Londra - rimasto incompiuto
per la morte dell'artista. Il Merzbau
è uno spazio interamente trasfigurato dall'arte: pareti e soffito
sono invasi da forme plastiche, scaffali, scale, nicchie; il vertiginoso
labirinto è popolato da oggetti d'arte, scarti, "spoglie e reliquie",
tracce e frammenti di vita. Nel Merzbau
trovano posto grotte dedicate a vari artisti
amici (Hans Arp, Theo van Doesburg, Hannah Hoech, el Lissitsky), grotte
a tema (una dedicata per esempio a Goethe, ma c'erano anche una "grotta
dell'amore" e una grotta del delitto sessuale...). In un'opera proliferante,
perennemente incompiuta e insieme già perfetta, personalissima e
oggettiva, insieme collage cubista e cattedrale gotica (ma anche, per certi
aspetti, sito internet...), pian piano gli strati precedenti venivano sepolti
da successive stratificazioni.
Al
PAC è possibile entrare in una parziale ricostruzione del Merzbau
(opera di Peter Bissenger per lo Sprengler Museum, 1983). Come nei veri
Merzbau,
i visitatori possono lasciare una frase su un "quaderno degli ospiti":
sarebbe bello potessero lasciare un oggetto, popolare una nicchia, costruire
una grotta per lasciare un loro segno, e alla fine ricoprire con il Merzbau
l'intero pianeta...
La
maggioranza dei teatri ha il grave problema di riempire la platea. Poche
sale - più fortunate - attirano folle tali per cui un biglietto
diventa merce rara ed ambitissima. Così nasce la figura del bagarino,
che s'accaparra i biglietti e li rivende a prezzo maggiorato. Alcuni teatri,
per contrastare il fenomeno del bagarinaggio, hanno escogitato una soluzione
spensieratamente neoliberista. "C'è qualcuno disposto a scucire
un milione per un posto in prima fila nel mio teatro, mentre il biglietto
io lo vendo a poche lire? Beh, ma quelli sarebbero soldi miei, e dunque
il milione per il biglietto all'amatore glielo vendo direttamente io."
Detto
fatto. Al St.James Theatre di New York, dove si replica l'ambitissimo
The Producers (il musical di Mel Brooks che racconta la storia di
due produttori alle prese con un grande flop, un musical su Hitler, protagonisti
Nathan Lane a Matthew Broderick), venderanno ogni sera all'ultimo momento
una cinquantina di poltrone alla simpatica somma di 480$. Su internet nei
giorni scorsi si offrivano posti per lo stesso spettacolo a oltre 700 $
(per la cronaca, la stessa tattica anti-bagarini viene già praticata
a New York per i grandi match di baseball). La misura era già stata
decisa prima dell'11 settembre, la sua applicazione era stata sospesa ma
ora è solo questione di giorni: per certi aspetti la vita è
evidentemente tornata alla normalità. In ogni caso, nei primi mesi
150 dei 480$ verranno devoluti al Twin Towers Fund.
Martedì
23 ottobre, 2001 alle ore 17.00, verrà inaugurata in Vicolo Satiro
5, la prima biblioteca teatrale di Verona.
La biblioteca nasce nel contesto della convenzione in atto tra Fondazione
Aida/Centro di produzione teatrale e Università degli Studi di Verona
– Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Scienze della Comunicazione,
nell’idea di costituire un centro di documentazione dedicato al mondo del
teatro in tutti i suoi aspetti. Vi sono contenuti quindi non solo testi
teatrali, di storia del teatro, di critica e teoria teatrale in generale,
ma anche biografie e testi di letteratura secondaria; inoltre sono presenti
diversi annuari del settore e testi relativi ai diversi aspetti «tecnici»
del fare teatro: da quelli inerenti scenografia, costumi, illuminotecnica
e fonica, fino a quelli emersi più di recente e legati al management
culturale, teatrale e artistico.
Info:
Fondazione AIDA Tel.
0458001471 – 045595284 Fax 0458009850 E-mail: fondazione@f-aida.it
Oppure: biblioteatro@f-aida.it;
Dipartimento
di Linguistica, Letteratura e Scienze della Comunicazione – Università
degli Studi di Verona Tel. 0458028400
Imperdibile: Chi non legge questo libro è un . I misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, Garzanti, Milano, 1999. |
Editoriale
un
sito e una webzine
di
Oliviero Ponte di Pino
Questa testimonianza verrà
pubblicata sul prossimo Patalogo. Con grande generosità,
la redazione ubuesca mi aveva offerto uno spazio per far conoscere il sito.
Più che pubblicizzare i contenuti, mi è venuto naturale cercare
di raccontare un'esperienza: un'evoluzione ancora in corso, una storia
fatta anche di scoperta, di ricerca, di rapporti, di incontri, a volte
di scontri, di consigli e di correzioni di rotta.
Insomma, in pochi anni sono
successe molte cose, e altre ancora ne devono succedere perché un'esperienza
di questo genere possa continuare aa avere senso. Mi piacerebbe, come prossimo
passo, provare a cambiare la natura di "ateatro": da "impresa individuale"
a "impresa collettiva". Il primo passo sarebbe la costituzione di un comitato
di redazione e la costruzione di una rete di collaboratori. Insomma, si
accettano candidature: cerco persone disposte a collaborare all'impresa
fornendo idee, testi, consigli, contatti… Le regole sono scritte qui sotto:
valgono per me, ma anche per gli altri. Astenersi perditempo.
Due o tre anni fa ho deciso di aprire www.olivieropdp.it,
ovvero un mio sito internet, per due serie di motivi – i primi per così
dire "in negativo", gli altri "in positivo" (oltre che per l'innegabile
narcisismo megalomane che ha causato diversi sorrisetti ironici).
Tra le ragioni "in negativo":
1. Fare tutto da solo (per la cronaca usando un PC 133 MHz ormai obsoleto);E (dimenticavo)
2. Senza spendere una lira, anche perché sono ospite di "Trax" grazie a Fabio Paracchini (è vero, qualche soldo l'ho speso: un paio di manuali e poi, quando la megalomania ha toccato il culmine, ho registrato il dominio…).
3. Nei ritagli di tempo (in genere tra le 6 e le 8 di mattina, o in caso d'insonnia).Soprattutto, lavorare per il web mi permette di scrivere tutto quello che mi pare e quando mi pare, nella libertà più assoluta (certo, non mi paga nessuno – ma del resto finora a scrivere di teatro sui giornali non mi sono certo arricchito).
Sinfonia
per corpi soli. Omaggio a Sarah Kane
di
Sara Chiappori
Il sottotitolo, per quanto doveroso, potrebbe
fuorviare. Potrebbe, per esempio, indurre a pensare che si tratti di un’ennesima
fascinazione per la parola arrabbiata e dolente di Sarah Kane, una celebrazione
modaiola del personaggio – provocatorio, irrequieto, in furente e costante
opposizione a tutto e a tutti – un manifesto generazionale e autoreferenziale.
Non è così. L’ultimo spettacolo di Teatro Aperto, per altro
non nuovo alla frequentazione della scrittura femminile più “estrema”
(Merini, Duras, Lispector), non lascia spazio a nessuna indulgenza e si
tuffa, a capofitto e senza rete, nel buco nero dove la figura di Sarah
Kane, la sua vita (nel febbraio del 1999, a 28 anni, si suicida impiccandosi
con le stringhe delle scarpe), la sua poesia, implodono e pretendono una
risposta estrema, pulita, consapevole. La scena, livida, cupa e metallica,
è invasa da una rete di oggetti, di strani meccanismi, di piccole
luci scoppiettanti, attraversata in tutte le direzioni da respiri profondi,
vibrazioni stridenti, sussurri di viscere, echi di rumori quotidiani. Una
voragine claustrofobica, un inferno di suoni distorti e di oggetti inquietanti,
al cui interno si muovono tre figure di donna (Federica Fracassi, che firma
anche la drammaturgia prevalentemente ispirata a Psicosi delle 4.48,
Giada Balestrini e Monica Parmagnani). Sono la stessa donna, triplicata
e divisa, sono tre corpi che scivolano ciascuno, con asincrono parallelismo,
verso il proprio annullamento, sono la stessa identità frantumata
e divorata da una solitudine irreparabile, sono le protagoniste intermittenti
di storie spezzate. Ancora una volta Martinelli sceglie di lavorare, in
questo caso ottenendo risultati di grande efficacia, sulla concretezza
dello spazio, sulla sua manipolazione, sulla sua amplificazione sonora,
sull’esplorazione delle sue possibilità espressive, sperimentandone
i vuoti e i pieni, le luci e le ombre, incidendolo come se fosse materia
originaria da plasmare con gli strumenti meno prevedibili, liberandolo
dalla sua banale funzione di contenitore e rendendolo fonte di visioni
in continuo mutamento, dove il canto di dolore e di ribellione delle tre
attrici, la loro progressiva spersonalizzazione marionettistica diventano
uno degli elementi del tessuto drammaturgico, al pari di tutti gli altri
oggetti in scena. Ineccepibile la partitura sonora che, costruendo la progressione
di un disagio che accartoccia i sensi, fa esplodere il silenzio finale
nel sollievo di un grande nulla.
Teatro
di Terra
Appunti
dai "Diari di lavoro" delle Ariette
Dal 1 al 4 novembre, il Teatro
delle Ariette, nel nuovo Deposito Attrezzi (si chiama così ma
è il loro nuovo teatro), presenta la nuova edizione di A
TEATRO NELLE CASE. Festival d’autunno.
Info: TEATRO DELLE ARIETTE
– Via Rio Marzatore 2781
40050 Castello di Serravalle
(BO) – tel. e fax 051 6704373
mail leariette@libero.it
Le Ariette, 29 dicembre 2000
dimentico e ricordo
per vivere nel tempo
buio e silenzio
nel teatro invisibile
del cuore
Le Ariette, 21 ottobre 1996
Nell’ autunno dell’ 89, quando crollava il
muro, Paola e io lasciammo il Baule dei suoni, la Camerateatro della Morara,
il teatro.
Andammo a vivere e lavorare in campagna in
un piccolo podere abbandonato dai miei genitori nel comune di Castello
di Serravalle a 30 chilometri da Bologna e diventammo Coltivatori Diretti.
Perché scegliemmo per noi questo cammino?
Sicuramente per caso, ma anche per precisa
volontà di espiazione.
Quasi con una consapevolezza autopunitiva,
attraverso un esilio fisico e spirituale, cercammo un annullamento sociale,
un silenzio politico, una rottura secca e dolorosa che cancellava la nostra
storia, ci sradicava dal nostro passato, dalla nostra cultura e ci sbatteva
nudi, emigranti, nel mondo. Quello fuori dai foyer dei teatri, dai centri
sociali alternativi, dai centri sociali occupati fabbrica delle nuove tendenze,
fuori dagli uffici e dai convegni dove si discuteva di politica culturale
e promozione teatrale, fuori dalle città, dai cinema, dalle osterie,
dai tram, dai concerti, FUORI, nel mezzo di una valle umida e fredda, bella
soltanto di una bellezza selvatica.
Non avevo mai udito tutto quel silenzio,
tutto in una volta e per tanti giorni di seguito. Un silenzio infinito,
inzuppato in una immobilità fradicia, profumata di funghi e di muschio:
ecco la valle del Marzatore.
E questa valle è diventata la nostra
Camera dei Sogni. Notti e notti, per mesi, affollate di sogni così
nitidi e così presenti. Notti di sogni che non sognavamo più,
né di notte, né di giorno.
Le Ariette, 11 ottobre 1999
Costruendo il Deposito Attrezzi, il nostro
teatro.
Ci sono giornate che la vita è davvero
la vita e ci vive da dentro e ci scuote. Allora sentiamo la pace e la gioia
di vivere, di respirare. Sentiamo il sole caldo sulla faccia. Se facciamo
silenzio sentiamo!
Sentiamo il cuore che batte, gli insetti
volare, le foglie stormire e cadere, sentiamo l’ amore e il dolore e i
cani abbaiare in quell’ impercettibile silenzio che c’è su un tetto
tra un colpo di martello e l’ altro.
In quel lungo silenzio tra una betoniera
e l’ altra sentiamo la vita scivolare nelle braccia, negli occhi, sentiamo
la vita piegarci, curvarci, fiaccarci, spezzarci la schiena fino a farci
piangere. Sentiamo le ore passare, le stagioni cambiare, sentiamo il caldo
diventare freddo, la notte diventare giorno e il giorno diventare notte
e i grilli cantare.
Sentiamo tutto senza spostarci, senza viaggiare.
E tutto è a una decina di metri dal nostro olmo, quel pezzo di campo
dove abbiamo piantato e difeso l’ albero della nostra vita, delle nostre
radici.
Siamo sempre lì attorno a quel pezzo
di campo dove nasce la sabbia, dove si alza il sole, dove sorge la luna
e cantano i grilli.
Ma la vita è la vita e ci vive, ci
frusta e ci offende e lascia i suoi segni: sulla fronte, sulle mani, nel
cuore.
Questi segni sono i regali più belli.
Le Ariette, 29 ottobre 1999
La calce e i mattoni.
Il teatro cresce, noi scompariamo.
Quando sarà finito, se sarà
finito, noi saremo un mucchietto di cenere tiepida e il vento di marzo
ci spazzerà via.
Ci sarà quella luce dei giorni di
vento che meglio di così non avremmo mai sperato.
Le Ariette, 14 gennaio 2001
Sempre più lontani dal teatro, come
un naufragio.
Eppure il teatro si avvicina, apriamo tutte
le porte e le finestre e lasciamo entrare i fantasmi, senza opporre resistenza,
perché ci triturino e stritolino ogni residuo del nostro essere
superfluo.
Le Ariette, 3 gennaio 2000
Oggi è l’ inizio della nostra avventura
teatrale autobiografica.
La nostra geografia sarà il reticolo
dei sentimenti.
Non la storia mondiale nel tempo, ma la storia
fuori dal tempo, eterna: la madre, il padre, il fratello e la sorella,
l’ amico, gli animali, le piante, la natura, Dio, il cielo e la terra,
il mare e il vento, il sole e la pioggia.
Fuori dal teatro. Alla ricerca del nostro
suono interiore.
Vita non storia, biologia non sociologia.
Tenteremo di costruire una orazione umana,
l’ umano antico e nuovo sacro.
Il cerchio più piccolo di tutti i
cerchi che compongono l’ universo è il giorno e il giorno finisce
nella notte.
Condannati a morte.
Le Ariette, 3 maggio 2001
Stefano Pasquini
TEATRO DELLE ARIETTE
Sono numerosi i libri arrivati in queste settimane alla redazione di «ateatro» per le strade più diverse. Ecco qualche segnalazione.
Il
Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski 1959-1969.
Testi e materiali di Jerzy Grotowski e Ludwik Flaszen con uno scritto di
Eugenio Barba
a cura di Ludwik Flaszen e Carla Pollastrelli con la collaborazione di
Renata Molinari, Fondazione Pontedera Teatro, Pontedera, 2001, 286 pagine,
s.i.p.
Pochi giorni
fa Pontedera (sede del Workcenter of Jerzy Grotowski e Thomas Richards)
ha ospitato un importante convegno dedicato alla prima fase dell'attività
del maestro polacco, quella «teatrale». Questo volume, curato
con passione e competenza, raccoglie una serie di interventi in gran parte
inediti o difficilmente reperibili relativi a quel periodo: si affianca
dunque a uno dei libri di teatro imprescindibili, Per un teatro povero,
curato dall'«allievo» Eugenio Barba, pubblicato nel 1968 e
tradotto in Italia da Bulzoni nel 1970, dove in qualche modo veniva presentato
per la prima volta a un vasto pubblico il «metodo Grotowski»
(con tutti gli equivoci che può suscitare un termine di questo genere
di fronte a un maestro sempre pronto a tradire il metodo e la teoria per
la vita…).
Il volume
raccoglie testi scritti tra il 1959 e il 1992, per un testo in cui Grotowski
ricostruisce le ragioni del suo abbandono dello spettacolo, per quanto
riguarda le date di stesura dei testi: di fronte a questo materiale gli
spunti di riflessione sono davvero numerosi, è possibile solo evidenziarne
un paio. Nei primi anni hanno un ruolo fondamentale il lavoro e la riflessione
sul mito: il Teatr Laboratorium non si misura con la drammaturgia contemporanea
allora in voga, quella che prendeva atto della fine dei miti e fa di questa
fine l'oggetto della sua riflessione, per semplificare. Al contrario, affrontava
consapevolmente i classici della letteratura, partendo dallo stesso presupposto:
«l'identificazione collettiva con il mito – l'equazione della verità
personale, individuale con la verità universale – oggi è
praticamente impossibile». Ma allora, si chiede Grotowski nel celebre
saggio Per un teatro povero, qui riproposto,
«che cosa è possibile? In primo luogo il confronto con il mito piuttosto che l'identificazione. In altre parole, mentre manteniamo le nostre esperienze private, possiamo cercare di incarnare il mito, indossando la sua scomoda pelle per percepire la realtà dei nostri problemi, il loro legame con le "radici" e la relatività delle "radici" alla luce dell'esperienza contemporanea. Se la situazione è brutale, se ci spogliamo e tocchiamo uno strato straordinariamente intimo, esponendolo, la maschera quotidiana si rompe e sparisce. In secondo luogo, persino con la perdita di un "cielo comune" di fede e con la perdita di inespugnabili confini, la percettibilità dell'organismo umano rimane. Solo il mito – incarnato nella realtà dell'attore, nel suo organismo vivente – può funzionare come un tabù. La violazione dell'organismo vivente, lo svelamento portato a eccesso oltraggioso, ci riporta a una situazione mitica concreta, a un'esperienza di verità umana comune». (p. 122)È possibile affrontare la questione anche da un altro punto di vista:
«L'avanguardia degli anni Cinquanta ha dimostrato l'impossibilità del tragico tradizionale a teatro. Il tragico infatti può esistere unicamente allorché i valori hanno garanzie trascendenti; allorché sono considerati una sorta di sostanza. Quando muoiono gli dei il tragico è rimpiazzato dal grottesco: la smorfia dolorosa del buffone al cospetto del cielo vuoto. Le premesse dell'avanguardia da questo punto di vista sono irrefutabili: il tragico tradizionale oggi è sterile, sublime retorica oppure triviale piagnisteo da melodramma. Una domanda si pone: come ottenere a teatro il tragico che non sia posa morta, pittoresca, ma che nel contempo vada al di là della clownerie? Come raggiungere quell'antichissimo sentimento, oggi smarrito nella memoria emozionale, di pietà e orrore? La risposta pratica è: disonorando i valori, i valori ultimi, elementari, Ad essi, in ultima istanza, appartiene l'integrità dell'organismo umano. Quando ormai non c'è più niente, asilo della dignità umana rimane il corpo, l'organismo vivente che è come il garante materiale dell'individuo, della sua particolarità di fronte al resto del mondo. Quando l'attore getta sul piatto della bilancia la sua intimità, quando rivela senza freni il suo vissuto interiore, incarnato nelle reazioni materiali dell'organismo, quando la sua anima diventa in un certo senso identica alla fisiologia, quando sta in pubblico disarmato e nudo, offrendo il suo essere inerme alla crudeltà dei partner e alla crudeltà della platea; allora, in virtù di un ribaltamento paradossale, riacquista il pathos» (p. 129).C'è molto, in questi passaggi. Il radicamento di Grotowski nella cultura di quel preciso momento storico (un momento che per certi versi stiamo ancora attraversando). L'equilibrio-squilibrio di crudeltà e derisione che farà la forza dei suoi grandi spettacoli. Ma anche l'uscita dal teatro, il superamento delle problematiche del recupero del mito e del pathos tragico per un lavoro sulla «sostanza umana» (assunto consapevolmente, con tutti i rischi che comporta).
Arthur
Miller, On Politics and Acting,
Viking, New York, 2001, 88 pagine.
L'autore
di Morte di un commesso viaggiatore e del Crogiolo mette
a confronto l'arte dell'attore e quella del politico, in un pamphlet sapiente
e ironico che riprende un saggio comparso su «Harper's Magazine».
Ronald Reagan è stato il primo attore professionista
ad abitare la Casa Bianca, ma certo non è stato l'unico attore a
salire ai vertici della politica. «Aristotele pensava che l'uomo
fosse un animale sociale, e infatti veniamo governati dalle arti sociali,
le arti della performance – insomma, dalla recitazione – ben più
di quello che vogliamo pensare». Oltretutto oggi, quando passiamo
una notevole parte del nostro tempo di fronte alla tv o a uno schermo cinematografico
o in un teatro a vedere gente che recita, ci è diventato sempre
più difficile distinguere la recitazione dall'autenticità.
Tanto che – è accaduto anche nel recente scontro Bush-Gore – ogni
sprazzo di autenticità risulta fastidioso, controproducente. Meglio
il tran tran soporifero ma tranquillizzante di una cattiva recitazione…
«Alla fine, temo, possiamo solo ritornare al sollievo dell'arte, a quell'altro teatro, il teatro-teatro dove è possibile dire la verità senza ammazzare nessuno, ed è persino possibile illuminare il dilemma – così orribilmente persistente – su come esercitare il potere senza mentire troppo. Certo, il sollievo dell'arte non fabbrica cannoni e non asfalta strade, ma può continuare a ricordarci l'essenza corruttrice del potere, la sua irrimediabile tendenza ad alimentarsi a spese dell'umanità».
La
letteratura in scena. Gadda e il teatro a
cura di Alba Andreini e Roberto Tessari, Bulzoni, Roma, 2001, 324 pagine,
40.000 lire.
A Torino
nell'ottobre del 1996 si è tenuto il convegno «Il Pasticciaccio
da Gadda a Ronconi». Questo volume è in qualche modo il frutto
di quella riflessione, che prende spunto dal fortunato allestimento ronconiano
per riflettere su una serie di «relazioni teatrali»: il teatro
nel romanzo (Claudio Meldolesi), con gli «apici» di Gadda e
Kafka; il teatro e le recensioni di Gadda (Ferdinando Taviani); il teatro
e il romanzo attraverso lo spettacolo di Ronconi (Claudio Longhi e Roberto
Tessari); il teatro e la televisione, attraverso l'adattamento di Giuseppe
Bartolucci (Franco Prono), e infine l'intervista a Luca Ronconi di Alba
Andreini (che traccia anche la storia della fortuna critica del capolavoro
gaddiano). In appendice un'utile «teatrografia gaddiana» a
cura di Claudio Longhi.
Georges
Banu, Peter Brook. De Timon d'Athènes
a Hamlet, Flammarion, Parigi, 2001, 338 pagine.
Abbiamo
appena segnalato la pubblicazione dell'autobiografia del grande regista,
I fili del tempo, pubblicata in Italia da Feltrinelli. È
da poco stata pubblicata in Francia la nuova edizione (debitamente aggiornata)
della monografia che Goerges Banu ha dedicato al suo periodo «parigino»,
dall'inaugurazione delle Bouffes du Nord nel 1974 al recente Hamlet.
Che altro aggiungere?
(olivieropdp)
Appuntamento al prossimo numero.
Se vuoi scrivere, commentare, rispondere, suggerire eccetera: olivieropdp@libero.it
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